Le seconde squadre sono una soluzione?

Sono le proposte dei candidati alla presidenza Figc come modo per risollevare il calcio italiano: gli esempi negli altri Paesi europei.

Il tema delle seconde squadre fa capolino in Italia all’indomani dell’eliminazione da Brasile 2014. Alla sconfitta contro l’Uruguay fanno seguito le dimissioni del presidente federale Abete e del ct Prandelli. Tra i principali sostenitori dell’introduzione delle squadre B c’era e c’è tuttora Demetrio Albertini, sfidante di Carlo Tavecchio alle elezioni che si tennero l’11 agosto di quell’anno. L’ex centrocampista del Milan e della Nazionale portava con sé l’esperienza al Barcellona, tra gennaio e giugno del 2005: «Le seconde squadre restano la ricetta giusta. Lo dico a ragion veduta: Messi fece le sue prime partite con me al Barcellona provenendo dal Barça B». La questione si è riproposta con la mancata qualificazione al Mondiale di Russia: i tre, per il momento, candidati alla guida della Figc parlano di seconde squadre nei rispettivi programmi. Cosimo Sibilia e Damiano Tommasi ne propongono l’inserimento immediato nel campionato di Serie C; più cauto Gabriele Gravina, disponibile sebbene al termine di «un ampio confronto tra le leghe».

Nel maggio scorso Pep Guardiola ha bocciato il modello inglese delle squadre riserve, auspicando l’adozione di quello spagnolo: «Il problema è che questi giocatori non giocano in un campionato competitivo. Tra prima e seconda squadra c’è una differenza troppo grande. In Spagna i giovani affrontano rivali di buon livello di 28/30 anni, anche di fronte a 40 mila persone e questa è la cosa migliore per la loro formazione, non allenarsi a volte con la prima squadra», ha spiegato il tecnico del Manchester City. Fino al 2012 in Inghilterra si disputava la Premier Reserve League, poi è stato varato l’Elite Player Performance Plan, finalizzato alla crescita dei giovani calciatori inglesi, che ha ridisegnato la mappa dei campionati giovanili. Dalla stagione 2016/17, dopo 4 anni di Under 21 Premier League, ha preso il via la Premier League 2, campionato Under 23: 12 squadre in prima divisione e 12 in seconda, con promozioni e retrocessioni.

Apoel Nicosia v Tottenham Hotspur - UEFA Youth League
Apoel Nicosia contro Tottenham, stadio Makarion, Nicosia

La Spagna

Proprio la carriera di Guardiola allenatore ha avuto inizio nella squadra B del Barcellona. Una stagione, 2007/08 che gli apre le porte della prima squadra, dopo aver raggiunto la promozione dalla Tercera División (quarta serie spagnola) alla Segunda B, con Busquets e Pedro Rodriguez titolari. In Spagna le seconde squadre esistono dagli anni ’50, quando il sodalizio con alcune società minori avveniva per ragioni di convenienza sportiva ed economica. Collaborazioni nate sotto forma di affiliazioni con lo scopo di fornire alternative giovani a basso costo ai club più blasonati in tempi di ristrettezze economiche per l’intero paese, sotto isolamento politico ed economico fino al 1953. In quel periodo, nel 1952, la seconda squadra del Valencia aveva centrato la promozione in Primera División, ma l’allora presidente Luis Casanova rinunciò all’iscrizione al campionato del Valencia Mestalla: «Sarebbe come iniziare con 4 punti già conquistati: significherebbe giocare sporco», spiegò il numero uno del club. La vicenda, unita a quella dell’España Industrial (che da squadra B del Barcellona ottenne la promozione in Serie A nel 1956 e, pur di partecipare al massimo campionato, decise di cambiare nome in Club Deportivo Condal e di svincolarsi dal club di riferimento), convinse la Federazione a stabilire che la Segunda División deve essere il palcoscenico più ambizioso per le seconde squadre quando il club di riferimento si trova nella massima serie. Più in generale la seconda compagine un club deve trovarsi almeno una categoria al di sotto della squadra principale.

Allo stato attuale nella Serie B spagnola militano Barcellona B e Sevilla Atletico, mentre sono 12 i filial impegnati nei quattro gironi della terza serie (Celta B, Atlético Madrid B, Real Madrid Castilla, Deportivo Fabril – squadra B del Deportivo La Coruña –, Real Sociedad B, Athletic Bilbao B,  Cd Vitoria – squadra B dell’Eibar –, Villarreal B, Valencia Mestalla, Peralada – squadra B del Girona –, Betis B, Las Palmas B) e 6 quelli che disputano l’equivalente della nostra Serie D (Atlético Malagueño, Alaves B, Espanyol B, Atlético Levante, Getafe B, Leganés B). Dunque 14 società delle 20 che giocano in massima serie consentono ai propri tesserati – tutti Under 23 o Under 25 se con un contratto da professionisti – delle squadre B, di maturare esperienza tra Serie B e Serie C, rimanendo sotto l’egida del club proprietario del cartellino. Le squadre principali possono schierare, senza limite alcuno i giocatori delle seconde squadre. Per citare l’esempio fatto da Albertini, Messi è sceso in campo 17 volte con la maglia del Barcellona B in Serie C nella stagione 2004/05 (mettendo a segno 6 gol) e 7 volte in Liga con quella della prima squadra. Quest’anno Valverde ha potuto schierare titolare per tre volte in Coppa del Re il ventenne Carlos Aleñá, il quale continua a giocare con regolarità agli ordini di Gerard López in stadi impegnativi come La Romareda di Saragozza.

