I cento giorni di Monchi

Come sono trascorse le prime settimane del nuovo ds della Roma, tra ricerca di talenti e una particolare attenzione ai conti in ordine.

Nessuno oserebbe discutere ciò che il Siviglia è diventato grazie a Monchi negli ultimi diciassette anni: oltre duecento milioni di euro solo di plusvalenze. Ma Monchi, il nuovo ds della Roma, non ha dubbi: «Vincere è il vero obiettivo, non comprare bene o vendere bene. Nessuno spettatore è mai venuto allo stadio per applaudire i bilanci». E infatti, a Siviglia, ha portato a casa nove trofei e sedici finali. Con le ricche cessioni di Rüdiger, Salah e Parades il tifoso romanista avrà ripensato all’estate 2013, quando a suon di milioni partirono Marquinhos, Lamela e Osvaldo. L’inizio della nuova epoca si riverbera anche sulla rosa, nonostante la squadra arrivi dal record di punti mai realizzato in serie A perché la linea di Monchi è stata sempre quella di cogliere il momento. Cioè accettare le offerte per dei pezzi pregiati reduci da ottime stagioni, che quindi avessero mercato e di conseguenza club disposti a pagare tanto e subito. Proprio come accadde più volte a Siviglia, rimpinguando le casse societarie con calciatori pescati anni prima, ma anche fatti in casa come Sergio Ramos, Jesús Navas, Alberto Moreno e José Antonio Reyes.

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A Siviglia, al modesto portiere divenuto dirigente di grido, avevano attribuito anche il nomignolo di Mago Merlino. Merito del fiuto nell’andare a prendere giocatori da rivendere a peso d’oro. Il caso di scuola è quello di Dani Alves, acquistato dal Bahia come diciannovenne sconosciuto per soli 200 mila euro e poi rivenduto a 36 milioni al Barcellona. O anche con lo stesso Bacca, preso dal Bruges per 7 milioni e finito al Milan per oltre il quadruplo. Come dichiarò in un’intervista a El País, dietro a tutto ciò c’è un team collaudato, diretto a seguire i principali campionati e qualcosa come 400 calciatori da inizio stagione: dietro a Monchi, c’è un vice, un coordinatore dell’area tecnica e tredici scout che a rotazione si muovono dietro agli “obiettivi sensibili”. Ogni mese viene creata una top 11 da inserire in un database comune, fino a restringere il cerchio anche in base a ciò che alla squadra serve realmente. Se accanto al nominativo c’è la lettera A vuol dire che quel giocatore è etichettato con un “da acquistare subito”.

Tra questi deve esserci sicuramente stato anche Cengiz Ünder, che a Roma già iniziano ad apprezzare e ha convinto lo stesso d.s. iberico a un esborso di quindici milioni di euro per un classe 1997. Nell’ultimo campionato turco è stata la pedina più pregiata dell’Istanbul Basaksehir, rivelazione che a lungo ha battagliato con le big di quel torneo, pescando Under un anno fa nell’Altinordu e pagandolo appena 700 mila euro. Il gioiellino turco, già nel giro della sua Nazionale, ambisce addirittura al posto da titolare, esaltato dal modo di giocare della nuova squadra per via del suo sinistro educato e una vocazione al dribbling che gli permette di svariare su tutta la trequarti. Una trovata alla Monchi, si direbbe, visto che il ventenne arrivato da Istanbul risponde perfettamente all’identikit del dirigente spagnolo, in cerca di giovani preferibilmente sconosciuti, con potenzialità da sviluppare e che si ambientino rapidamente. Le mosse dell’ex sevillista fin qui hanno prediletto la gioventù (Karsdorp, classe ‘95, e il ritorno di Pellegrini, un anno più piccolo), ma anche l’esperienza da far valere in campo internazionale, con Gonalons (‘89), Moreno (‘88) e Kolarov (‘85).

