Lo sciacallo

Florentino Pérez e le mani sul Real Madrid: come il presidente ha costruito un impero miliardario con affari ben oltre il calcio (ma grazie al calcio).

Florentino Pérez

Sciarpe, maglie e fazzoletti bianchi. Gli altoparlanti del Santiago Bernabéu alzano i decibel di Hala Madrid nel tentativo vano di coprire il coro unanime del popolo merengue: «Florentino dimisión».  La pañolada che aveva accompagnato l’uscita dal campo dei giocatori il 21 novembre 2015, dopo lo 0-4 col Barcellona, si è ripetuta al termine del derby con l’Atletico del 27 febbraio 2016, perso per 1-0. Il Real è a -12 dai blaugrana, 4 punti sotto i colchoneros, ha già detto addio a Liga e Coppa del Re e prova ad aggrapparsi con tutte le forze che gli restano alla Champions League. Lo spettro del secondo anno di fila senza titoli da festeggiare comincia a materializzarsi, e per i tifosi c’è un solo colpevole: il presidente.

A gennaio, dopo l’esonero di Rafa Benítez, l’associazione Valores del Madridismo aveva pubblicato una nota ufficiale chiedendo le dimissioni di Pérez e la convocazione di elezioni anticipate. Su Change.org è possibile trovare una petizione contro Florentino che finora ha raggiunto più di 7.500 firme. Le accuse sono chiare: l’assenza di programmazione; i troppi cambi in panchina (11 tecnici in 12 anni); «l’assenza di una politica sportiva, di leadership e valori» che si riassume bene nella preferenza della cartera (il portafogli) alla cantera (il settore giovanile, spesso dimenticato e lasciato ai margini). A essere messa in discussione è la politica dei Galácticos, quella degli «Zidanes y Pavones» che dava gran risalto ai grossi nomi pescati in giro per il mondo e pagati a peso d’oro, lasciando al vivaio il compito di produrre giocatori di secondo piano con cui tappare i buchi in difesa e in panchina.

Zidane e Pavon, in persona (Alex Livesey/Getty Images)
Zidane e Pavon, in persona (Alex Livesey/Getty Images)

Nonostante con lui siano arrivate due Champions League (la nona, nel 2002, e la tanto sospirata decima nel 2014), aver vinto una sola Liga da quando è tornato alla guida del club nel 2009, mentre il Barcellona ne metteva in bacheca quattro, rischia di marchiare indelebilmente Pérez. Così i 12 anni della sua gestione, più che per i trofei conquistati, saranno ricordati per i colpi di mercato. E per i soldi investiti in ingaggi: 1 miliardo 242 milioni 350 mila euro.

Florentino è profondamente convinto che riempire una squadra di campioni sia il modo migliore per vincere. Ma il concetto di “vincere”, nella sua testa, non si limita esclusivamente al campo. Da curare, oltre alla bacheca del Real Madrid, ci sono gli affari, a partire da quelli della Acs (Actividades de Construcción y Servicios), il gruppo di costruzioni di cui è titolare, che ha chiuso il bilancio 2015 con 35,4 miliardi di entrate. E i grandi calciatori, oltre a far vincere trofei, aiutano negli affari.

Prendiamo James Rodríguez. Togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, dopo il suo esonero, Rafa Benitez ha raccontato di come Pérez gli imponesse di far giocare il colombiano, «perché fa vendere molte più magliette di Kovačić».
Le magliette, sì. Tre giorni dopo l’annuncio del suo arrivo a Madrid, il Diez ne aveva fatte vendere 350 mila, arrivando a coprire praticamente la metà del costo del suo cartellino (80 milioni di euro) solamente con i proventi del merchandising (41 milioni). Ma non basta questo dato a spiegare quanto l’ingaggio di Rodríguez sia stato proficuo per Pérez. Sarà un caso, ma nei mesi immediatamente successivi al suo approdo al Madrid, la Acs mise a segno due importanti colpi in Colombia: il primo, un appalto da 692 milioni per la costruzione dell’autostrada Conexión Pacífico tra Medellín e Bombolo, arrivò nel settembre 2014; il secondo, l’assegnazione dei lavori per la progettazione, il finanziamento, la costruzione e lo sfruttamento per 25 anni dell’autostrada Mulaló-Loboguerrero, nel dicembre dello stesso anno.