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Anderlecht-Barcellona in Uefa Youth League

Vale per i più precoci, ma anche per quelli che impiegano più tempo a sbocciare: si pensi ad Álvaro Odriozola della Real Sociedad, uno dei migliori terzini destri della Liga, campionato in cui ha debuttato soltanto un anno fa all’età di 21 anni, dopo però aver accumulato 86 presenze nella squadra riserve del club di San Sebastián. Odriozola risultava tra i 23 convocati del ct Celades per gli ultimi Europei Under 21, competizione persa in finale dalla Spagna contro la Germania. Rassegna in cui l’Italia è arrivata con una rosa altamente competitiva, giudicata da molti come una delle migliori dai tempi dell’ultimo Europeo vinto nel 2004 con Gentile in panchina. La semifinale contro la Spagna ha messo in evidenza la maggiore abitudine dei giovani calciatori spagnoli a giocare partite che contano. Sommando le presenze in Champions League accumulate dai 23 a disposizione di Celades, ben 70 erano le gare disputate da Asensio e compagni (con Saúl Ñíguez a fare la parte del leone con 30 incontri disputati, più 8 in Europa League), a fronte delle 4 degli azzurrini (3 per Rugani con la Juve, 1 per Petagna ai tempi del Milan).

Anche il numero delle partite messe assieme in massima serie mostra uno scenario favorevole ai giocatori della Rojita: in media 13 gare in più per ognuno degli spagnoli (53,9 contro le 40,17 dei ragazzi di Di Biagio). A eccezione di Bellerín (acquistato dall’Arsenal a 16 anni), Merino, Vallejo e Asensio (lanciati subito tra i grandi da Osasuna, Real Saragozza e Mallorca), sono tutti passati per le seconde squadre, una sorta di rodaggio funzionale all’ingresso in prima squadra. Rodaggio affidato principalmente ai prestiti dalle nostre parti: maggiore è infatti il numero di presenze messe assieme dai 23 azzurrini nel campionato di Serie B (751 contro le 477 spagnole). Allargando lo sguardo alla nazionale di Lopetegui, e prendendo in considerazione la sfida contro l’Italia del 2 settembre scorso (decisiva per le sorti della qualificazione a Russia 2018) appare ancora più chiaro il peso delle seconde squadre sulla formazione dei calciatori spagnoli: solamente Piqué, acquistato dal Manchester United all’età di 17 anni, non ha accumulato presenze nelle seconde squadre, tra i 22 calciatori delle Furie Rosse inseriti nella distinta di gara. Ginés Meléndez, coordinatore delle giovanili della nazionale spagnola, ha spiegato le ragioni del successo: «Un giocatore di talento cresce di più se gioca in competizioni di livello superiore. Un ragazzo con molta qualità migliorerà più lentamente in competizioni inferiori, perché gli riuscirà tutto con semplicità. Giocando contro giocatori di livello superiore si sforzerà di più e il miglioramento sarà evidente».

AS Monaco FC v Tottenham Hotspur FC - UEFA Youth Champions League
Monaco e Tottenham al campo di allenamento La Turbie di Montecarlo

Tutti contenti dunque? Non esattamente. Protestano i sostenitori di molte squadre, nobili decadute o realtà di provincia, finite ai margini della piramide calcistica con tutte le difficoltà che porta con sé risalire, se si pensa che dalla C alla B spagnola vengono promosse 4 squadre, (passano tutte per i playoff che si protraggono fino a fine giugno) su 80 ai nastri di partenza. Con l’effetto finale, secondo alcuni, di aumentare le differenze tra club ricchi e meno ricchi. Problematica può essere la questione connessa alla competitività del campionato in alcuni specifici casi come quando una squadra sa che dovrà abbandonare la categoria indipendentemente dalle proprie performance qualora il club di riferimento sta per retrocedere o è già retrocesso. Oppure quando si raggiunge la qualificazione a dei playoff che per regolamento non potranno essere disputati, come avvenuto nel 2013/14 al Barcellona B guidato da Eusebio Sacristán.

