La scomparsa dell’Olanda

Gli Oranje sono vicinissimi all'eliminazione da Euro 2016. Colpa degli errori strategici di una Federazione incapace di togliersi di dosso i miti e le etichette del tempo che fu.

Profilo nervoso, sguardo perennemente inquieto, nessuna attitudine al compromesso. L’olandese Gertjan Verbeek sembra il sosia di Roger Waters invecchiato male, nonostante l’ex leader dei Pink Floyd abbia sulle spalle 19 primavere in più rispetto all’attuale tecnico del Bochum. Entrambi demoliscono muri. «Mother, did it need to be so high?», chiedeva Pink/Waters al termine della canzone Mother. Doveva proprio essere così alto, questo muro? La stessa domanda se l’è posta Verbeek di fronte a quello che da quarant’anni circonda il mondo del calcio nel suo paese. La scuola olandese, ovvero il 4-3-3, il numero 10 alle spalle del tridente, i terzini/ali, il mediano con piedi e visione da play, il possesso palla. Un dogma, più che una filosofia. E i dogmi non si discutono, anche quando la realtà racconta un’altra storia, ovvero che negli ultimi anni il meglio di sé l’Olanda lo ha dato quando si è allontanata dai dettami della sua scuola. Al Mondiale 2010 Bert van Marwijk ha costruito la cavalcata sino alla finale persa contro la Spagna sulla coppia di mediana Van Bommel-De Jong, due waterdragers, portatori d’acqua, termine utilizzato a livello calcistico nei Paesi Bassi per indicare un centrocampista specializzato nel lavoro più sporco e oscuro, alla Oriali per intenderci. Quattro anni dopo Louis van Gaal ha centrato un altro podio, questa volta il gradino più basso, proponendo un’eretica difesa a cinque. 4-2-3-1 e 5-3-2.

Il cammino dell’Olanda ai Mondiali 2010.

Per Verbeek il quadro è chiaro. «La scuola olandese non esiste più». Ogni tentativo di ritorno al passato ha generato un disastro. L’Europeo 2012 chiuso a zero punti, l’attuale campagna di qualificazione a Euro 2016 che vede gli oranje a un passo dalla clamorosa eliminazione, quarti nel girone a due partite dal termine con 10 punti, frutto di 3 vittorie, 1 pareggio e 4 sconfitte. Sono riusciti a battere solo Lettonia (2 volte) e Kazakistan, non hanno segnato uno straccio di gol in 180 minuti all’Islanda, hanno preso tre sberle in Turchia. «Questo è ciò che accade» prosegue Verbeek «quando nostalgia e pregiudizio prendono il sopravvento su strategia, pianificazione, logica e competenza. Tutti elementi, quest’ultimi, difficili oggi da riscontrare nell’operato della Federcalcio».

«In Olanda nostalgia e pregiudizio prendono il sopravvento su strategia e pianificazione»

È la sindrome della Retromania, ben raccontata dal giornalista musicale Simon Reynolds nell’omonimo libro che esplora l’ossessione per il passato che attanaglia ogni generazione, ma soprattutto la nostra epoca. Reynolds parla di musica e cultura pop, ma concetti e conclusioni sono applicabili a qualsiasi ambito, calcio incluso. E tra gli addetti ai lavori non allineati, Verbeek è quello più lucido e diretto. Concluso il secondo ciclo Van Gaal con il terzo posto in Brasile, il direttore della KNVB (la Federcalcio olandese) Bert van Oostveen aveva presentato la scelta di Guus Hiddink quale nuovo ct parlando di «ritorno al volkelftal, la squadra della gente». Sottinteso: basta un’Olanda della quale gli olandesi si devono vergognare (gestione Van Marwijk) o che semplicemente non appartiene al dna calcistico del paese (gestione Van Gaal). Non sono esagerazioni. Se in Italia il tifo contro la nazionale è un fenomeno discretamente diffuso, per l’Olanda fino al 2010 era pressoché sconosciuto.

