Quel senso di impotenza che attraversa gli avversari di Sinner

La semifinale contro Shelton è stata l'ennesima conferma: chi gioca contro Jannik, ormai, non ha più contromisure.

Per un bel po’ di anni, tutti gli appassionati di tennis che non amavano Djokovic – erano in tanti, sono in tanti – hanno vissuto molte partite uguali tra loro, quindi una sorta di incubo ricorrente. Erano partite in cui Djokovic sembrava destinato a perdere, ma poi alla fine vinceva. In rimonta, ribaltando uno o due set e poi inclinando la sfida verso di sé, imponendo il suo fisico inscalfibile, la sua classe imperiale, la sua mente tennistica superiore. Insomma, non importa come: in qualche modo Novak Djokovic batteva chiunque. E partendo da qualsiasi condizione, anche se durante la partita aveva trasmesso la sensazione di essere spacciato, sconfitto, o più semplicemente in difficoltà. Ecco, Jannik Sinner sta pian piano assumendo queste stesse sembianze, per i suoi avversari.

La semifinale degli Australian Open tra Sinner e Shelton è stata una di quelle partite. Perché l’americano ha iniziato il match come doveva iniziare, ha giocato il primo set in modo solido e creativo, la sua esuberanza fisica e tecnica ha mandato un po’ in sofferenza Sinner. Il break concesso in apertura e quello subito sul 5-5 sono due indizi piuttosto eloquenti, in questo senso. Poi, però, è proprio in quei momenti che si è manifestato quel qualcosa di ineffabile che differenzia – e che distanzia – i fuoriclasse dagli aspiranti fuoriclasse, i tennisti maturi da quelli in via di formazione: Sinner è riemerso, ha annullato due set-point facendo muovere a tergicristallo il suo avversario, ha strappato l’approdo al tie-break e l’ha letteralmente dominato. Con la calma negli occhi – anche se a un certo punto ha anche urlato un po’ di parolacce – e il fuoco nelle braccia e nelle gambe. La partita vera è finita sostanzialmente in quel momento, Shelton ha visto fallire il suo piano, andare avanti di un set e poi cercare di costruire la vittoria a partire da quello, ed è sostanzialmente imploso su se stesso. Al punto da mettere insieme la miseria di quattro game su 16.

La sintesi della semifinale

Dal punto di vista tecnico e tattico, non è che ci sia molto da aggiungere sulla partita tra Sinner e Shelton. Lo ha spiegato proprio Jannik nell’intervista concessa subito dopo la fine della partita: «Non ho idea di come sia riuscito a girare il primo set, che è stato duro e cruciale». E in fondo la magia – o la malvagità, a seconda che tu sia Sinner o un suo avversario, un suo tifoso o un suo detrattore – del tennis sta tutta qui, in questi switch improvvisi e anche inspiegabili che cambiano le partite, che determinano i tornei, le carriere dei giocatori. Il punto è che Sinner, praticamente da un anno e mezzo, è diventato così forte – a livello tecnico, a livello fisico, a livello mentale – che riesce a governare e superare i pochi momenti negativi che affronta. E a fare/prendersi tutti gli switch che servono. Non si spiegherebbero altrimenti le 20 vittorie consecutive negli Slam sul veloce, le 46 vittorie su 49 match giocati da quando è diventato numero uno del mondo. È tutto molto semplice: per battere Sinner, c’è bisogno che un giocatore speciale – da Rublev/Tsitsipas in su, viene da dire – sia in una giornata speciale.

Certo, è chiaro che poi bisogna dei distinguo. Il discorso si fa leggermente diverso se passiamo dal cemento all’erba oppure alla terra, se parliamo di certe sfide contro un certo Alcaraz. Poi naturalmente ci sono delle partite in cui Sinner non è al massimo e quindi non riesce a rendere al massimo, perché in fondo resta un essere umano. Ma ormai anche quelli sembrano essere diventati dei problemi superabili. Proprio contro Shelton, il tennista numero uno al mondo ha dovuto fermarsi, ha fatto intervenire per due volte il suo fisioterapista sulla coscia destra, ha detto chiaramente di aver avuto dei fastidi. Però poi ha finito la partita in modo cinico, viene da dire autoritario, anzi – l’ha confessato parlando coi giornalisti – ha voluto farlo in tre set ed è stato contento di esserci riuscito.

Probabilmente il senso di tutto questo discorso l’ha colto e spiegato meglio di tutti Alex De Minaur, un’altra delle “vittime” di Sinner agli Australian Open 2025: il tennista di Sydney, battuto in tre set ai quarti di finale, era stato criticato da un giornalista su X per il modo in cui aveva perso contro il numero uno al mondo; la sua risposta è stata ironica ma anche pungente: «Amico, peccato che tu non sei diventato un tennista professionista. Avresti giocato contro Jannik e avresti sicuramente trovato il modo di batterlo!». Ecco, De Minaur è stato il tennista numero 6 dell’ATP e adesso è ancora in Top 10, eppure crede e dice che non ci siano grossi margini per vincere contro Sinner. È l’esatta definizione dell’impotenza.