Oh ah, Cantona

Vent'anni fa The King tornava in campo dopo la squalifica di otto mesi per aver colpito un tifoso con un calcio. Intervista a uno dei personaggi più controversi, eppure più amati, del football.

Anche quando ti dice che il più grande giocatore del mondo è Javier Pastore non riesci a voler male ad Eric Cantona. Probabilmente ti sta prendendo in giro con lo sguardo più sincero del mondo, probabilmente è appena uscito da uno dei bar arrampicati sull’ultimo piano di uno degli hotel di Shanghai con il piano più ultimo di tutti. Ed è solo mattina. Probabilmente invece sta parlando seriamente, dannatamente seriamente, e tu ovviamente sorridi perché era questo che volevi sentire da lui. Ma, molto più probabilmente, vuole soltanto fare il Cantona.

Sono passati vent’anni da quel calcio più famoso del mondo. «Sì, era kung fu esattamente», e fare il Cantona da allora è diventato uno stile di vita. Solo che a viverlo ci riesce solo lui, Eric, e nessun’altro.

Era Crystal Palace-Manchester United quel giorno e lui per tutti era “the King”, il francese più amato dagli inglesi: in tribuna c’era pure Massimo Moratti, venuto a prenderlo per portarlo all’Inter, e allora a marcarlo gli avevano messo il bastardo più bastardo di tutti, Richard Shaw, uno che ti picchiava senza picchiarti. Spintoni, magliette tirate, insulti, tutto il repertorio di un difensore della bassa Inghilterra e poi il Re, lo avevano capito  gli avversari, era in modalità Cantona. Quarantotto minuti di tutto, con Alex Ferguson che chiede all’arbitro perché non avesse fatto “il suo fottuto lavoro” tirando fuori il cartellino, fino a quando Eric fa a modo suo risolvendo la sfida con un calcione. Non al pallone, però. Era quello che voleva Shaw, rosso, The King è fuori: «Passano giorni, mesi, anni in cui sopporti di tutto perché sai che devi farlo. Poi arriva il momento in cui le parole che hai sentito centinaia di volte diventano insopportabili: e in quel momento non puoi prevedere come reagirai». Back in France, fucking bastard: Matthew Simmons ha solo 20 anni e non sa che a suo modo sta per diventare immortale. Eric va verso gli spogliatoi ma improvvisamente si gira e prende la rincorsa verso la tribuna: «Sì, era kung fu esattamente. Sono stato carino con lui quel giorno: un tifoso non dovrebbe mai stare così vicino al campo. L’ho colpito e mi hanno portato via: non l’avevo mai visto prima, non l’ho mai più rivisto dopo».

Il colpo da “kung fu” di Cantona al tifoso del Crystal Palace, 25 gennaio 1995.

Shanghai, 20 anni dopo, Eric Cantona è in mezzo a gente che corre per spaccare il cronometro di un evento mondiale. Ci sono i Laureus Sports Awards, gli Oscar dello sport mondiale, e l’intervista con The King sarebbe alle ore 11. Un quarto d’ora dopo i visi preoccupati si rasserenano: «Due minuti e arriva», e chissà da dove. Camicia blu slacciata, pantaloni rossi, barba stranamente curata, basco in testa e il solito sguardo del tipo “beh, e allora che avete da guardarmi?”. Una collega non voleva neppure essere lì: «L’anno scorso ha ruttato in faccia all’intervistatore e se n’è andato». Invece Cantona non si tira indietro, tranne quando un cinese gli spara una serie di domande comprese in una decina di ideogrammi: «Quel ragazzo è troppo intelligente per me: io riesco a rispondere soltanto una alla volta». Questa: ti manca il calcio Eric? «Per nulla. Ora faccio altro».

Tipo: suonare la tromba, anno 1995. Simmons va in galera per una settimana, Cantona viene sospeso per otto mesi, gli toccano anche i lavori socialmente utili. Tornò in campo il primo ottobre 1995, contro il Liverpool. In attesa della sentenza tiene una conferenza stampa diventata famosa per la sua versione dei fatti. Cos’è successo, Eric? «When the seagulls follow the trawler, it is because they think  sardines will be thrown in the sea», quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine verranno gettate in mare. Ovvero, Eric? «Ovvero non avevo nulla da dire e così mi sono inventato quella cosa. I giornalisti vogliono sempre avere delle risposte e io gliene ne ho data una. Lo facevo spesso: arrivavo, dicevo ciao e alla fine salutavo. In mezzo mettevo cose senza senso e poi tornavo alla mia vita». A suonare la tromba, a quei tempi. La Marsigliese.

Manchester United v Aston Villa - Premier League

«No, non mi manca il calcio», ripete Eric, rispondendo di malavoglia di seguito a un giornalista francese, unico a fare le domande nella sua lingua in un contesto dove si parla solo inglese. Ecco, è proprio per quello che Eric Cantona non ama la sua gente, lui è un rivoluzionario, si è scatenato contro il sistema, contro le banche del suo Paese, contro i mondiali in Qatar e non ha tempo per la Grandeur. Risponde: «E poi che problema c’è se il Paris Saint Germain è di proprietà qatariota: anche lo United è di proprietà americana e non è che gli americani siano un grande esempio di democrazia nel mondo… Ma qui si sta parlando di calcio. E di soldi».  Già, il calcio, «ho perso la passione, non guardo più le partite». E già, i soldi, «io ho realizzato un sogno da bambino, quando volevo diventare un calciatore e giocare nelle più grandi squadre del mondo. Poi me n’è venuto un altro di sogno: fare qualcosa di creativo, produrre, scrivere, dipingere, inventare, entrare nel mondo dell’immaginazione. Ce l’ho fatta, ho una vita eccitante io». Una vita che è diventata pure un film diretto da Ken Loach, Il mio amico Eric, uno dei 28 in cui finora ha recitato. Un inglese gli chiede: «Dicono che l’ultimo che hai fatto sia una specie di soft porn…». «What? Amico, non hai capito nulla: è un pezzo d’arte».