Lo ha raccontato su The Blizzard Simon Kuper, tracciando un parallelismo, a tratti un po’ forzato, tra l’Olanda cinica e ringhiosa di Van Marwijk – sublimata dal colpo di kung fu di Nigel de Jong su Xabi Alonso – e l’Olanda che politicamente aveva svoltato a destra (Pym Fortuyn, Geert Wilders), quindi non più paese guida progressista e multiculturale come non lo era più di una certa filosofia calcistica. «Fino alla finale in Sudafrica» scriveva Nick Hornby «non ricordo di aver mai tifato contro l’Olanda, nemmeno quando giocava contro l’Inghilterra». «Il gioco dell’Olanda è una pena per gli occhi e un dolore per il cuore», rincarava Johan Cruijff. Kuper chiudeva auspicando di vedere Van der Vaart mediano accanto a Van Bommel (lo stesso Van Marwijk lo avrebbe accontentato due anni dopo contro il Portogallo, e il risultato è noto) e «De Jong rinchiuso nella sua cuccia».

Lo stesso Van Gaal è stato oggetto di fuoco incrociato da parte di stampa ed esteti cruijffiani nel pre-Mondiale, ai quali aveva replicato che «un allenatore deve saper essere innovativo». Ecco quindi la difesa a cinque nella patria del calcio totale, per difendere il ventre molle dei tulipani, ovvero il reparto arretrato che, non potendo disporre di un epigono di Stam o di Rijkaard, necessitava di una protezione speciale.

Spagna-Olanda 1-5, Coppa del Mondo 2014.

Un secondo mediano o, appunto, un difensore aggiunto. Con buona pace della scuola olandese. Guus Hiddink ha rappresentato un ritorno al passato nel senso peggiore del termine. Una scelta «antiquata come i suoi metodi di lavoro» (cit. Ronald de Boer), terminata con le sue dimissioni e il conseguente subentro del suo vice Danny Blind, un uomo per tutti le stagioni che però in carriera è stato head coach per appena quindici mesi, tra il marzo 2005 e il giugno 2006, guidando l’Ajax al suo peggior piazzamento (4° posto) in Eredivisie dall’inizio del nuovo millennio.

Nico Dijkshoorn, la penna più caustica d’Olanda, ha raccontato di come nell’ambiente Blind sia soprannominato “Het Scholletje”, la Platessina, per le capacità camaleontiche che gli permettono di sopravvivere a qualsiasi turbolenza ambientale. La platessa infatti è un pesce adattato a vivere sdraiato sul fianco sinistro, e pertanto si è evoluto adottando sul lato destro una livrea mimetica che gli permette di cambiare colore per confondersi meglio con il fondo circostante.

Se già Hiddink, forte comunque di un curriculum inattaccabile, non possedeva più l’autorevolezza necessaria per agire da collante sul gruppo, non poteva essere certo Blind l’uomo giusto per frenare la caduta. Due partite, 4 reti subite, nessuna realizzata, ma soprattutto una quantità industriale di errori e scelte incongruenti. Huntelaar titolare contro l’Islanda che diventa terza scelta, dopo Van Persie e De Jong, pochi giorni dopo in Turchia. Van Persie escluso la prima partita per motivi legati alla condizione fisica, ma in difesa a destra fiducia a Van der Wiel, riserva nel PSG che non disputava più una partita ufficiale da 96 giorni. Robben capitano dopo aver disputato solo 4 dei precedenti 10 incontri. Centrocampo a tre con davanti alla difesa, nell’ordine: Klaassen, numero 10 o mezzala nell’Ajax; Daley Blind, terzino sinistro o difensore centrale nel Manchester United, pertanto nessun rubapalloni o portatore d’acqua che dir si voglia (Nigel de Jong è bandito dai puristi della scuola olandese) a proteggere la coppia centrale Bruma-De Vrij, già di per sé non fenomenale a livello di lettura di gioco.

