Enigma Udinese

Cinque allenatori in tre stagioni, giocatori meteore, risultati deludenti: che fine ha fatto l'Udinese versione alta classifica?
di Francesco Cosatti 14 Ottobre 2016 alle 12:46

Quando Luigi Delneri parla per la prima volta da allenatore dell’Udinese, gli scappa qualche battuta in friulano. Quello “della bassa”, per lui nato ad Aquileia, più vicina a Grado e al mare che a Udine, e che ha una leggera cadenza veneta. Le sue risposte sono tradotte e pubblicate in inglese sui social della società: in questi due estremi linguistici (il friulano del friulano Delneri e l’inglese smart della comunicazione globale) c’è la sintesi di quanto si sta vivendo a Nord-Est.

L’ingaggio di Delneri, quinto allenatore in tre stagioni (Stramaccioni, Colantuono, De Canio, Iachini i suoi predecessori), mostra un’evidente difficoltà nel trovare continuità nel progetto tecnico dell’Udinese. Una retromarcia rispetto al trend delle ultime dieci stagioni, quando si è formato e sviluppato il modello Udinese. Una squadra che da piccola società provinciale della Serie A si è trasformata in un riferimento per innovative metodologie di lavoro, sia in ambito societario che sportivo. Dalla prima volta in Champions League nel 2005 (conquistata da Luciano Spalletti al termine di un triennio di lavoro) ai successi in Europa League (i tre anni di Pasquale Marino dal 2007 al 2010) fino al punto più alto, la conquista per due anni consecutivi del preliminare di Champions League con Francesco Guidolin (2010-2014). Già nell’ultima stagione di Guidolin, con i bianconeri finiti tredicesimi, gli scricchiolii si erano avvertiti, ma il rumore si è fatto più forte nelle stagioni a seguire. Senza mai arrivare al tonfo di una retrocessione, ma relegando la squadra sempre nella classifica bassa di destra della serie A. Un percorso diverso dalla consorella britannica: dal 2012 la famiglia Pozzo è proprietaria anche del Watford (mentre il Granada è stato ceduto) e, dopo aver conquistato la Premier League due stagioni fa, oggi ha crescenti ambizioni. Per i tifosi bianconeri ogni successo degli Hornets provoca un po’ di invidia, per un’attenzione sempre più crescente da parte della proprietà: vedasi anche il trasferimento a Londra di Gino Pozzo, figlio di Giampaolo e uomo di riferimento della gestione del mercato di entrambe le squadre.

UDINE, ITALY - AUGUST 28: Felipe Dal Bello of Udinese calcio celebrates after scoring his opening goal during the Serie A match between Udinese Calcio and Empoli FC at Stadio Friuli on August 28, 2016 in Udine, Italy. (Photo by Dino Panato/Getty Images)

I giocatori dell’Udinese festeggiano il primo gol contro l’Empoli, lo scorso 28 agosto (Dino Panato/Getty Images)

A Udine non si è sentito nessun tonfo, anzi si sono sentiti grossi squilli. Determinati da un cantiere che ha dato vita, in meno di tre anni, a uno degli impianti più moderni d’Italia. Un gioiellino da 25 mila coloratissimi posti, che unisce la modernità dei suoi tre nuovi lati a una tribuna completamente ristrutturata. Attorno al nuovo impianto e alla società si sono accese le luci dell’attenzione mediatica di tutto il mondo,  anche perché contemporaneamente si è sviluppata moltissimo l’area della comunicazione: dalla Champions League 2005 vissuta senza un vero e proprio responsabile comunicazione in trasferta a un nuovo canale tematico (prima Udinese Channel, poi Udinese Tv) capace di conquistare uno spazio nel palinsesto dei tifosi, fino alla tv via streaming e al potenziale dei canali social.

Ma cos’è successo sul campo, dove l’Udinese è arrivata sedicesima due anni fa e diciassettesima la scorsa stagione? A Udine si è vissuto un cortocircuito tecnico, in quelle che sono state le ultime due annate del totem Antonio Di Natale (chiuse con 14 e 2 gol in campionato rispettivamente). Stagioni in cui a Udine non è sbocciato nessun grande puro talento in grado di prendere per mano la squadra. Spieghiamo: il modello Udinese che ha funzionato negli ultimi dieci anni si è basato sull’esplosione costante di giocatori, talenti il cui valore sia tecnico che economico spesso si è decuplicato negli anni friulani. Tant’è che al migliore della rosa all’inizio della stagione spesso si augurava di essere il prossimo a partire. Udine come piattaforma ideale per crescere in tranquillità per un paio di stagioni, e poi fare il grande salto verso le metropoli italiane ed europee. Un salto che dal 2014 è venuto a mancare, nonostante alcuni eccellenti nomi ci fossero eccome: Vydra, Muriel, Bruno Fernandes, Widmer o altri fatti crescere altrove come Candreva o Zielinski. Un salto mancato soprattutto da alcune meteore che a Udine però non sono passate inosservate (da Maicosuel a Guillherme, a Torje, a Iturra). Gli ultimi a completare la crescita in Friuli prima del grande salto sono stati Pereyra (alla Juve) e Allan (al Napoli). Nessuna nuova grande stella in uno spogliatoio sempre più internazionale, in cui è vero si sono rivisti alcuni giocatori made in Friuli (Scuffet, Meret, Pontisso) ma in cui l’addio di uomini spogliatoio come Pinzi, Pasquale e Domizzi (oltre a quello di Totò) ha ridotto all’osso il gruppo italiano. In attesa che il lavoro iniziaton con Udinese Academy porti i primi risultati in prima squadra.

La partita copertina dell’Udinese di Iachini: la vittoria a San Siro contro il Milan

Stagioni difficili che hanno demoralizzato l’ambiente, ma non ucciso la passione dei tifosi. L’ultima campagna abbonamenti infatti ha chiuso in crescita rispetto alla precedente (siamo intorno ai diecimila abbonati, +5% rispetto a dodici mesi fa), vuoi per lo stadio nuovo, vuoi per una politica di prezzi contenuti voluta dalla società. Ma proprio la nuova bellissima casa dell’Udinese ha portato nuove polemiche in Friuli, per la decisione di vendere la sponsorizzazione del nome dell’impianto, battezzato Dacia Arena. Società da una parte, una gran parte dei tifosi dall’altra (e nel mezzo il Comune) che richiede a gran voce che venga mantenuta la storica denominazione, sentendosi scippati dell’identità. Critiche che non sono servite a rasserenare l’ambiente, che in estate aveva accolto il nuovo allenatore Iachini con diverse perplessità. Oggi tocca proprio a Delneri, forte della sua friulanità, riavvicinare attraverso il lavoro sul campo quei tifosi che chiedono all’Udinese di tornare ad essere l’Udinese. Talento e organizzazione, per una provinciale di successo. In qualsiasi modo si dica, in friulano o in inglese.

 

Nell’immagine in evidenza, la delusione dei giocatori dell’Udinese dopo la sconfitta con il Chievo (Dino Panato/Getty Images)
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