Riportando tutto a casa

La lunga e difficile strada percorsa da Lorenzo Insigne per essere davvero amato dalla sua città.

Lorenzo Insigne

Adesso è facile parlarne come di uno dei migliori talenti della sua generazione, di un fenomeno, di un campione. I nomignoli, Lorenzinho, il Magnifico, si fanno largo. Ma per Lorenzo Insigne, attaccante del Napoli con maglia numero 24, tanta considerazione non è scontata né fisiologica. Al contrario. Ci ha messo quattro anni per guadagnarsela, l’ha conquistata con un’accelerazione negli ultimi mesi. Esiste la categoria dei predestinati?

Due cartoline, distanti un anno esatto tra di loro, rappresentano al meglio la trasformazione in cigno davanti al pubblico napoletano, e quindi nazionale, di Insigne. Il 5 ottobre 2014 il Napoli, protagonista di un avvio di campionato psicodrammatico, ospita il Torino. I granata passano in vantaggio con un bel gol di Quagliarella. Il pubblico di Fuorigrotta è nervoso e fischia la squadra, soprattutto il numero 24, che lanciato a rete ha sprecato due occasioni. In apertura di secondo tempo Zuniga dalla sinistra disegna un cross verso il cuore dell’area. Con i suoi 163 centimetri d’altezza, il fantasista incorna e insacca alle spalle di Gillet. È il primo gol stagionale. L’esultanza è un grido liberatorio, accompagnato da un pianto teatrale.

Napoli-Torino 2-1

Un anno dopo, il 4 ottobre 2015, Insigne si presenta al Meazza di Milano non più come l’eterna promessa di cui si aspetta l’affermazione (e chissà se arriva), ma come un giocatore temibile e maturo. Il Napoli vince in scioltezza. La sua prestazione contro il Milan è condita da un assist e da una doppietta. Al momento della sostituzione, raccoglie l’applauso dell’intero stadio.

Ce ne ha messo di tempo, Lorenzo, per arrivare sul tetto del football italiano. Nato nel 1991, quando il singolo più venduto in Italia è “Generazione di Fenomeni”, cresce a Frattamaggiore, popoloso comune della conurbazione che avvolge Napoli. È di “umili origini”, come reciterebbe la scheda biografica di un manuale di letteratura per le scuole, e da ragazzino aiuta l’economia familiare lavorando di domenica nei mercati. Il calcio è nella sua quotidianità, lo praticano il fratello maggiore e quello minore. Nutre un’intensa passione per Alex Del Piero. In una provincia dove i tifosi bianconeri sono tanti, ma dove agli occhi della restante parte del popolo calcistico la Juventus è l’avversaria per antonomasia, la predilezione per il capitano della Vecchia Signora gli comporta grattacapi. Il sospetto di cripto-juventinismo, di essere cioè un tifoso sabaudo sotto mentite spoglie, è periodicamente riemerso fino a pochi anni fa e si è dissipato solo in tempi recenti.

Il piccolo Insigne ha grandi qualità, e lo dà a vedere. Vince e fa vincere tornei scolastici di calcio e calcetto. Ogni tiro è un gol. Il destro a giro sul palo lungo, marchio di fabbrica del suo idolo Del Piero, è il suo colpo preferito. Ma il piccolo Insigne è anche un ragazzino minuto. La statura sembra precludergli le porte del calcio che conta. Torna dai provini con Inter e Torino con in tasca la stessa risposta: «Bravo, ma troppo basso».

Nel 2008 il calcio Napoli lo acquista per 1.500 euro dal Sant’Arpino. A volerlo fortemente a Castelvolturno è Giuseppe Santoro, manager poi migrato a Milano con Walter Mazzarri. Il club è da quattro anni sotto la gestione De Laurentiis e da uno è tornato in massima serie. Le giovanili sono ancora un cantiere aperto. Insigne arriva in una squadra che vanta giovanotti interessanti: alle sue spalle giocano il portiere Sepe e il regista Maiello, oggi tesserati in A rispettivamente con Fiorentina ed Empoli, mentre davanti ha il bomber Ciano, adesso in B col Cesena. Titoli di categoria non ne arrivano, ma il nome inizia a girare. All’ombra del Vesuvio circola voce che la cantera azzurra stia svezzando un campioncino.

