Cosa vuole fare van Basten?

Fuorigioco, espulsioni a tempo, shoot out e tempo effettivo: abbiamo analizzato le modifiche al regolamento proposte dall'olandese.

La Fifa sta cambiando. Il passaggio di consegne da Blatter a Gianni Infantino sta portando più novità di quanto ce ne aspettassimo. La prima, e più rilevante, è di certo il Mondiale del 2026 a 48 squadre; un mega-torneo che non piace ai più, a causa dell’ampliamento del numero di Nazionali coinvolte nella più importante competizione calcistica, che ridurrà, di conseguenza, l’importanza delle qualificazioni. Già da tempo inoltre si è iniziato a paventare l’utilizzo della, volgarmente detta, “moviola in campo”. La Var e le sue applicazioni nel Mondiale per club e in altre competizioni minori hanno dimostrato una validità oggettiva del mezzo, ma anche la necessità intrinseca di regolamentarla in maniera molto stretta. Lasciarla alla discrezione soggettiva, comporta quasi inevitabilmente errori grossolani da parte degli arbitri, tra attese e ripensamenti.

In questo clima di rinnovamento ha detto la sua, in un’intervista di qualche giorno fa alla Bild, il Cigno di Utrecht, Marco van Basten. Lo ha fatto in qualità di responsabile dell’innovazione tecnologica della Fifa, quindi, vista la strada intrapresa, il principale collaboratore di Infantino. Le sue, ormai celebri, proposte hanno alzato una levata di scudi quasi unanime. Il tecnico del Rennes, Christian Gourcuff, papà di Yohann, ha detto senza mezzi termini che si tratta della «peggior spazzatura che io abbia letto in molto tempo. È una merda incommensurabile». Al di fuori dell’inutile volgarità espressa da un personaggio pubblico, la critica dell’allenatore francese è rivolta unicamente verso la “questione del fuorigioco”: la sua abolizione, proposta da van Basten, andrebbe a colpire una regola fondamentale del calcio, «se non lo capisci, non capisci proprio il calcio». Gourcuff a sua insaputa tocca il nocciolo della questione.

Capire. Nessuno si è preso la briga di comprendere fino in fondo le proposte di van Basten, tutte, nessuna esclusa. Perché un dirigente della Fifa è arrivato a proporre idee che paiono provocazioni? Perché si sente la necessità di cambiare qualcosa nel calcio attuale? Cosa c’è oltre l’abolizione dell’amato fuorigioco? Rispondere a queste domande significa capire. Dopo, si può giudicare liberamente.

L’abolizione del fuorigioco

Delle regole del calcio è di gran lunga la più difficile e la più riformata. Sin dalle origini di questo sport ci si è posti il problema della presenza di giocatori oltre la linea degli avversari. Inizialmente per motivi puramente etici, non attaccare l’avversario alle spalle, successivamente invece, quando il gioco del calcio ha voluto chiudere la sua parentesi rugbistica di passing game, diventando un dribbling game, per obbligare chi attaccava ad affrontare l’avversario senza lanci lunghi (almeno limitarli), ma con una sfida uno contro uno. I difendenti tra la palla e l’attaccante per definire una situazione di fuorigioco sono andati via via diminuendo: originariamente erano quattro, poi solamente due.

Le piccole riforme della regola non sono paragonabili a quelle del 1990 e del 2010. La prima, la più significativa è l’abolizione del fuorigioco in linea. L’attaccante che si trova sulla stessa direttrice del penultimo difendente non è più punibile. A quel tempo il Presidente era João Havelange, mentre il segretario generale Joseph Blatter. Lo svizzero, che prenderà nel ’98 il post del brasiliano, invece è coinvolto nella modifica dell’offside del 2010, con la limitazione della sanzione per il fuorigioco passivo. Le dinamiche per il quale il guardalinee debba o meno alzare la bandierina sono diventate, se possibile, ancor più complesse, esacerbando la soggettività delle decisioni. Mentre la regola cambiava, a Italia ’90 era possibile vedere errori così.

I numerosi cambiamenti concernenti il fuorigioco avevano fin dall’inizio l’obiettivo di velocizzare il gioco e renderlo, in un certo qual modo, più onesto. Non appena però, già nei lontani anni ’20, la regola è passata dai tre difendenti tra il pallone e l’attaccante ai due, i mister di tutto il mondo si sono messi in moto per trovare la chiave di volta, pronta a scardinare le velocità imposta al gioco. Per evitare l’aumento del numero di goal (che ci fu comunque), la soluzione fu quella di rinforzare la difesa: da quel momento si è segnato il successo del WM di Chapman con un mediano più arretrato al centro, evolutosi nella MM dei magiari di Puskás, fino al catenaccio italiano. Se il campo si restringe, noi lo intasiamo, alziamo il baricentro, finiamo per pressare fin nell’area avversaria come ci insegna il gegenpressing di Schmidt e Klopp. Il fuorigioco è la regola davvero più importante del calcio.