James, Chicharito e Carvajal, nell'ottobre 2014 (Manuel Queimadelos Alonso/Getty Images)
James, Chicharito e Carvajal, nell’ottobre 2014 (Manuel Queimadelos Alonso/Getty Images)

E mentre James diventava un beniamino del Bernabéu, accumulando nove gol e otto assist nella prima parte di stagione, in Colombia qualcuno storceva il naso. Nessuno, infatti, aveva dimenticato lo scandalo Commsa, il consorzio spagnolo-colombiano guidato da Pérez che nel 1997 si era aggiudicato la costruzione della troncal del Magdalena per 425 milioni di dollari, intascandone 77 d’anticipo senza realizzare mai l’opera. La causa, avviata dal presidente colombiano Andrés Pastrana come segno di rottura col suo predecessore Ernesto Samper, si concluse nel 2007, dopo otto anni di udienze in tribunale, con una condanna per abuso di fiducia e la restituzione di quei 77 milioni e dei contributi senza alcuna multa aggiuntiva. Quattro anni prima, all’indomani della fine del suo mandato, Pastrana era stato visto più volte sul palco del Bernabéu, al fianco di Florentino Pérez.

Se è vero che non mancano gli elementi per collegare il suo ingaggio agli affari di Pérez in Colombia, non si può certo dire che James Rodríguez non sia un crack. Eppure il suo arrivo al Real è stato e continua a essere criticato per aver portato alla cessione di Ángel Di Maria e al crollo di quei fragili equilibri costruiti da Carlo Ancelotti che appena pochi mesi prima avevano portato alla conquista della decima Champions League. Ma a destare perplessità, in quella stessa sessione di mercato, fu soprattutto l’arrivo di Javier Hernández. Scivolato ai margini del Manchester United, il Chicharito giunse nell’ultimo giorno di trattative, come piano B dopo il flop dell’operazione Falcão, accompagnato dallo scetticismo di tifosi e addetti ai lavori e battezzato da un Cristiano Ronaldo decisamente poco entusiasta: «Se fossi stato io a comandare, forse non avrei fatto la stessa operazione».  Nella sua stagione in merengue Hernández avrebbe messe insieme appena 1.490 minuti (praticamente 16 partite intere), realizzando 9 gol. Una media discreta, ma nulla in confronto ai 432 milioni di euro dell’appalto per i lavori sulla raffineria Miguel Hidalgo di Tula che Acs riuscì ad aggiudicarsi a metà settembre, due settimane dopo l’arrivo del Chicharito, vincendo la gara indetta dalla compagnia statale messicana Pemex.

«I calciatori prendono 20 milioni per fare lo spot di un budino. Se lo facessero con la maglietta del loro club ne prenderebbero 200»

Coincidenze curiose, ma non uniche. Nel 2011, Acs salì al 50,16% di Hochtieff, la più grande compagnia tedesca di costruzioni. L’estate precedente erano arrivati a Madrid Mesut Özil (15 milioni) e Sami Khedira (10 milioni). A maggio del 2011, poi, il Real annunciò gli ingaggi di Nuri Şahin e Hamit Altintop, due nazionali turchi che si sarebbero fermati un solo anno al Bernabéu senza lasciare ricordi indelebili (22 presenze in totale e un gol a testa). Lo stesso anno i media spagnoli parlarono di un accordo commerciale tra il Real Madrid e l’impresa statale turca dell’oro Istanbul Altin Rafinerisi. Una sorta di grimaldello per permettere ad Acs di stabilirsi con forza nel mercato locale.