Il destro a giro sul palo lungo, marchio di fabbrica del suo idolo Del Piero, è il suo colpo preferito

L’epifania di Insigne agli occhi del grande pubblico è datata 2010. Il Napoli, per la prima volta dopo il fallimento del 2004, partecipa al torneo di Viareggio. Il 4 febbraio la primavera azzurra sfida il Parma. Il match è sullo 0 a 0. Insigne riceve palla a ridosso del vertice sinistro dell’area di rigore dei ducali, in una posizione in cui da un destro come lui, per di più con la fregola del tiro a giro, ci si aspetta il movimento verso il centro. Invece Lorenzo, che gioca con l’impegnativa divisa numero 10, corre verso la linea di fondo. È solo la prima sorpresa. Una volta arrivato dove il campo finisce e lo spazio vitale per l’attaccante si fa risicatissimo, anziché crossare, come è lecito aspettarsi, prima dribbla il marcatore e poi sorprende il portiere sul palo corto da posizione ardita.

Non è l’unica marcatura di Insigne al Viareggio, ma è la più bella. Walter Mazzarri ha già premiato la sua ascesa con l’esordio in A al Picchi di Livorno. L’Italia, però, non è un paese per giovani e l’ecosistema calcistico non fa eccezioni. Insigne promette bene, ma ha solo 19 anni. Prima della chiusura del mercato di riparazione del 2010 si trasferisce a 60 chilometri da casa, a Cava de’ Tirreni, per giocare nella vecchia C1. I primi passi del ragazzo di Frattamaggiore nel professionismo non sono indimenticabili. Con la divisa celeste della Cavese sfodera belle giocate, di quelle utili per le compilation video di YouTube, ma non lascia il segno. Dieci presenze, nessun assist e zero gol.

Il gol di Insigne contro il Parma al torneo di Viareggio

Per Insigne le sliding doors scattano in estate, quando sulla propria strada trova il primo grande mentore. A vent’anni dai fasti del Foggia dei miracoli, Pasquale Casillo è di nuovo presidente del club dauno e Zdenek Zeman ne è l’allenatore. Per occupare il ruolo che fu di Beppe Signori, il boemo in cima alla lista della preferenze scrive il nome del fantasista napoletano. Come in seguito racconterà alla stampa, l’ha notato proprio al Viareggio. «Lì non faceva l’attaccante» sostiene Zeman, che di gioco offensivo e giovani da svezzare se ne intende.

Il rapporto tra i due, maestro e discepolo, non è subito idilliaco. Il ritiro estivo del 2010 è in chiaroscuro. Le cronache del tempo raccontano di un Lorenzinho spiazzato dai metodi di Zeman. Soffre per i carichi di lavoro, per le corse nei boschi, per le ripetute e per le gradinate a oltranza. Non sa decifrare l’ossessiva severità che il boemo mostra nei suoi confronti. Crede sia inimicizia, ha voglia di mollare, ha bisogno del sostegno dei familiari e dell’agente. Impiegherà tempo per capire che le attenzioni del tecnico nei suoi riguardi sono proporzionali alle aspettative che nutre sul suo talento.

Le risposte del campo sono positive. Il gioco veloce e verticale del Foggia esalta le qualità di Insigne, che spesso si muove come esterno sinistro del tridente. Il repertorio è quello che ha mostrato negli anni delle giovanili, nel bene e nel male. Nel bene: inventiva, capacità di leggere (se non prevedere) gli sviluppi dell’azione, precisione balistica, generosità e predisposizione all’assist. Nel male: ossessione per il tiro (ancora) alla Del Piero, cercato anche quando non è la soluzione più semplice, e istinto da bomber, malgrado i numeri, non proprio acuminatissimo.

Barletta-Foggia 1-2. Il gol di Insigne è bellissimo, ed è al minuto 2.00

Non è l’unico giovane interessante dell’undici che diverte lo Zaccheria: tra i suoi compagni ci sono Marco Sau e Diego Farias (oggi al Cagliari) e Simone Romagnoli (Carpi). Ma gli occhi, specie quelli dei campani, sono tutti per lui. A metà gennaio si dice che Mazzarri lo rivoglia a Napoli per fargli fare il vice Lavezzi. Insigne, che rimarrà a Foggia, risponde con quattro gol in due partite. La squadra rossonera non scrive una nuova pagina di storia: finisce sesta, fuori dalla zona play off. Insigne, con 26 reti personali (19 in campionato), è il miglior marcatore stagionale. Il traguardo più importante, però, è quello della considerazione di Zeman, che lo vorrà con sé a Pescara.