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15 calciatori in non più di 20×20 metri

Cosa vuole fare van Basten?

Detto questo, il Cigno di Utrecht coglie una problematica del sistema calcio attuale: «Il calcio è sempre più simile alla pallamano», in cui il gioco è molto statico e le difese si trincerano su una linea a pochi metri dalla porta. Al troppo tatticismo si può ovviare, secondo lui, con l’abolizione del fuorigioco, che favorirebbe la spettacolarità delle partite, allungando le squadre per tutta l’estensione del campo. Se infatti negli ultimi anni si è puntato ad “allargare” tatticamente il terreno di gioco, con questa rivoluzione copernicana si tornerebbe a uno stile completamente verticale.

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La paura di van Basten.

Considerazione finale

Cito Wenger, che con l’uso stringente della logica ha dato un buon punto di vista sull’idea di van Basten. Parlando del fuorigioco ha detto: «Si tratta di una regola intelligente […] la gente dice che il calcio è troppo stretto e compatto, ma è sempre stato così, la difesa crea un problema all’attacco e l’attacco deve trovare una soluzione». La funzionalità del fuorigioco è fondamentale. L’idea del basket o dell’hockey ad esempio (dove non esiste questa regola nella sua accezione calcistica) non è applicabile al gioco del calcio, per un semplice motivo: gli spazi. Un campo di calcio supera i 100 metri di lunghezza, gli altri due vanno dai 60 ai 28 metri. Vedremmo stazionare attaccanti sul palo del portiere, difensori costretti a guardarsi di più le spalle e poco davanti a loro, diventando sempre di più estranei al gioco offensivo. La spettacolarità quindi diminuirebbe in favore di un numero maggiore di goal. Ma alle volte nel calcio, anche un bello 0-0 sa essere spettacolare. Il cambiamento non sempre porta miglioramento.

Senza è meglio, ma non nel calcio.

Espulsione a tempo e per numero di falli

Da sempre nel calcio sono esistite le sanzioni disciplinari in seguito a un fallo di gioco. Ammonizione ed espulsione non erano però esattamente così, come le conosciamo noi. L’arbitro le gestiva a livello verbale, rischiando di generare situazioni assurde e comiche come quella del 1966: Ken Aston comunica al capitano dell’Argentina Antonio Rattín di dover abbandonare il campo, ma lui finge per oltre 10 minuti di non capire, girovagando liberamente per il terreno di gioco.

Serve qualcosa di chiaro ed è lo stesso Aston a idearla: «Yellow: take it easy. Red: stop, you’re off». Semplice e comprensibile anche dagli spalti. I cartoncini di diverso colore vengono applicati al Mundial messicano del ’70, per la prima volta da Kurt Tschenscher per quanto riguarda l’ammonizione (vittima è il georgiano-sovietico Asatiani), mentre la prima espulsione con cartellino rosso in gare internazionali avverrà quattro anni dopo in un incontro tra Germania Ovest e Cile (stavolta toccherà al cileno Carlos Caszely per fallo su Berti Vogts).

L’espulsione di Rattin con un gesto della mano.

Cosa vuole fare van Basten?

Van Basten stavolta si ispira all’hockey che a sua volta ha attinto dalla tanto vituperata pallamano: espulsioni a tempo. L’obiettivo è punire un calciatore che interviene fallosamente, penalizzando la squadra per un tempo limitato e non per l’intero match. È paragonabile al cartellino giallo del rugby: 10 minuti effettivi fuori dal campo per un fallo ritenuto grave ma non abbastanza per essere considerato da rosso (cosa rara nella palla ovale, basti pensare che in uno degli ultimi test match dell’Inghilterra, Elliot Daly ha subito un cartellino rosso che mancava alla Nazionale dei Tre Leoni dal 2005). L’espulsione arriverebbe, sempre secondo l’olandese, quando un calciatore ha superato un certo numero di falli. Servirà quindi un lavoro congiunto di assistente a bordo campo e arbitro per annotare ogni fallo dei giocatori in campo.