Il primo e unico gol di Altintop a Madrid, nel 6-2 contro il Siviglia

«I calciatori prendono 20 milioni per fare lo spot di un budino. Se lo facessero con la maglietta del loro club ne prenderebbero 200». Così Florentino Pérez spiegava lo straordinario potenziale commerciale di un fuoriclasse. Ma perché lo “spot” sia efficace, servono i migliori al mondo. E per i migliori al mondo, servono tanti soldi. Quando nel 2000 divenne presidente del Real Madrid strappando per 60 milioni Luis Figo al Barcellona, Pérez valutò in 277 milioni il passivo del club. Come fece a ridurlo? Con l’aiuto del comune di Madrid, che riqualificò in edificabili le aree dei campi d’allenamento che aveva acquistato dal club per 27 milioni di euro nel 1997. Su quei terreni sorsero quattro torri che modificarono lo skyline della capitale spagnola – la Torre Bankia, la Torre Espacio, la Torre de Cristal e la Torre PwC – e il club ottenne un profitto di 501 milioni e 886 mila euro. Il Psoe fu l’unico partito a opporsi all’operazione, e – curiosità – il sindaco che la varò, José María Álvarez del Manzano (Pp), era lo stesso che nel 1997 aveva negato la conversione a Lorenzo Sanz, predecessore di Pérez alla guida del Real Madrid. Il partito nazionalista catalano Ciu presentò ricorso alla Commissione europea, denunciando il fatto come un aiuto di Stato mascherato, ma la causa fu archiviata.

Real Madrid president Florentino Perez attends a conference to unveil a one-billion-dollar Real Madrid Resort theme park on a man-made island in Ras al-Khaimah in the United Arab Emirates on March 29, 2012. Executives unveiled plans for the "Real Madrid Resort Island", featuring an oceanside stadium and hi-tech club museum in the Gulf emirate, on the doorstep of the lucrative football-mad Asian market. AFP PHOTO/KARIM SAHIB (Photo credit should read KARIM SAHIB/AFP/Getty Images)
Perez a una conferenza sulla costruzione del resort “Real Madrid”, sull’isola di Ras al-Khaimah, Eau (Karim Sahib/Afp/Getty Images)

L’alleanza con le giunte locali (soprattutto se guidate dal centrodestra) sarebbe potuta continuare col progetto di ampliamento del Santiago Bernabéu che prevedeva la realizzazione di un hotel di lusso da 200 camere, un centro commerciale e una zona verde. Pérez si era procurato lo spazio per realizzarlo grazie a una serie di scambi e compensazioni con il Comune di Madrid: il Real cedeva metri quadrati dietro lo stadio e in cambio ne otteneva altri molto più edificabili nella parte antistante. A dare il via libera, il Comune e la Comunità autonoma di Madrid, entrambi guidati da giunte di centrodestra, con il sindaco Ana Botella e il presidente Ignacio González.  L’accordo, però, finì sotto la lente di ingrandimento della Commissione europea, che intravide in esso gli estremi del finanziamento pubblico mascherato, e nel febbraio 2015 venne annullato dal Tribunale superiore di giustizia di Madrid. Nel frattempo il Comune ha cambiato padrone, con l’arrivo del sindaco di Podemos Manuela Carmena, e la nuova giunta ha deciso di opporsi a un ampliamento dello stadio che occupi suolo pubblico. Così Florentino sarà costretto a rivedere il suo progetto.

Ciò che è certo è che per realizzarlo dovrà spendere tanti soldi, tra i 300 e i 400 mila euro, e che per ottenerli dovrà rivolgersi alle banche. Non sarebbe certo un problema, visti gli ottimi rapporti che Pérez può vantare con i principali istituti di credito spagnoli. Nel 2015 il Real Madrid ha registrato 660 milioni di incassi, un margine operativo lordo di 203 milioni e profitti per 42 milioni, ma ha ancora un debito di 82 milioni con le banche. A settembre 2015 è riuscito a rimodellare la rateizzazione in modo da non dover pagare i 54,17 milioni previsti per il 2016, rimandando la prima rata alla stagione 2018/19, quella in cui, secondo gli accordi iniziali, si sarebbe dovuto estinguere il debito. Per ottenere la proroga, Pérez ha dovuto ipotecare le quote dei soci fino alla stagione 2018/19, le entrate dagli abbonamenti fino al 2020/21 e i proventi di accordi di sponsorizzazione come quello con Fly Emirates.