Il lavoro del boemo sul ragazzo di Frattamaggiore non è finito. Anzi. L’ex mister di Roma e Lazio all’Adriatico continua a manipolare l’argilla fresca di Insigne per forgiare il campione. Il ragazzo è disciplinato e si avvia a vita coniugale con la compaesana di cui si è innamorato da adolescente. Le massime espressioni della sua esuberanza sono i tagli di capelli al limite del buon gusto e il sommarsi di tatuaggi. Il maestro, teorico della fatica, lo tiene sulla corda. Non c’è da adagiarsi sugli allori. Sul finire di un Pescara-Crotone condotto per 2 a 0 dagli abruzzesi, il centrocampista Moussa Koné lo serve in profondità. La sfera corre sulla fascia, quella delle panchine, seguendo la traiettoria di un filtrante calibrato male. Il napoletano insegue invano il pallone, che termina la propria corsa in out. Una possibile ripartenza si spegne sotto gli occhi di Zeman. Che, come suo solito, non si scompone e non si agita, ma rimprovera aspramente il suo pupillo partenopeo. «Sei molle», dice a un Insigne che ricambia con uno sguardo attonito.

Il video non è di altissima qualità, ma rende l’idea

La cavalcata degli abruzzesi verso la A è una vicenda recentissima, eppure già nel mito. Con Immobile e Verratti, Lorenzo costituisce un trittico giovane, bello ed esplosivo. Le marcature sono 20 e gli assist 14. L’ascensore Zeman ha funzionato: in due anni il ragazzo si è fatto giocatore vero. Nell’estate del 2012 è pronto per tornare alla base.

Verrebbe da dire: e per Insigne qui cominciano i guai. Non è vero, è un giudizio troppo severo, ma racconta uno spicchio di verità. Si presenta al ritiro di Dimaro attorniato dalla curiosità di chi vuole vedere finalmente all’opera l’enfant prodige di cui ha tanto sentito parlare. Lui non si lascia sopraffare. Si arruffiana i tifosi con dichiarazioni calibrate sull’ombelico popolare, come: «Spero di segnare il primo gol con la maglia del Napoli alla Juve», ripetuto più volte in vista della finale di Supercoppa di Pechino (cui non prenderà parte). E sbaraglia in tempi rapidi il dualismo con Edu Vargas, oggetto misterioso pescato in Cile dal ds Riccardo Bigon.

Lorenzo Insigne tifosi

In termini assoluti non si può dire che l’impianto di Insigne al Napoli sia così difficoltoso. Già sulle montagne del Trentino dimostra buone cose, segnando il gol vittoria nell’amichevole che contrappone gli azzurri al Bayern Monaco fresco finalista di Champions. Una soddisfazione solo simbolica, ma pur sempre una soddisfazione. Nella prima al San Paolo, ancora in amichevole contro il Bayer Leverkusen, serve l’assist per la rete di Hamsik e si inventa un paio di giocate che non finiscono in gol solo per un soffio.

Quando poi è il turno delle partite ufficiali, si fa trovare pronto. Insigne gioca con la consapevolezza di chi è abituato da sempre a calcare certi campi. Il primo gol in A arriva a settembre. A farne le spese ancora il Parma. Liberato al tiro solo davanti al portiere, aspetta che Mirante si tuffi sul palo lungo per battere rasoterra su quello corto. All’esordio internazionale, nella sfida casalinga di Europa League contro gli svedesi dell’Aik Solna, serve due assist a Vargas. Il ct Prandelli gli regala la soddisfazione della prima con la Nazionale maggiore nella sfida casalinga contro Malta, buona per le qualificazioni ai Mondiali.