Considerazione finale

Ci sono delle domande irrisolte e centrali riguardanti questa proposta di van Basten, che forse avrà l’occasione di spiegare meglio di fronte all’Ifab, International Football Association Board, i legislatori del calcio: quali falli vanno sanzionati con l’espulsione a tempo? Qual è il numero di falli adatti per comminare quella definitiva? E soprattutto, che tipo di falli vanno contati in questa somma finale? Delle proposte di van Basten, questa sembra quella meno strutturata, pur essendo una delle più interessanti. Stavolta si potrebbe davvero mutuare qualcosa dal rugby: l’espulsione per numero di falli crea problemi per qualità e quantità, quindi meglio virare, come consiglia anche Fabio Capello, per una punizione a tempo per i falli che meriterebbero il cartellino “arancione” (sarebbe comunque da definire quali vadano considerati tali dall’arbitro). Qualcosa di questa proposta può essere recuperata, ma di certo non manderanno in soffitta i cartellini inventati da Aston, anzi se ne potrebbero aggiungere qualcuno in più.

“I’ve just one option..is the red card”, così l’arbitro giustifica la sua decisione

Shoot-out

Il calcio di rigore esiste di fatto da quando il football inglese ha iniziato a regolamentarsi seriamente. Storicamente si attribuisce la paternità al portiere nord-irlandese William McCrum nei lontani anni ’80 dell’Ottocento. L’idea era quella di frenare l’irruenza dei difensori sotto porta, punendoli severamente con un tiro, senza difesa, dagli 11 metri (10,89 per l’esattezza). Un duello rusticano che convinse anche l’Ifab a introdurlo nel 1891, anche se ancora le aree di rigore non erano delimitate. Delle regole del calcio è quella meno riformata, se non per i casi di punizione a due in area, e più soggettiva nei casi in cui si ritiene una sanzione necessaria: tutto è nelle mani dell’arbitro che decide a sua libera interpretazione se il fallo sia o meno da rigore.

Il calcio statunitense era anche questo.

Cosa vuole fare van Basten?

La proposta di van Basten non intacca la soggettività dell’arbitro, ma punta i riflettori sulla poca spettacolarità dei rigori. «Nei rigori tutto si chiude in un secondo», c’è poco pathos, poca adrenalina secondo il Cigno di Utrecht. A suo dire la bravura del singolo espressa nella sua tecnica di gioco viene anche penalizzata dalla trasformazione stessa di un rigore. Lo possono sbagliare tutti e segnare tutti: così abbiamo portiere rigoristi infallibili o calciatori di qualità infinita che rischiano l’errore, come capitò poi allo stesso van Basten ad Euro ’92 contro la Danimarca di Schmeichel.

In realtà non stiamo parlando dell’abolizione in generale dei tiri dal dischetto; questa proposta infatti fa da sponda volontariamente all’idea di Infantino sul  Mondiale a 48 squadre. Il Presidente della Fifa ha infatti in mente di abolire il pareggio in quei famosi e futuri Mondiali del 2026, anche dai gironi. In questi casi quindi, oltre che nelle sfide ad eliminazione diretta, si applicherebbero gli shoot-out: «In 8 secondi e partendo da 25 metri il giocatore deve puntare la porta e chiudere l’azione. Lo trovo spettacolare per i tifosi e interessante per i giocatori., con gli shoot out ci sono diverse possibilità». Gli shoot-out non sono un’idea nuova: applicati negli Usa sia ai tempi della Nasl negli anni ’70, sia vent’anni dopo nella nuova Mls, vennero abbandonati rapidamente, non tanto perché non convincessero, quanto per il simbolo di una diversità fin troppo palese del calcio americano da quello europeo.

Brutti ricordi, Marco?

Considerazione finale

Pensiamo agli shoot-out e ci vengono in mente i trofei Birra Moretti. Questo ha già segnato negativamente l’idea di van Basten: quello è un calcio estivo, quasi obbligatoriamente spettacolare. Niente a che vedere con una sfida ai rigori tra Italia e Francia ai Mondiali. Nessuno si immagina Grosso correre deciso verso Barthez per portare in bacheca la quarta Coppa del Mondo. L’appeal dei calci di rigore, nel suo concetto intrinseco di essere una “lotteria”, è molto affascinante e spettacolare. La tensione è alle volte più accattivante di un bel gesto tecnico.

Ciò che non piace e convince però di questa proposta, è più che altro la sua correlazione con l’idea di Infantino. Il calcio si differenzia dalla maggior parte degli altri sport, proprio per la possibilità di pareggiare. Non si può prescindere da questo cardine, molto più centrale di qualsivoglia fuorigioco o rigore.

Si può essere spettacolari anche con un rigore.