La Germania

Il dato relativo agli Under 21 tedeschi sarebbe stato anche più significativo rispetto a quello degli spagnoli se il ct della nazionale maggiore Joachim Löw non avesse convocato Ginter, Henrichs, Goretzka, Sané e Werner per la Confederations Cup in Russia. Nonostante la rinuncia a cinque calciatori così importanti, la selezione guidata da Stefan Kuntz si è aggiudicata il titolo, forte comunque delle 1164 presenze collezionate nella massima serie dai 23 calciatori convocati per la rassegna in Polonia (21, se si considera che il portiere titolare Pollersbeck ancora doveva debuttare in Bundesliga, e la riserva Schwabe gioca tuttora nella B tedesca), e delle 49 gare disputate in Champions League. Tutti tranne Gnabry sono passati (anche per una sola gara, come Meyer) per le seconde squadre, anche se, è bene chiarirlo, il modello tedesco delle squadre riserve differisce da quello spagnolo.

Le seconde squadre in Germania possono giocare al massimo in terza serie, non sono previsti limiti di età e i calciatori della formazione riserve possono passare in prima squadra (e viceversa) sempre. Attualmente solo il Werder Brema II milita nella 3 Liga. Altre 14 si dividono tra i cinque gironi della Regionaliga (al Nord Amburgo II, Wolfsburg II, Hannover II; nel girone West Borussia Dortmund II, Borussia Moenchengladbach II, Colonia II; nel gruppo Nordost l’Hertha Berlino II; nel Sudwest Friburgo II, Mainz II, Hoffenheim II, Stoccarda II; in Baviera Bayern Monaco II e Augsburg II), mentre il Bayer Leverkusen e l’Eintracht Francoforte hanno deciso di rinunciare alla propria squadra B, concentrando le risorse sulle squadre Under 17 e Under 19, una volta venuta meno l’obbligatorietà nel 2014. L’estate scorsa si è aggiunto il Lipsia, che, dopo essere arrivato terzo nel suo girone di Regionaliga, ha annunciato tramite il ds Rangnick la cancellazione della seconda squadra, per via dell’eccessivo divario tecnico fra le categorie. Divario tale da non giustificare lo «sforzo umano e logistico» delle società che investono sulle seconde squadre. Guardando alla nazionale maggiore, prendendo come riferimento Germania-Norvegia del 4 settembre scorso (la qualificazione al Mondiale non era ancora archiviata per i tedeschi), dei 22 a disposizione di Löw soltanto Ginter (direttamente in prima squadra nel Friburgo a 18 anni), Goretzka e Draxler (in linea con quanto avvenuto anche con Ozil e Meyer, una presenza per uno: allo Schalke i fantasisti vengono promossi molto presto tra i grandi) non erano passati per la squadra riserve. I frutti raccolti dal sistema calcio tedesco sembrano più dipendere dalla riforma dei settori giovanili, iniziata dopo il deludente Europeo del 2000: un investimento di circa 300 milioni di euro, 366 centri federali distribuiti sul territorio più 45 centri d’eccellenza, 1300 osservatori che visionano annualmente 600 mila ragazzi, ma soprattutto un differente approccio nell’insegnamento del gioco, con più tecnica individuale e meno attenzione alla prestanza fisica, tradizionale del calcio tedesco d’altri tempi.

Paris Saint-Germain-Roma, Uefa Youth League, a Poissy in Francia

Per quanto riguardo le seconde squadre, il modello francese si avvicina molto a quello tedesco, poiché i club possono iscrivere le proprie riserve in campionati dalla quarta serie in giù, senza limiti di età. Monaco, Nizza, Marsiglia, Psg, Lione, Lille e Rennes sono le uniche a schierare la propria squadra B nella National 2 francese. Al modello spagnolo guarda in parte il Portogallo, laddove Benfica B, Braga B, Porto B, Sporting Lisbona B, e Vitoria Guimarães B giocano in Liga Pro, la Serie B portoghese in cui a condurre la classifica è proprio la seconda squadra del Porto, già vincitrice nella stagione 2015/16. Sebbene il livello del campionato non sia dei più alti, dal 2012, anno dell’introduzione delle seconde squadre in seconda divisione, qualche piccolo risultato è maturato. Se si pensa a João Cancelo e Bernardo Silva, capaci di mettersi in mostra nel Benfica B e di essere acquistati rispettivamente dal Valencia e dal Monaco senza aver mai giocato in prima squadra il primo e con una sola presenza il secondo. Da considerare anche i casi di Guedes, Bruma, Gelson Martins, Rúben Semedo, Renato Sanches e André Silva: tutti con più di 20 presenze in Liga Pro. In Portogallo le squadre riserve non possono partecipare alla coppa nazionale, possibilità concessa in Spagna fino al 1991 e in Germania fino al 2008. Non senza distorsioni: nel 1980 la finale di Coppa del Re al Bernabeu vide affrontarsi Real Madrid e Real Madrid Castilla (finì 6-1 e il filial disputò addirittura la Coppa delle Coppe l’anno successivo, uscendo per mano del West Ham); l’Hertha Berlino II nel 1993 raggiunse la finale di Coppa di Germania e soltanto un gol di Kirsten regalò il trofeo al Bayer Leverkusen.

 

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