Il primo gol in Serie A di Insigne: è il settembre del 2012

C’è un rumore di fondo, però, che non gli permette di stare del tutto tranquillo. Qualcosa scricchiola. In estate, ad esempio, Lorenzo ha avuto poco tempo per conoscersi con Edinson Cavani, assente dal ritiro perché impegnato da fuori quota alle Olimpiadi di Londra. L’affiatamento con l’uruguayano, ottimo terminale delle sue visioni verticali, è piuttosto rapido. Il Matador, però, è un patrigno che blandisce e più spesso striglia il figlioccio. Egocentrico come mai nei primi due anni sulle sponde del golfo, Cavani per massimizzare la propria la vena realizzativa non si fa scrupoli di schiacciare la vivacità del ragazzo di Frattamaggiore. La soggezione è evidente. Se il Matador chiama palla, vedi un Milan-Napoli di ottobre, Lorenzo rinuncia a tirare anche se l’occasione da gol è netta.

Non è solo questo a non funzionare nell’Insigne all’esordio in A. Più di tutto lo condizionano le aspettative della piazza. Il Magnifico è tornato a Napoli con le stimmate del campione, del fromboliere che ha segnato 40 reti in due stagioni, e la piazza, che al 2012 vuole lo scudetto senza più infingimenti, pretende da lui gol a grappoli, assist a volontà e giocate sempre decisive. Si trova, poi, a subentrare a Lavezzi, appena volato a Parigi: il pubblico napoletano, in maniera neanche tanto velata, si augura che il nuovo numero 24 possa colmare, dal punto di vista tattico e affettivo, il vuoto appena lasciato dal vecchio 22. In più, se non bastasse, c’è la questione del “nessuno è profeta in Patria”, particolarmente vera sulle sponde del golfo, dove gli autoctoni godono di minor credito di pazienza dei forestieri, specie se sudamericani. Chiedere a Totonno Juliano.

La soggezione di Insigne verso Cavani è evidente. Se il Mataor chiama palla, Lorenzo rinuncia a tirare

Ne consegue che, per quanto bene faccia Insigne nei primi mesi da napoletano, non è abbastanza. Se il Napoli non regge il passo della Juve di Conte è colpa sua più che di altri. Ogni panchina suona come una bocciatura. Walter Mazzarri, che gode della nomea di quello che ai ragazzi promettenti preferisce i mestieranti, a dicembre di lui dice: «È intelligente e maturo. Qualcuno fa paragoni con l’anno scorso, senza rendersi conto che tra la Serie B e la Serie A ad alto livello, c’è una differenza abissale. Proprio per questo sta facendo al di sopra delle migliori aspettative». Parafrasando: non si può esigere che il talento di un outsider in serie cadetta sia subito pronto all’uso al primo anno ai vertici in A. Il messaggio, chiaro e inequivocabile, non passa. Il Napoli finisce secondo in campionato, in quello che (finora) è il miglior piazzamento dal 1990 a oggi. Lorenzo Insigne chiude la stagione con un bottino di 5 gol e 9 assist in 41 presenze. Bene, non benissimo.

A giugno 2013 Insigne vola in Israele per gli Europei Under 21. Segna il gol vittoria contro l’Inghilterra con una punizione che ricorda molto quella rifilata a Diego Lopez nel recente Milan-Napoli: stessa parabola, stesso forza a piegare le mani del portiere, cambia solo la posizione, più ravvicinata. Mentre gli Azzurrini marciano verso la finale, a Napoli cambiano molte cose: va via Mazzarri, vanno via alcuni veterani come De Sanctis e Hugo Campagnaro e, soprattutto, va via Cavani. Al loro posto arrivano il drappello di spagnoli e argentini che ancora oggi rappresenta la spina dorsale della squadra (Reina, Callejón, Higuaín) e Rafa Benítez, che da subito dimostra attenzione per il talento di Frattamaggiore. L’ex tecnico del Liverpool prima, a Europeo in corso, scrive sul suo sito: «Complimenti a Insigne, uno dei giocatori importanti della Under 21 italiana». Poi, dopo che gli Azzurrini schiantano in finale proprio contro i pari età iberici e le tv mostrano le immagini di Lorenzo piegato dal pianto, aggiunge: «Questo risultato sia uno stimolo per migliorare e non una delusione».

La punizione di Insigne all’Europeo Under 21

Le premesse per la stagione ’13-’14 sulla carta sono le migliori auspicabili. Insigne, diventato nel frattempo marito e padre (i bambini oggi sono due: Carmine e Christian), pare a un passo dalla consacrazione. La società gli propone il rinnovo contrattuale. La piazza di Napoli, malgrado gli addii eccellenti, è entusiasta. Il mister, uno che coi ragazzi ci sa fare, crede in lui. Il modulo, che prevede tre uomini di movimento dietro la punta, può esaltare le sue doti.