Cengiz Ünder, il nuovo talentino romanista

Il ruolo e le caratteristiche tecniche degli ultimi arrivati sintetizzano alla perfezione l’intesa tra il tecnico Di Francesco e l’ex portiere, con l’approdo nella capitale di 5 giocatori su 7 che prediligono giocare sull’esterno del campo: l’allenatore ex Sassuolo vuole i «terzini sottoposti a stress continuo, da liberare al cross mentre l’area viene attaccata almeno da 5 o 6 uomini». È nella mentalità di Monchi considerarsi uno strumento nelle mani del tecnico, tanto che una volta affermò: «Qualcosa non funziona se il mister ti chiede un tavolino e tu gli porti una lampada». Non solo esterni però, visto che Monchi gli ha portato una valida alternativa in regia, anche per far rifiatare De Rossi. L’innesto del francese Gonalons va in questa direzione: non a caso l’allenatore lo ha voluto il prima possibile perché la maggior parte delle azioni offensive dovranno passare dal regista. Deputato a prendere palla più basso, deve scambiare con i centrali e rilanciare l’azione cercando la verticalità verso la punta o gli esterni che attaccano lo spazio. «Il gioco in verticale è quello che voglio» ha ribadito Di Francesco anche dopo l’amichevole americana contro la Juventus.

La priorità di Monchi è anche quella di tenere i conti in ordine, dopo che il club capitolino ha centrato i 30 milioni di passivo per il triennio 2014-2017 ottenendo così un buon margine di libertà sul mercato dei trasferimenti. Sostanzialmente intatto il monte ingaggi (si parla di 92 milioni del campionato scorso contro i 95 attuali) per via di sette nuovi giocatori in rosa, ma anche in virtù dei rinnovi di Strootman e Nainggolan. In ottica della sessione estiva, la proprietà era intervenuta appena un mese fa rifinanziando il debito con Goldman Sachs e portando da 175 a 230 milioni la linea di credito fino al 2022. Conosciute le risorse a disposizione, Monchi ha concordato con Di Francesco i movimenti sul mercato come del resto ha sempre fatto con i dieci diversi allenatori che si sono alternati a Siviglia alla guida della squadra durante il suo regno. In Andalusia il coordinatore della direzione sportiva era Miguel Ángel Gómez, che ha confermato come Monchi prediliga lavorare di squadra con l’allenatore piuttosto che avere in casa un manager. Un rapporto lavorativo tra i due durato 15 anni, in cui «l’acquisto più esemplificativo è stato quello di Kanouté, individuato da Monchi dopo che Juande Ramos gli aveva espressamente richiesto un attaccante alto ma mobile. Lasciò perdere Fred e puntò il maliano: a conti fatti una mossa azzeccata».

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Addirittura a Siviglia ne hanno fatto un libro. Metodo Monchi in città si trova ovunque, con tanto di aneddoti sulle sue trattative e il mondo del calciomercato, ma anche un taglio accademico che spiega la riuscita di un modello per fare affari e avere successo. Nel racconto c’è anche il blitz notturno del 2007, non lontano da Buenos Aires, per acquistare Diego Perotti dal Deportivo Morón e aggregarlo alla squadra B del Siviglia a soli 18 anni. A distanza di tempo i due si sono ritrovati a Roma, non è un caso che El Monito sia stato uno dei più apprezzati fin dai primi giorni di Pinzolo e che Di Francesco lo reputi ideale per il suo gioco. «Non devi stare così aperto» gli ha urlato durante le partitelle in Trentino, provandolo non più largo a sinistra ma vicino all’attaccante di riferimento, più dentro il campo e quindi più prolifico in zona gol. Soprattutto per lasciare spazio sulla fascia al terzino che si sovrappone e avanza, come vuole il suo gioco. Anche il prossimo obiettivo di mercato sarà un esterno d’attacco, per rinforzare la batteria di destra e portare in giallorosso un giocatore già pronto, che alzi il livello tecnico. I tifosi aspettano Monchi, a Roma come fu a Siviglia. E lui ha sempre replicato: «Non esistono cattivi acquisti ma solo cattivi rendimenti».