La rinascita?

Dopo l'esplosione nel Twente a vent'anni, cinque anni persi a causa di un carattere difficile. Lo Stoke City ha fatto rinascere Marko Arnautovic.

Marko Arnautovic sembra uscito da quell’affresco di spleen urbano che è The fine art of self-destruction del rocker newyorchese Jesse Malin. «I am a witness / to the sickness / of this place I call home». Ma la sickness Arnautovic l’ha racchiusa tutta dentro di sé, nell’impossibilità di coltivare, a Milano come a Brema o Vienna, in maniera normale e produttiva quel talento quasi innaturale di cui è stato dotato. E per ritrovarsi a 26 anni nello Stoke City, in una realtà che solo tre stagioni fa significava puro kick’n rush britannico old style importato direttamente dagli anni ’70, e pertanto quanto più lontana possibile – a livello tecnico, estetico, attitudinale – dall’universo del «più grande talento austriaco dai tempi di Hans Krankl» (parole dell’ex nazionale Andreas Herzog), Arnautovic ha dovuto innalzare i propri impulsi auto-distruttivi quasi a livello di arte. Di enfant prodige tutti genio e sregolatezza è pieno il mondo del calcio, specialmente quello odierno, e ad onor del vero le loro storie avrebbero anche stufato, perché si assomigliano un po’ tutte. Il repertorio è noto: donne, alcol, party, fuoriserie, qualcuno si spinge alla cocaina (chi scrive è convinto che, senza i suoi demoni, Jonathan Reis oggi sarebbe titolare della nazionale brasiliana). Eppure Arnautovic ne è uscito, nel modo più improbabile e soprattutto nell’ambiente più improbabile. Ci voleva l’Inghilterra, quella di provincia, per completare il lavoro iniziato anni prima proprio da un inglese, uno scemo con l’ombrello – perché Steve McClaren, purtroppo per lui, sarà sempre ricordato con l’etichetta the wally with the brolly affibbiatagli all’indomani della mancata qualificazione dell’Inghilterra a Euro 2008 – che sempre in provincia, in Olanda però, aveva vissuto una delle esperienze migliori della sua carriera da allenatore.

Semi-rovesciata contro il Chelsea, novembre 2011

L’Arnautovic calciatore è nato nel Twente di Enschede con le stimmate di nuovo Ibrahimovic, perché il suo estro sembrava davvero raccogliere il meglio di due mondi calcistici, quello austriaco, fisico e potente (non dissimile, parlando di calcio moderno, da quello scandinavo), e quello slavo, tecnico e fantasioso. Le origini balcaniche, il carattere spigoloso, il debutto in nazionale alla stessa età (19 anni) e contro la stessa avversaria (le Isole Far Øer) del vero Ibra avevano agito da colla per la scomoda etichetta. La cui origine derivava però da una rete segnata nella stagione 2007/08 con lo Jong Twente (l’equivalente delle squadre Primavera italiane) allo Jong Ajax che sembrava la fotocopia di uno dei gol più spettacolari realizzati da Ibrahimovic in Olanda, quando contro il Nac Breda Zlatan saltò cinque avversari, depositò la palla in rete e salutò tutti, perché qualche giorno dopo avrebbe lasciato Amsterdam per vestire la maglia della Juventus.

Primo tassello di una carriera stellare, la stessa che all’epoca era facile prevedere per Arnautovic. L’Olanda era arrivata al momento giusto, a 17 anni, per questo figlio di un immigrato serbo che gestiva un ristorante al piano inferiore del Centro Sportivo di Floridsdorf, ma che a Vienna aveva già cambiato casacca cinque volte (Austria Vienna, Fc Vienna, Rapid, di nuovo Austria e Ac Floridsdorfer) e non certamente per limiti tecnici. Se il giovane Ibra a Malmö sfasciava auto sportive, Arnautovic era noto per le scorribande notturne nella capitale, sguardo truce e una voglia matta di muovere le mani. Enschede, con i suoi prati e le mucche ai lati della strada – come ricordato recentemente dal diretto interessato in un’intervista al Kurier – rappresentava un taglio netto.