L’annata, c’è da dire, parte in maniera positiva. Rafa, nella sua accezione da teorico del turn over, lo promuove titolare. Alla seconda giornata, sul campo del Chievo, scocca un assist per Higuaín che vale la prima marcatura in azzurro del Pipita. L’esordio in Champions League è bagnato da un gol su punizione ai finalisti del Borussia Dortmund, ai quali segnerà anche al Signal Iduna Park. Ma, c’è un ma. Tanto gioco per la squadra, tanti assist per i compagni, tanto sacrificio, ma il contatore personale rimane a lungo a quota zero gol in campionato. Il pubblico azzurro rumoreggia, non gradisce. Il suo cognome dà adito a facili giochi di parole (il più gettonato: “Nonsigne”). Il belga Mertens scala le gerarchie e gli mette apprensione. Mostri sacri del calcio italiano ci vanno giù duro. Arrigo Sacchi commenta: «È uno dei tanti giovani che si stanno perdendo per strada. È già un mestierante, ha perso la gioia e la voglia di giocare».

Passano le settimane e la crisi del gol diventa crisi di nervi. Non lo aiuta la fortuna: «Non ricordo più quanti pali ho colpito», dice al Corriere dello Sport. Non si aiuta da solo. Quando si avvicina alla porta avversaria, l’ansia da prestazione lo annichilisce. Non lo aiuta neanche la squadra. Insigne (si è già visto con Cavani) soffre la caratura dei compagni di reparto e non si inserisce nell’asse Higuaín-Callejón, che danno l’impressione di preferire le giocate tra di loro a quelle che coinvolgono il napoletano.

Insigne inizia così l’era-Benitez. Punizione capolavoro contro il Borussia Dortmund

Per sbloccarsi in campionato Insigne impiega 19 giornate. La rete arriva il 12 gennaio al Bentegodi, contro l’Hellas. È un gol all’apparenza facile, un tap-in sotto porta su un cross rasoterra in cui la parte più difficile è il movimento in diagonale per anticipare la difesa avversaria. Sfatato il tabù, il rapporto con l’idea di gol migliora. Due giorni dopo segna all’Atalanta in Coppa Italia e poi, sempre protagonista in un Napoli che ammaina le velleità da scudetto ma marcia verso un onorabile terzo posto, marca ancora due reti in campionato e una in Europa League. Il meglio di sé lo dà il 3 maggio 2014 contro la Fiorentina, nella finale di Coppa Italia insanguinata dai colpi di pistola dell’ultrà romanista Daniele De Santis. Insigne segna la sua prima doppietta con la maglia azzurra. Due gol in cinque minuti, incredibile per chi viene da lunghi problemi di sterilità offensiva: prima batte Neto con la sua passione/ossessione, il tiro a giro di destro, poi, liberato in area da una sgroppata di Higuaín, fa il secondo di sinistro.

La firma sul trofeo non riavvicina Insigne al pubblico azzurro. Anzi, la diffidenza montata in nove mesi di scarse marcature rimane a livelli altissimi. L’estate del 2014 corre sull’ottovolante. Prandelli, scelta che fa storcere il naso a parecchi tra opinionisti e tifosi, lo preferisce a Mattia Destro e Pepito Rossi e se lo porta in Brasile. Per il Magnifico l’avventura iridata finisce prima di iniziare: in panchina con l’Inghilterra, in panchina con l’Uruguay. La sua partecipazione ai Mondiali si riassume nei 33 minuti sul campo di Recife nel match perso col Costa Rica. Mentre in Sud America il vascello azzurro affonda, intorno a quello del Napoli si agitano acque tempestose. A Castelvolturno il rapporto tra De Laurentiis e Benítez si avvita in un bipolarismo odio-amore dove, alla lunga, sarà il primo a prevalere. Il mercato ristagna. I colpi chiesti dall’allenatore e attesi dalla piazza non arrivano.

