Fermare il Barcellona

Max Allegri incrocia i blaugrana per la decima volta in carriera: come li ha affrontati nelle partite precedenti?

Molti tifosi juventini hanno salutato con rassegnazione il sorteggio dei quarti di Champions, come a dire che «Allegri è abbonato al Barça», o ancora «per lui è una tassa». In effetti c’è del vero: questa è la decima volta che Allegri incrocia i blaugrana sul proprio cammino di Champions (e il ritorno sarà l’undicesima). Era successo per ben quattro volte con il Milan, in doppie sfide andata e ritorno, prima della finale di Berlino del 2015. Il bilancio è a favore del Barcellona: 5 sconfitte, 3 pareggi e una sola vittoria per Allegri. Nelle due occasioni di eliminazione diretta col doppio confronto, il Milan è sempre uscito, e con la Juventus perse la finale di due anni fa.

Primi tentativi

Il Milan che affrontò l’ultimo Barcellona di Guardiola era un Milan chiaramente diverso sia da quello attuale, sia dalla squadra che dominava in Europa un lustro prima. Tuttavia, forse, è il Milan che Allegri ha più sentito suo: era il secondo anno sulla panchina rossonera, quello dopo il primo scudetto vinto. L’andata del match si gioca al Camp Nou il 13 settembre 2011. La formazione di quel periodo è un manifesto dell’Allegri-pensiero: il 4-3-1-2 d’ordinanza presenta il mediano incontrista che decretò il congedo di Pirlo dal Milan, quel Van Bommel che fu a lungo additato come l’idealtipo di mediano per Allegri. Il trequartista è anche lui un topos allegriano che ritroveremo più avanti, fisico e strappi, con Boateng che nella testa dell’allenatore livornese doveva andare a contendere il pallone a Busquets (o meglio, a Seydou Keita, perché Busquests quella partita la giocò in difesa al posto dell’acciaccato Piqué). Poiché Allegri aveva impostato una partita squisitamente reattiva, la falcata e la velocità di Pato davano al tecnico migliori garanzie rispetto a Robinho, giocatore molto più paziente.

Fu proprio il Papero ad aprire quella partita, danzando come una gazzetta tra i confusi Mascherano e Busquets. Uno dei gol-simbolo di quello che era e che sarebbe dovuto essere Pato

Dopo le prime folate il Milan sceglie la prudenza, accorciando le linee e lasciando l’iniziativa al Barcellona. Un po’ troppo in sofferenza sulla circolazione veloce dei blaugrana, la difesa posizionale del Milan non riusciva a creare le condizioni perché Pato potesse colpire di nuovo. Seedorf e Cassano, due nomi su tutti, furono in grande difficoltà nel tenere la posizione. La linea Maginot rossonera tenne anche oltre il possibile, e Thiago Silva riuscì ad agguantare un punto preziosissimo sul campo dei campioni di tutto.

Preso atto che la difesa alta dei catalani può essere attaccata verticalmente con successo, e annusata al contempo l’impossibilità di contenderle il dominio della sfera, Allegri si è giocato il tutto per tutto nella partita di San Siro. Un match in cui il Milan aveva poco da perdere e molto da guadagnare in caso di risultato pieno. Davanti Robinho offriva più garanzie di Pato: sparring partner ideale di Ibra (recuperato), era anche in grado di offrire ampiezza ad modulo altrimenti troppo ripiegato sulle proprie tracce centrali. Il Milan offrì una prestazione a due facce: finalmente proattivo ed efficace nell’aggredire la circolazione bassa del Barcellona, ma intrinsecamente vulnerabile al bello e cattivo tempo di Messi, Pedro e Fàbregas. Il catalano fu schierato da falso nueve, in uno dei primi esperimenti in tal senso di Guardiola, con l’effetto di aprire ancor di più spazi giocabili e aggredibili.

Una partita che ricorderemo soprattutto per questo gol folle di Boateng

Uno dei più importanti quesiti di tutte le grandi squadre che hanno affrontato il Barcellona negli ultimi anni è stato: difesa posizionale o transizione difensiva aggressiva? Quale strategia offre meno svantaggi? Allegri non è certo stato esente dal dubbio, ma ha dalla sua il fatto di essere un allenatore estremamente versatile, sia in termini di moduli che per quanto riguarda lo spartito da far suonare ai suoi giocatori. Dopo essersi sbarazzato con qualche difficoltà di troppo dell’Arsenal (4-0 all’andata e 0-3 al ritorno), Nyon gli mise di fronte ancora una volta Guardiola nei quarti, dopo averlo già affrontato nella fase a gironi.