“Dialogo sul calcio”, dal film Il mio amico Eric, di Ken Loach, 2009.

Allora, quando The King torna in campo, lo United ha appena perso l’unico dei suoi cinque titoli finali dell’era Cantona ed è a meno 12 dalle vetta. Senza di lui il nulla. Dopo, tutto. Niente male per uno che già da piccolo butta per terra le magliette dopo una sostituzione durante un’amichevole (Olimpique Marsiglia), fa a botte con i compagni negli spogliatoi (Montpellier), viene squalificato per aver lanciato una pallonata ad un arbitro (ancora Om) e definito i dirigenti della federazione francese degli idioti (sempre Om). Oh ah, Cantona canta l’Old Trafford, e che importa se il futuro Sir Alex lo aveva accolto così al suo arrivo in maglia Red Devils: «Mi chiedo se tu sia abbastanza bravo per giocare qui». «Mi chiedo se Manchester sia abbastanza per me», rispose lui. Arriva per 1.2 milioni di sterline dal Leeds, dove Billy Bremner, la bandiera del club, si stupisce di tanta inquietudine per la sua cessione: «In questo Paese ci sono tre milioni di disoccupati e si parla solo di un francese che va a Manchester». Solo che non era così francese.

''Ooh! Aah! Cantona

Eric si aggiusta il basco, ha carburato, risponde sciolto tanto che il moderatore di Laureus non riesce a tenerlo a freno: «Io amo le grandi squadre che sanno produrre in casa i campioni. Amo lo United ovviamente, amo l’Ajax e amo soprattutto il Barcellona. Il mio mito è stato Johan Cruijff  e lui mi ha insegnato cosa vuol dire essere blaugrana e cosa vuol dire essere catalano. Ecco, se c’è un posto in cui mi sento a casa è lì». Beh, Eric, la Spagna è anche Real Madrid, è la Spagna è quella che ha vinto due Europei e i Mondiali. «Davvero? La Catalogna ha vinto tutto questo. Sì, c’era scritto Spagna, ma dieci giocatori arrivavano dal Barcellona. Questa è la realtà». E poi ancora, parlaci dell’Inghilterra Eric: «Vi parlo del City e di quello che vi ho appena detto. Con tanti soldi puoi vincere ma non puoi comprare la gloria per sempre. Mentre la Germania dimostra la mia idea e il suo trionfo mondiale è il più speciale di sempre per me: è il mondiale dell’immigrazione. Una squadra giovane di tedeschi di ogni origine, bianchi e neri, il primo Mondiale di una Germania così. E il calcio dimostra che non esistono razze diverse: se sei bravo giochi. E basta».

Basta. Nel 1997 lo United vince il titolo  ma in Champions League viene fatto fuori dal Borussia Dortmund, dai tedeschi-tedeschi. «Basta», dice The King, a soli 30 anni, basta con il pallone. L’ultimo calcio lo dà in una partita contro il West Ham. Sì, poi si divertirà anche con il beach soccer, ma l’ultimo calcio vero è quello: «Il football è un’arte minore, io sono interessato a quelle maggiori». Il cinema, appunto: «È capitato così, è diventata una passione e l’ho seguita. Magari passerà anche questa e ne cercherò un’altra. Magari mi darò al jazz». Non l’ha fatto, nel frattempo i tifosi dello United continueranno a cantare il suo nome per sempre: «Amo davvero questa cosa, ma come tutte le cose che ami ho paura che un giorno tutto questo finisca. I tifosi comunque sono fantastici e hanno un grande senso dell’ironia: come quando ti chiamano Dio. Oppure Re». Oppure The King.

I dieci gol più belli, tutti assolutamente geniali, di Eric Cantona.

Alla fine fare il Cantona può essere un mestiere non facile, ma chi non farebbe cambio in fondo? «Ma sì, dài, vent’anni dopo posso dire di essere stato fortunato: ho inseguito i miei desideri e sono ancora un uomo libero. Ho fatto cose belle nella mia vita e cose anche discutibili, ma cos’è il bene e cos’è il male? Chi può giudicarmi o dirmi come mi devo comportare? Nessuno. Io vado avanti». Così non c’è contraddizione nel dire di non amare più il calcio ma di aver accettato un ruolo nei New York Cosmos, là proprio in America: «C’era un progetto giusto e grande entusiasmo. Qualche mese fa è cambiato il presidente e l’entusiasmo è finito. Me ne sono andato». Non c’è contraddizione nell’aver perso la passione per il pallone senza averlo dimenticato: «Il calcio è come una droga: quando ritiri è il momento più difficile, ti manca psicologicamente, ti manca fisiologicamente. Ti manca fisicamente ed è per questo che per molto tempo non ho più visto una partita: fare altro aiuta a riprenderti. E a vivere».  E non c’è contraddizione nel dire che tra Cristiano Ronaldo e Leo Messi, tu scegli Javier Pastore, «perché negli ultimi tempi ho visto solo due match di calcio e l’ho fatto per lui, può fare cose che nessun altro sa fare nel passare la palla agli altri. È un creativo, è un artista, è il migliore di tutti». Mentre lo dice ha la faccia di uno sta recitando The King. O forse è soltanto perché è Cantona.

 

Nell’immagine in evidenza, Eric Cantona ospite dei Laureus Sports Awards. Jamie McDonald/Getty Images.