L’urna della Uefa dice Athletic Bilbao e il pubblico, più si avvicinano i Preliminari di Champions, più si innervosisce. Insigne paga per tutti. Il 19 agosto i baschi arrivano al San Paolo e incontrano un Napoli con Britos adattato a terzino e il redivivo Gargano in mediana. Gli azzurri partono forte. Prima Hamsik spreca di testa, poi Insigne non controlla un filtrante di Jorginho che lo smarca davanti al portiere avversario. I tifosi sugli spalti borbottano. Gli spagnoli segnano con Muniain e chiudono il primo tempo in vantaggio. La tensione aumenta. Quando al quindicesimo Benitez sostituisce il fantasista napoletano, la sua uscita dal campo è accompagnata da bordate di fischi. Insigne reagisce invitando provocatoriamente gli spettatori in Tribuna a darci dentro, a ululare di più. Poi, prima di sedersi in panchina, si sfila la maglia e la getta a terra. È il momento più buio della carriera di Insigne. Una settimana più tardi, mentre la squadra si imbarca a Capodichino per volare in Spagna, lo sparuto gruppo di tifosi che attende i calciatori allo scalo napoletano rivolge a lui le contestazioni più veementi.

Insigne si rifiuta di parlare durante la presentazione del Napoli 2014/2015

Il campionato inizia male: dopo la vittoria all’ultimo minuto sul Genoa, gli azzurri perdono in casa col Chievo, perdono a Udine e si fanno inchiodare sul tre pari dal Palermo dopo essere stati avanti prima per 2 a 0 e poi per 3 a 2. Il tifo è sul piede di guerra. Con una vittoria sul Sassuolo il Napoli spezza la serie negativa. Quindi riceve il Torino nella partita dei 163 centimetri di Insigne protesi nell’incornata a battere Gillet. È il match del pianto liberatorio. Lorenzo, che ha più volte detto di voler chiudere la carriera in Campania senza altre peregrinazioni («può essere il Totti azzurro», ha detto il procuratore) e che invece si è visto a un passo dall’essere rigettato dalla sua città, si riprende il proprio posto.

Ai primi di novembre 2014, quando Insigne è pronto a raccogliere dopo aver tanto dato, quando è nel cuore della squadra e anzi è capace di dare la sua impronta al gioco del Napoli, al Franchi di Firenze patisce il primo infortunio grave della carriera: rottura del crociato. Cinque mesi dopo torna a giocare in una squadra ancora in corsa su tre competizioni (Coppa Italia, Europa League e qualificazione in Champions), ma che è destinata a non tagliare il nastro d’arrivo in nessuno dei tre fronti. Il 26 aprile, dopo un intercetto a centrocampo e una sgroppata di 30 metri, segna alla Samp il primo gol post-operatorio. Indovinate come? Destro a giro sul palo lungo. L’esultanza è un ruggito.

Insigne vuole chiudere la sua carriera a Napoli, ma ha rischiato di essere rigettato dalla sua stessa città

Il resto è storia recente. Sarri irrompe nel Napoli e nella vita di Insigne. Lo mette al centro del suo progetto (e chissà se, con un Saponara in più in rosa, per il mister sarebbe stato così facile passare al 4-3-3) e investe molto su lui. Nel primo scampolo di campionato lui ha già superato il proprio record di gol in Serie A. E dire che i numeri, per definizione freddi, non raccontano il modo di stare in campo. Lorenzo, negli anni accusato a vario titolo di indolenza, pigrizia e ignavia, è oggi un vero leader.

Bisogna essere cauti con le celebrazioni. Che carriera aspetta Insigne dipende dalla sapienza con cui userà i piedi e dalle intenzioni del suo ginocchio, che ogni tanto gli dà noie. Se diventerà il Totti vesuviano è tutto da vedere. Di una cosa si può prendere atto, di una cosa gli si deve riconoscere il merito: si è tolto di dosso l’etichetta del ragazzino. Con troppa semplicità gli era stato affibbiato il nomignolo di “scugnizzo”. Lui non è riottoso, né indolente, né indisciplinato. La presentazione ai tifosi azzurri dell’estate 2014 mostra quanto gli faccia piacere che si giochi sul suo essere “monello” solo perché proveniente dalla Napoli popolare. Se oggi la critica lascia perdere le maschere e lo prende sul serio, è perché lui stesso l’ha fortemente voluto. E noi sappiamo quanto ci ha lavorato.

 

Nella fotografia in evidenza, Lorenzo Insigne esulta dopo il gol contro la Fiorentina; nel testo, tifosi del Napoli celebrano Insigne durante il match contro la Lazio (Maurizio Lagana/Getty Images)