Portuguese forward Cristiano Ronaldo (R) poses with Real Madrid President Florentino Perez after being awarded by the Portuguese President Anibal Cavaco Silva (unseen) with the grade of Grand Officer of the Order of Prince Henry the Navigator during a ceremony held at Belem Palace on January 20, 2014. The portuguese president decided to distinguish Cristiano Ronaldo for being a worldwide symbol of Portugal, thus contributing towards the Country's international image, and an example of perseverance for the new generations. AFP PHOTO/ PATRICIA DE MELO MOREIRA (Photo credit should read PATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP/Getty Images)
Pérez e Ronaldo al Palácio de Belém, sede del governo portoghese, nel dicembre 2015 (Patricia De Melo Moreira/Getty Images)

Niente di particolarmente sconvolgente se si pensa che tra il 2010 e il 2011 Banco Santander e Bankia chiesero aiuto alla Bce presentando come garanzia i finanziamenti concessi al Real Madrid per gli ingaggi di Cristiano Ronaldo (94 milioni) e Kakà (60 milioni): il sistema bancario spagnolo, indebitato fino al collo, fa il calciomercato per la Casa Blanca. E pare sia successo anche con Gareth Bale, acquistato dal Tottenham nel 2013 con un esborso record di 101 milioni reso possibile dai prestiti elargiti dalle stesse banche salvate qualche anno prima con i soldi dei risparmiatori e dei contribuenti europei. La rivelazione, filtrata dal contratto per l’acquisto di Bale pubblicato da Football Leaks, ha spinto tre eurodeputati a invocare un’inchiesta della Commissione europea sull’affare, denunciando un altro possibile «aiuto di Stato illegale». L’accusa, portata avanti dal vicepresidente della commissione Economia dell’Europarlamento Sander Loones, dal conservatore britannico Daniel Dalton e dal nazionalista catalano Ramón Tremosa, è la stessa che nel 2013 partì dall’eurodeputato olandese Derk Jan Eppink.

Poi Bale segnò il gol decisivo nella finale di Coppa del Re col Barcellona, il Madrid conquistò la Decima Champions League battendo l’Atletico Madrid, e le critiche cedettero il passo agli elogi. Ma ora che si avvicina il secondo anno di fila senza titoli, e che il Barcellona si avvia verso il possibile back-to-back del triplete, tutti i fantasmi di Florentino tornano alla luce. I tifosi lo contestano, vorrebbero qualche Galáctico in meno e qualche titolo in più, e il presidente ha perso pure i suoi alleati in Comune. Ma quel coro «Florentino dimisión», rischia di restare un desiderio inesaudibile. Nel 2012, un anno prima del nuovo voto, Pérez pensò bene di blindare la sua posizione. Lo fece cambiando lo statuto in modo da non poter avere rivali. Per diventare presidente, ora, servono almeno 20 anni di anzianità da socio (prima erano 10 e lo stesso Pérez ne aveva 15 quando vinse nel 2000) e una garanzia bancaria basata solo sulle sue proprietà personali e pari al 15% del budget del club. Gli aspiranti presidenti futuri hanno presentato ricorso per impugnare la norma, ma allo stato attuale l’unico che può sostituire Pérez è Pérez, il 15esimo uomo più ricco di Spagna con un patrimonio di 1,5 miliardi di euro. E 81 mila pañuelos blancos, di certo, non possono cambiare la situazione.

 

Nella foto in evidenza, Pérez mentre parla al consiglio d’amministrazione, nel novembre 2015 (Javier Soriano/Afp/Getty Images)