Tempo di gioco effettivo

I cambiamenti del gioco del calcio già nell’Ottocento erano volti a rendere questo sport più appassionante per gli spettatori. Non è un caso che una delle prime riforme britanniche toccò la durata di una partita. Non più due ore, ma 90 minuti, spezzati in due frazioni da 45′ e con un periodo addizionale di recupero del tempo perso. Il tempo diminuisce assieme a quello effettivo di gioco, ovvero quando la palla è in movimento e in possesso di una delle due squadre. Si gioca poco e i 90 minuti vengono spezzettati in un numero impressionante di interruzioni. La palla esce in media 60 volte dal terreno di gioco e non bastano i raccattapalle e i minuti di recupero a ovviare a queste inevitabili (alcune invece volontarie) perdite di tempo.

L’onestà prima di tutto

Cosa vuole fare van Basten?

Stavolta è difficile obiettare, al contrario si può implementare la sua proposta. Per combattere le perdite di tempo, van Basten vuole che gli ultimi 10 minuti di ogni partita siano effettivi; l’arbitro bloccherà il cronometro impedendo ai portieri di impiegare due ore per rinviare un pallone o ai giocatori di rimanere a terra senza motivo. La proposta ha intenzione di rimediare a un problema annoso che noi in Italia conosciamo bene, basti vedere come a distanza di qualche mese sia Spalletti (aprile 2016) che Allegri (gennaio 2017) si sono lamentati per il poco tempo di gioco effettivo. I dati di questa prima parte di stagione in Italia sono migliori rispetto al passato ma non di certo positivi: su 187 partite soltanto quattro volte la Serie A ha offerto agli spettatori più di un’ora di gioco effettivo, e ben 24 volte ne ha offerto meno di 45’. La più virtuosa è stata la Fiorentina, presente in quei quattro match, mentre Cagliari e Milan per ben cinque volte sono rimasti sotto i fatidici 45 minuti. Nulla di paragonabile ai 31 minuti in Bologna-Roma dello scorso anno sotto il nubifragio.

Garcia la chiamò “parodia”.

Considerazione finale

Pensando a un futuro con l’applicazione generalizzata della Var, i tempi “morti” si allungheranno inevitabilmente; c’è bisogno di omologarsi ad altri sport come il rugby, cercando una soluzione adatta di gioco effettivo. La proposta di van Basten è da annoverare tra quelle soft, in quanto altri teorici del calcio del futuro immaginano un tempo effettivo di 60 minuti (nella Champions League corrisponde alla media di gioco effettivo). Addio alle perdite di tempo e ai tempi di recupero.

L’idea deve essere forse connessa a un ampliamento del numero delle sostituzioni: van Basten ha paventato di raggiungere i sei cambi a partita, addirittura volanti. Se un sistema stile hockey, sembra poco applicabile, ma non impossibile, un aumento delle sostituzioni è di fatto già avvenuta: nel Mondiale per club si è aggiunto un cambio nei supplementari, che in finale ha coinvolto proprio Cristiano Ronaldo. Basterà a mantenere il gioco a una velocità costante e a evitare infortuni e interruzioni?

Si era detto cambi volanti?

Il ruolo del capitano

Il capitano, identificato dalla fascetta sul braccio, ha onori e oneri. É colui che in campo deve collaborare con il direttore di gara, in quanto secondo le regole «è l’unico ad avere facoltà di interpellare l’arbitro, in forma corretta ed a gioco fermo, per chiedere chiarimenti in merito alle decisioni assunte e per formulare eventuali riserve».

Cosa vuole fare van Basten?

L’idea di van Basten è vecchia, semplice e logica: con l’arbitro parla solo il capitano; nessun accerchiamento o condizionamento degli arbitri. Il capitano assume un ruolo speciale rispetto ai compagni, che non avranno rapporti diretti con i direttori di gara, e anzi verranno puniti con sanzioni disciplinari in caso contrario.

Considerazione finale

Non si può assolutamente dire che van Basten non abbia ragione; ci sono poche cose meno edificanti nel calcio che le scene di “inseguimenti” degli arbitri dopo che hanno preso delle decisioni o gesti plateali nei loro confronti. Come abbiamo visto però, il capitano ha già quella funzione tutt’altro che simbolica. Con questa proposta sorgono subito dei piccoli intoppi: la legge esiste ma non viene applicata, quindi serve una sanzione netta per chi non la rispetti; inoltre la mentalità del calcio internazionale è mille anni lontana da questo obiettivo. Se c’è la necessità di consolidare una regola per costringere l’intero movimento a cambiare, ben venga un’idea, non nuova, come quella dell’olandese, anche se ci costringe di fatto a dire addio ai portieri capitani.