Anche questa volta l’andata è a Milano. E anche questa volta è un Milan a due facce: nei primi minuti la pressione portata sulla circolazione bassa del Barcellona – a metà strada tra uomo e spazio – ha messo in condizione Robinho e Ibra di puntare al bersaglio grosso. Quando si è trattato di andare a prendere i difensori blaugrana, il Milan ha mostrato la migliore versione di sé. Al contrario, quando la prima pressione non portava i risultati desiderati, il 4-3-1-2 del Milan si accartocciava su se stesso mostrando tutti i limiti della difesa posizionale contro fenomeni del Barça. La doppia linea difensiva (con Boateng abbassato accanto a Van Bommel) soffriva sia gli scambi nello stretto che i cambi di gioco sul lato debole: i terzini erano chiamati dentro al campo ad accorciare, e i difetti della difesa a 4 nel controllare tutta l’ampiezza venivano così amplificati.

Se l’andata, terminata 0-0, ha avuto l’inconfutabile merito di aver messo la museruola all’attacco avversario, Allegri si trova comunque nella scomoda situazione di giocarsi l’accesso alle semifinali davanti a 100.000 spettatori. Se il suo Milan ha replicato la strategia dell’andata, la pressione portata dal possesso blaugrana ne ha amplificato le fasi di difesa posizionale. Nella testa di Allegri, probabilmente il Milan avrebbe dovuto distendersi più spesso, ma tra la strategia iniziale e la realtà del campo ci si mise un gran Messi. 3 a 1 finale e Milan eliminato.

FC Barcelona v AC Milan - UEFA Champions League Quarter Final

Rivoluzione

Il 2012/2013 viene oggi ricordato dai tifosi milanisti come l’inizio del declino. In estate salutano (quasi) tutti i campioni della squadra, dichiarando finito un ciclo che si è lasciato sfuggire l’ultimo scudetto dalla prima Juventus di Conte. Nesta, Gattuso, Inzaghi, Zambrotta e Seedorf lasciano in estate, Thiago Silva, Ibrahimović e Cassano vengono venduti e anche Pato rinuncia all’Italia in inverno. Allegri scopre però il talento precoce di El Shaarawy e ottiene Balotelli in inverno. Tito Vilanova ha raccolto l’eredità di Guardiola: gli acquisti già definiti da tempo di Jordi Alba e Song non cambiano la squadra, né la permeante filosofia del tecnico di Santpedor, e anzi aggiungono profondità ad una rosa che parte di diritto in pole position sulla griglia di partenza. L’involuzione della squadra però si era già manifestata dall’inverno: il possesso palla si è trasformato da mezzo di offesa a necessità primaria, e i movimenti del juego de posición risentono dell’eccessiva staticità del centrocampo. Xavi ha intrapreso la via del dorato tramonto, Messi accusa una stagione con qualche passaggio a vuoto di troppo, mentre Fàbregas rimane invischiato nell’equivoco tattico che accompagnerà tutto il suo ritorno in Catalogna.

Nell’andata (ancora una volta il casa), ad Allegri riesce l’impresa. Il Milan tiene strette le linee, concede il possesso al Barça, ma lo obbliga a una «odiosissima circolazione ad U» (cit. Pep). La velocità del ventenne El Shaarawy, vero e proprio crack della stagione, acuisce le difficoltà in transizione del Barcellona: saltato il primo pressing (grazie ai piedi di Montolivo e le opzioni che i compagni gli offrono), i blaugrana non sono in grado di difendere all’indietro. La linea difensiva alta è sempre attaccabile in verticale, e Piqué e Puyol mostrano evidenti limiti – storici peraltro per i blaugrana – nello scappare all’indietro. Allegri per l’occasione schierò un 4-3-3 asimmetrico, in cui a Boateng ed El Shaarawy veniva richiesto l’allineamento al centrocampo per non perdere ampiezza in difesa. E poco importa che abbia lasciato il 70% di possesso al Barcellona, la grande partita di sacrificio del ghanese e di Pazzini porta in dote ad Allegri la prima vittoria contro i catalani della sua carriera internazionale: 2-0. Partita perfetta.

Se l’andata ha mostrato tutti i difetti dell’ultimo Barcellona, il ritorno può essere considerato un vero e proprio canto del cigno. Il 4-0 finale è frutto di un doppio Messi, Villa e Alba, ma è tutta la squadra a girare come due anni prima. Ad Allegri non riesce il miracolo, vittima ancora una volta di una squadra eccessivamente schiacciata sulle proprie posizioni. Al Campo Nou, d’altra parte, non è mai chiaro dove finisca la volontà delle squadre di difendersi basse e dove cominci invece la forza della pressione del Barça.

Che poi, come si fa a difendere una roba del genere?

