Abbiccì – La veronica

La terza puntata di una rubrica sulla storia dei gesti tecnici del calcio. La veronica da Maradona a Zidane, e perché ha così tanti altri nomi.

Veronica: è una finta nel giuoco del calcio tramite la quale un calciatore con un piede passa la palla all’altro mentre con il corpo ruota su stesso. In inglese si chiama “Marseille turn”, in francese “roulette”.

Veronica è leggera e veloce, è bella e elegante. Veronica è argentina, di Buenos Aires. Veronica è francese, marsigliese. Veronica rende la polvere e le reti bucate più belle. Veronica porta magia. Veronica è poesia; è un passo di danza. L’argentino balla con Veronica. L’argentino è Diego Armando Maradona, uno dei calciatori che più hanno giocato in campo con questa finta e di cui maggiormente si ricorda quando si parla di veroniche. È stato lui, prima di tutti, ad associare il gesto al suo nome, con la maglia del Boca o quella del Napoli. In tedesco la veronica che si chiamerebbe Mare turn, il giro della cavalla, ma viene anche definita MarEdona in suo onore.

“Veronica goals”, con Ost di Freddie Mercury

Anche il francese balla con Veronica. Dopo Maradona c’è stato un altro grande produttore di veroniche, con la stessa quantità e qualità dell’argentino, e forse ancora più di lui il suo nome è associato, nella memoria collettiva, alla giocata: Zinedine Zidane. Zidane ha probabilmente nella veronica il simbolo massimo e ideale del suo gioco e nel mondo anglosassone questa associazione è sottolineata dal fatto che la veronica in inglese è chiamata Marseille turn, rendendo omaggio al calciatore francese, nato a Marsiglia.

Lezioni di veronica con Zizou

Non sappiamo, in realtà, chi sia stato il primo ad averla fatta, ma si ha idea di chi sia stato il primo a effettuare questo dribbling in Europa. Anche in questo caso, come per la rabona, è un giocatore argentino: José Farías. Centrocampista originario di Bolívar, dopo un inizio incerto in patria nel 1962 arriva in Francia dove, con le maglie del Racing Club de Strasbourg e Red Star Football Club ha le sue annate migliori. Così come per Infante, anche il colpo di Farías venne riprodotto su una rivista dell’epoca, nel 1967. In questo caso sono una serie di fotografie in cui il giocatore argentino mostra, in allenamento, la veronica.

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Dice Farías: «È nella nostra natura. Noi sudamericani siamo grandi appassionati di calcio. Fin da piccolo ho cercato di copiare le stelle. Ho visto Rubén Bravo giocare quando ero un ragazzino. Pontoni mi ha insegnato un sacco perché aveva uno straordinario gioco di gambe. Ma la qualità più sorprendente tra di noi è l’immaginazione, lo spirito inventivo di tutti coloro che armeggiano una palla. Prendete per esempio il mio famoso colpo di roulette, l’ho visto fatto da uno sconosciuto in un deserto». È un dribbling con un nome diverso in ogni lingua, e non è naturalmente la sua semplice traduzione, come succede per il doppio passo. In Francia è chiamata roulette e vedendo il movimento che fa il giocatore, e sapendo cos’è una roulette, è facile capire l’associazione. Ci manca, ora, il perché di quel nome femminile e personale in italiano: veronica. Per spiegarlo, però, dobbiamo tornare indietro di un po’. Più o meno 2000 anni.

Tutto ha inizio con il Velo di Veronica. Negli Atti di Pilato, uno dei tanti testi definiti apocrifi della religione cattolica, viene raccontato di una pia donna che con un velo asciuga il sangue e il sudore di Gesù Cristo nel momento della sua Passione. Secondo il testo, il volto del figlio di Dio rimane impresso nel velo, assumendo così lo status di reliquia, una delle molte reliquie cristiane.

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“Santa Veronica sostiene il velo”, di Mattia Preti (1613-1699)

Nonostante il passo non sia presente nei Vangeli riconosciuti, l’episodio del velo di Veronica è stato tramandato nei secoli, ed è il punto di partenza per capire il nome della nostra finta. Per il passaggio successivo dobbiamo spostarci in Spagna, a Siviglia o Valencia, dove si preferisce. In una di quelle arene di terra e sabbia con un matador brandisce la cappa rossa per attirare il toro. E quando, incitato dal pubblico, vediamo il matador muovere la cappa di lato, con le gambe tese e sulle punte dei piedi, e una volta che il toro è partito effettuare un giro antiorario per fargli cambiare direzione, in quel momento possiamo dire di stare assistendo a una veronica. È uno dei passes principali effettuati dai matador e prende il nome direttamente dal velo sopracitato.

Dalla terra dell’arena ci spostiamo alla terra rossa di un campo da tennis, possono essere il Roland Garros come gli Internazionali di Roma, non importa, tanto li ha vinti entrambi. Parliamo di Adriano Panatta che batte e velocemente scende a rete, di fronte a lui Solomon o Vilas rispondono e Panatta al volo la ribatte subito, l’avversario quindi tenta un pallonetto e alzando la pallina cerca di superare il tennista italiano. Panatta a quel punto allunga il braccio verso l’alto girandosi, cioè fa una veronica e di rovescio colpisce la pallina che schizza in un angolo. 15-0. Proprio per la similitudine di movimento con quello del matador, nel tennis la demivolée di rovescio è chiamata veronica e Panatta, il più grande tennista italiano, l’ha sempre avuta tra i suoi colpi.

Una bellissima veronica di Roger Federer contro Andre Agassi nella finale della Tennis Master Cup del 2003, vinta poi dallo svizzero.

E infine arriviamo all’erba di un campo da calcio, dove quella piroetta quella rotazione, quel giro sulla palla, per associazione forse più con il colpo fatto dal tennista che con quello del matador (essendo precedente a quello calcistico e soprattutto essendo la corrida non molto conosciuta in Italia) è chiamata veronica. Un giro di valzer con il pallone, e allora è il pallone, forse, che si chiama Veronica.

 

Nell’immagine in evidenza, Zidane contro Dani Álves, nel 2004 (Denis Doyle/Getty Images)