Lo scorso ottobre, prima del match tra Newcastle e Stoke City, Arnautovic ha tributato i doverosi omaggi a McClaren. «Lo rispetto molto, come tecnico e come uomo. È stato lui a far decollare la mia carriera, garantendomi quella continuità che è fondamentale per un giocatore al primo impatto con il calcio professionistico». Sebbene l’austriaco gravitasse già nell’orbita della prima squadra durante la precedente gestione Rutten, è stato l’arrivo dell’inglese a far scoccare la scintilla. Sembrava un matrimonio mal combinato, quello tra McClaren e il Twente, tra sparate di mercato e goffe interviste in uno pseudo-olandese da cabaret, rese ancora più ridicole dal fatto di non aver compreso di trovarsi in un paese in cui anche un’anziana signora fermata in strada per chiedere indicazioni mastica qualche parola della lingua d’Albione, e dove i cartoni animati stranieri sono tutti in lingua originale con i sottotitoli. Ma in campo le cose funzionarono alla grande, con il tridente Arnautovic-N’Kufo-Elia alla base di una stagione con il secondo posto in campionato (che McClaren vincerà l’anno successivo, ma questa è un’altra storia) e la finale di Coppa d’Olanda. Il tecnico fu da Arnautovic con una stagione – la sua prima da titolare fisso – da 14 reti, con gemme quali il morbido lob al minuto 120 del quarto di coppa contro il De Graafschap che regalò ai Tukkers il passaggio del turno. La stagione 2008/09 si chiuse con una frattura da stress al piede destro dopo soli dieci minuti dal fischio d’inizio della finale di coppa, che il Twente perderà ai rigori contro l’Heerenveen. Col senno di poi, un colpo di fortuna per le casse dell’Inter, già in fase di avanzata trattativa con gli olandesi per l’acquisto del giocatore, ma che alla luce delle sue precarie condizioni fisiche impose al Twente la formula del prestito annuale, anziché l’acquisto diretto, con successivo diritto di prelazione sul cartellino del giocatore, per una cifra già concordata attorno ai 10 milioni di euro, nel giugno seguente. Un diritto mai esercitato.

Prima dell’approdo allo Stoke, la carriera di Arnautovic era pressappoco ferma a quella Coppa d’Olanda, anche se nel frattempo erano passati quattro anni. Il primo da non-giocatore nell’Inter del Triplete, dove l’unico tris raccolto dall’austriaco riguardava scampoli di presenze – tre per l’appunto – in prima squadra, e il meglio di sé era arrivato da un’amichevole contro il Lugano, serie B svizzera, in quel di Cornaredo, dove comunque era riuscito a irritare anche il placido pubblico sottocenerino con una serie di giochi di suola più consoni ad altri contesti. Il resto è pura cronaca extra-sportiva, dai cazziatoni di Mourinho (storico quello in Medio Oriente quando lo vide scendere nella hall dell’albergo in ciabatte e bermuda prima dell’incontro con l’Al Hilal) alla Bentley di Eto’o che si è fatto rubare fuori da un ristorante.

In Germania entra nello spogliatoio del Werder sfoggiando scarpini personalizzati dalla scritta “Campione d’Europa 2009/10”