Declino

Raccolti i cocci di una stagione che rischiava di essere fallimentare (terzo posto agguantato a Siena sul gong), l’anno successivo la squadra viaggia a velocità di crociera. Allegri saluterà a gennaio dopo il 4-3 subìto al Mapei Stadium e l’esplosione di Berardi, ma c’è tempo per un’ultima sfida. Il girone vede Barcellona, Celtic e Ajax avversari del Milan. Anche il Barcellona è una squadra diversa: la squadra è affidata a Gerardo “Tata” Martino, che cercherà di mischiare un po’ di verticalità alla stagnazione orizzontale cui stava andando incontro la squadra. Dal doppio confronto, Allegri esce con un pareggio a Milano (1-1) e un’altra sconfitta al Camp Nou (1-3). Il pareggio di San Siro, peraltro, aveva confermato l’involuzione tecnica della squadra, con il Milan che era riuscito a rendersi pericoloso solo in seguito a errori plurimi della retroguardia blaugrana. La mediana con De Jong, Montolivo e Muntari (più il trequartista Birsa) non riesce ad innescare Robinho e il suo partner Kakà, la squadra si ripiega ancora una volta su se stessa ed cede il 65% di possesso al Barça. Stavolta non escono conigli dal cappello di Allegri.

Il ritorno cristallizza ancor di più il gap tecnico, ma il Milan rischia molto di più di quanto non dica il risultato. Il Barça dà segnali di onnipotenza, ma i rossoneri ci mettono molto per facilitargli il compito. Il Milan non riesce ad opporre resistenza al fraseggio stretto del Barça, le uscite non sono coordinate nei tempi e Messi si infila in qualsiasi half space percettibile. Il mantra di “tecnica, tecnica” che Allegri va decantando da Cagliari si scontra contro i limiti del centrocampo rossonero, che non riesce mai ad uscire pulito con il pallone. Allegri e il Milan è un binomio che finirà di lì a due mesi.

Berlino

La cavalcata della prima Juve di Allegri porta dritta alla finale di Berlino: era la stagione del doppio modulo, con la difesa a 3 che era stata confinata al ruolo di “modulo da campionato”, in favore di un 4-3-1-2 ritenuto più europeo. Inoltre, questo gli permetteva di schierare i “fab four”, ossia Pirlo, Marchisio, Pogba e Vidal (trequartista atipico per l’occasione) tutti insieme. Dopo aver progressivamente edulcorato il “contismo” e il suo 3-5-2, Allegri propone la sua versione della Juventus. I bianconeri giocano un’ottima partita, generosa, ma capitolano. Costretto a fare la partita dopo il precoce vantaggio Rakitić, la Juventus ha mostrato i limiti di Tévez e Morata nell’attacco posizionale. Così facendo, inoltre, Allegri ha mostrato il fianco alla velocità della MSN. Se infatti Pogba e Evra erano riusciti ad ingabbiare Messi, i fisiologici spazi lasciati dall’alto baricentro della Juventus hanno fatto gola a Neymar e Suárez, lasciando i tifosi bianconeri con l’amaro sapore dell’ennesima occasione persa.

Proviamo a fare una categorizzazione (molto) semplicistica. Sia l’unica vittoria che le sconfitte più nette sono arrivate quando il Milan ha fatto del gioco reattivo il suo piano gara. La differenza è stata, semmai, nella capacità di far risalire il campo ai suoi giocatori. Quando invece ha deciso di giocarsela a viso aperto, ne sono uscite spesso partite complesse, in cui la differenza di tasso tecnico ha avuto comunque la meglio. Ma, e questo è evidente, Allegri ha provato a giocarsela solo e soltanto con le squadre migliori che ha allenato (il primo Milan e la Juventus). Se c’è qualcosa che queste partite ci hanno insegnato, è che il Barcellona – qualsiasi versione del Barcellona – è battibile all’interno dei 90’. La cosa complicata è semmai riuscire ad avere la meglio dei catalani su un lasso di tempo più ampio, a maggior ragione quando ci si mette di mezzo il Camp Nou. Al netto dell’entusiasmante vittoria 2-0 a San Siro, forse il momento in cui una sua squadra si è più avvicinata al Barcellona, è stata proprio la finale di Berlino.

Ma Allegri invece è un tecnico che è molto maturato da quando arrivò a Milanello, affinando i principi di gioco su cui costruisce la propria squadra e smussando angoli ruvidi di monolitismo tattico. Il suo processo di crescita ha poi subìto una sterzata decisiva con l’arrivo a Vinovo, dove ha potuto lavorare con tranquillità alla definizione di un’identità tattica precisa ma flessibile, che ha portato alla squadra il secondo scudetto nei suoi due anni, oltre alla terza finale di Coppa Italia consecutiva. Inoltre, nel momento storico della stagione, il Barcellona si trova nella fase calda della Liga, mentre la Juventus ha recentemente superato (indenne) il penultimo scontro diretto e ha ancora un discreto vantaggio sulla seconda. La doppia sfida ci dirà se la gestione della stagione di Allegri è stata azzeccata, o se i catalani rimangono ancora di un altro pianeta per il calcio italiano.