Parlare di fine ciclo non coglie il cuore del problema. Solo Robben, Van Persie e Sneijder sono alle battute conclusive in casa oranje, dove i buoni giocatori non mancano di certo. Il quotidiano Algemeen Dagblad ha ipotizzato un possibile 11 per il Mondiale russo del 2018: Cillessen; Tete (Karsdorp), De Vrij, Riedewald, Willems; Klaassen, Blind (Bazoer), Strootman (Wijnaldum); El Ghazi, Luuk de Jong, Depay. Ci sono nazionali messe peggio. Qui si possono riscontrare una difesa non a brova di bomba (ma da anni non lo è) e l’assenza di una prima punta top (dietro De Jong ci sarebbero, per ora, Dost e Castaignos, oggettivamente non granché), un paradosso per un paese che ha sfornato bomber a getto continuo. Volendo fare i puntigliosi, si potrebbe avanzare qualche dubbio anche su Cillessen, perché un portiere che non ha mai parato un rigore in carriera (26 tiri, 25 gol e un palo – Gregus dello Jablonec nel recente preliminare di Europa League) potrebbe non fornire ai compagni la necessaria sicurezza, nonostante tra i pali rimanga un elemento più che valido.

La crisi olandese non è tanto tecnica, quanto progettuale. La linea del direttore Van Ostveen ha fatto acqua da tutte le parti, e si basa su un’incongruenza di fondo. A fine Mondiale non è stato scelto Ronald Koeman come ct perché permanevano dei dubbi sul suo reale spessore internazionale, dopo i fallimenti con Az, Valencia e Benfica, e oggi ci si ritrova con un Blind che ha ballato una sola stagione, e nemmeno memorabilmente.

Di Koeman non ci si fidava del suo spessore internazionale: eppure, poi, è stato scelto il novellino Blind.

Eppure nel 2014 Koeman – tre campionati vinti in carriera da tecnico tra Ajax e Psv – era l’allenatore olandese del momento, reduce da un triennio eccellente al Feyenoord, club trita-allenatori raccolto con il bilancio dissanguato e condotto per tre stagioni consecutive sul podio della Eredivisie (non accadeva da dieci anni), valorizzando giovani in serie – non va dimenticato che da anni quello della società di Rotterdam è il miglior vivaio d’Olanda, pur se meno pubblicizzato di quello dell’Ajax – e reinventando la carriera di più di un giocatore, su tutti Graziano Pellè. Ma Koeman sarebbe diventato ct solo se avesse accettato il tutoraggio di Hiddink, almeno fino a Euro 2016. La risposta è stata arrivederci e grazie. I risultati della modalità gestionale “santone & discepolo” sono sotto gli occhi di tutti.

Turchia-Olanda 3-0. Giusto un mese fa.

L’Olanda è vicinissima a fallire per la seconda volta la qualificazione alla fase finale dell’Europeo. Con due aggravanti: la formula allargata a 24 squadre e l’impossibilità di aggrapparsi a presunte combine come avvenne per Euro ’84. Lì i tulipani arrivarono all’ultima giornata in testa al girone a pari punti con la Spagna, ma con una miglior differenza reti: 17 gol fatti e 6 subiti per gli oranje, 12-7 per le Furie Rosse. Per entrambi l’ultimo avversario sarebbe stato Malta, in casa. L’Olanda vinse 5-0, mentre quattro giorni dopo la Spagna andò al riposo sul 3-1, salvo scatenarsi nella ripresa seppellendo gli avversari sotto una gragnuola di reti. Al fischio finale il tabellino recitava 12-1. Poco tempo dopo il ct Kees Rijvers venne sostituito da Rinus Michels.

Oggi la situazione è meno lineare. Rimuovere Blind significherebbe, per la KNVB, sconfessare sé stessa e la propria politica, ammettendo implicitamente l’incompetenza degli uomini al vertice. Ma tenere Blind, Europeo o meno, fino a Russia 2018 sarebbe puro masochismo sotto ogni punto di vista: tecnico, gestionale, mediatico. Nel frattempo i tifosi si sono organizzati dandosi appuntamento sabato 24 ottobre allo stadio Re Baldovino di Bruxelles per l’evento “Diventa un tifoso belga”. Verrà insegnata La Brabançonne – l’inno belga –, si scambierà la Heineken e con la Jupiler, si coloreranno di rosso le maglie arancioni, verranno fornite istruzioni su come sintonizzare i propri decoder sulle frequenze tv belghe. Lanciata via Facebook, l’iniziativa ha già raccolto 40mila adesioni.

 

Le immagini nel testo e in evidenza sono di Dean Mouhtaropoulos/Getty Images e Pool/Getty Images