Già a Milano, ad appena 20 anni, si parlava di un “futuro ex-Ibrahimovic”, perché per comportarsi da Ibra bisognerebbe prima essere stati come lui, almeno in termini di prestazioni e successi. Ma c’erano i night-club, le donne e tutte le distrazioni della grande città. Eppure nella meno fashion Brema non è andata diversamente, a testimonianza di come alle tentazioni si possa cedere ovunque. In Germania è bastato il primo ingresso nello spogliatoio del Werder, con sfoggio di scarpini personalizzati dalla scritta “Campione d’Europa 2009/10”, per qualificarsi agli occhi di capitan Frings e compagni. Sono così scivolati via tre anni, tra una vita sportiva sempre più anonima (in tre campionati ha segnato lo stesso numero di reti siglate nell’ultima stagione al Twente) a cui faceva da contrastato un privato costantemente sotto i riflettori, tra dichiarazioni di fuoco («Il Werder è un bordello»), liti (al manager Klaus Allofs disse: «Tieniti pure i miei soldi e dalli alla tua famiglia») e tutto il prontuario del giovane maudit, che è persino stucchevole elencare. Al Werder Brema Marko Arnautovic faceva la riserva di Hugo Almeida. Non esiste immagine migliore per descrivere l’abisso nel quale si era tuffato Arnautor-nix (Tor-nicht in tedesco significa “niente gol”).

Passeggiata in area di rigore + destro a incrociare: uno dei migliori gol con l’Austria quest’anno

Da quando ha sostituito Tony Pulis, Mark Hughes ha gradualmente trasformato lo Stoke City in una casa di recupero per flop di vario genere e natura. Basta dare un’occhiata all’attuale rosa: Ibrahim Afellay, Xherdan Shaqiri, Bojan Krkic, Marco van Ginkel, Charlie Adam, Mame Biram Diouf, Joselu. Soprattutto però, Hughes ha saputo dotare lo Stoke di un gioco che andasse oltre il lancio lungo di Rory Delap o Ryan Shawcross per la testa di Peter Crouch, coniugando l’anima operaia e British della squadra con un approccio più creativo in fase offensiva. È così nata una delle migliori versioni dei Potters degli ultimi anni, trascinata anche dal miglior Arnautovic – più trequartista largo a sinistra che punta – dai tempi del Twente. Letta così, non sembrerebbe nemmeno un grande notizia, visto che si sta sempre parlando di Stoke City e non di Arsenal, e un botto fatto al Britannia Stadium rischia di suonare poco più di un petardo bagnato nei cieli d’Europa. Ma nel frattempo è arrivata la qualificazione dell’Austria a Euro 2016 attraverso una cavalcata irresistibile – solo l’Inghilterra ha fatto più punti nei gironi – che, alla voce Arnautovic (autore di 3 reti), ha posto fine a un’attesa durata più di sei anni. «Dal punto di vista mediatico», racconta il giornalista austriaco Christian Reichel, «Arnautovic ha sempre polarizzato le attenzioni fin dai suoi esordi. Perdeva un pallone e lo fischiavano subito, non rincorreva un avversario e i compagni borbottavano. Una volte disse che se avesse fatto cadere una bottiglia d’acqua, era come se avesse lanciato una bomba. Tutto questo perché era una o più spanne superiori a tutti, e in Austria questo tipo di giocatori nascono di rado.

Il gol di Arnautovic che affonda il Man Utd di Van Gaal

Quando è andato allo Stoke il declino sembrava ormai senza ritorno, e invece ci è stato restituito un giocatore maturo, un lottatore anche in fase di non possesso, uno che corre dall’inizio alla fine». La festa per la qualificazione trascorsa senza toccare un goccio di alcol, la dichiarazione che lui «morirebbe per l’Austria», quando fino a poco tempo fa il livello si attestava su un «la mia donna ideale deve avere tette finte e tatuaggi ovunque». Con lui, Alaba («quando qualche giornalista mi chiede se ho qualche consiglio da fornirgli, scoppio a ridere: cosa dovrei dire a uno che è allenato da Guardiola?»), Dragovic e Junuzovic, l’Austria non affronterà il primo Europeo della sua storia da semplice turista. Dall’arte dell’auto-distruzione a quella della rinascita. Da qualsiasi punto lo si guardi, Marko Arnautovic è un artista.

 

Nell’immagine in evidenza, Arnautovic esulta dopo il gol contro il Manchester Utd (Laurence Griffiths/Getty Images); in testata e nel testo, contro il Manchester City (Alex Livesey/Getty Images)