Gare a campo ridotto

Lunghezza del campo e numero di giocatori sono ormai fissi da “sempre”. Distinguiamo in maniera netta calcetto, calciotto e calcio a 11 in base proprio a quei due aspetti. Lo stesso avviene a livello giovanile, in cui i cambiamenti di campo e numero di calciatori muta con l’età.

Cosa vuole fare van Basten?

L’intenzione stavolta non è quella di toccare il calcio professionistico, «deve restare così, 11 contro 11». Il target a cui fa riferimento sono i tornei giovanili e gli over 45: per loro deve esserci un campo ridotto e gare 8 contro 8.

Considerazione finale

Di tutte le proposte è quello che si fa più fatica a recepire, non tanto per la sua utilità limitata, ma in quanto interviene su uno status quo non problematico e già parzialmente riformato dalla consuetudine. Tutti prima o poi abbiamo visto una partita tra bambini e fino a una certa età, quasi sempre prima dei “giovanissimi”, il calcio non è concepito a 11, ma con campi più piccoli al pari delle porte. Con la crescita c’è il “salto di categoria”: il terreno di gioco si allunga e lentamente i ragazzi si abituano al calcio dei grandi. I campionati giovanili già dimostrano a oggi una distanza significativa rispetto a quello professionistico e riformare, come vorrebbe van Basten, comporterebbe un ulteriore allontanamento tra i due mondi. Serve una rivoluzione seria del settore giovanile, questa sarebbe solamente un’occasione persa. Quando poi fa riferimento ai tornei over 45, in Italia grazie alla Uisp, Unione italiana sport per tutti, già esiste una distinzione interna tra 7, 8 e 11. Perché cambiare ciò che offre già un’ampia gamma di alternative?

Trick show under-9

Diminuzione delle partite stagionali

Le stagioni nell’ultimo decennio si stanno ampliando a dismisura. Gli impegni con le squadre di club più quelli con le Nazionali costringono i calciatori a disputare un gran numero di partite. Facciamo qualche esempio: tornando alla stagione dell’Inter del Triplete, 2009/10, i nerazzurri hanno disputato 57 partite tra campionato, Champions e Coppe nazionali. Un calciatore quasi sempre presente come Wesley Sneijder è sceso in campo, compresi gli impegni con la Nazionale olandese arrivata alla sfortunata finale di Coppa del Mondo in Sudafrica, 55 volte. Ancora peggio è andata a Cristiano Ronaldo nella scorsa stagione con la maglia del Real Madrid e del Portogallo, con le sue 60 presenze, tre più di Gianluigi Buffon. Tutto questo senza calcolare le amichevoli di preparazione o durante l’annata.

Alla fine di una stagione estenuante

Cosa vuole fare van Basten?

L’obiettivo è abbattere il numero di partite giocate in una stagione: la media attuale che fa van Basten, per singolo, è di 80 partite. L’intenzione è quella di passare a 50 per giocatore. Ciò comporterebbe una diminuzione degli impegni delle Nazionali e del numero delle squadre all’interno dei campionati, cosa già paventata in più di un’occasione per la Serie A.

Considerazione finale

L’intenzione di van Basten è nobile e da perseguire, in quanto la diminuzione delle partite stagionali renderebbero le 50 previste di una qualità sicuramente maggiore e diminuirebbero di conseguenza anche gli infortuni, ormai una costante piaga del calcio moderno. In realtà due cose possono essere opinabili nella sua proposta: il numero di partite previste non si discostano, come abbiamo visto da quelle attuali. Serve qualcosa di più “aggressivo” sia a livello nazionale che internazionale.

La questione che però apre un complesso rompicapo politico-calcistico in seno alla Fifa è la distanza tra le posizioni di van Basten rispetto a quelle di Infantino: se qualche proposta dell’olandese sembra fare da sponda ideale a quelle del Presidente svizzero, questa si oppone alla linea intrapresa con la più importante riforma attuata sotto la sua guida: il Mondiale a 48 squadre. Non si ancora bene come si svolgerà, ma probabilmente il numero di partite sarà lo stesso del solito Mondiale dal girone alla finale. È differente però la strada teorica che viene suggerita (anche ad esempio dall’Europeo appena giocato in estate in Francia): contrazione o allargamento del calcio internazionale? Siamo pur certi che tra poco si tornerà a parlare anche di una nuova Champions League, che non punti a cambiare solamente l’accesso alla fase finale. Verso quale via si punterà, quella di Infantino o di van Basten?

Secondo me Infantino preferisce i rigori agli shoot-out.