La Ferrari è tornata a correre

Alcuni buoni motivi per pensare che l'inizio positivo della Ferrari non sia solo una casualità, ma l'apripista di una stagione finalmente al top.

Se a inizio stagione qualcuno avesse detto che la Ferrari, dopo le prime tre gare del Mondiale 2017 di Formula 1, sarebbe stata in testa a entrambe le classifiche iridate (piloti e costruttori), in pochi probabilmente ci avrebbero creduto. I test invernali tenutisi tra febbraio e marzo a Barcellona avevano lasciato sensazioni positive, ma dopo tante stagioni passate a volare in inverno per poi restare delusi quando i tempi in pista contavano davvero, c’erano ben poche illusioni da farsi e bisognava aspettare prove di tenore più agonistico.

Invece, rispetto al passato, qualcosa sembra essere cambiato davvero per la Ferrari, nell’anno del suo settantennale. Il nuovo corso imposto dal presidente Sergio Marchionne sta dando i suoi frutti. Il connubio direttivo composto dal bresciano Maurizio Arrivabene e dallo svizzero Mattia Binotto – rispettivamente team principal e direttore tecnico – sta funzionando molto bene, e sembra di rivivere il periodo d’oro di Jean Todt e Ross Brawn, per quanto riguarda la compattezza della squadra, composta anche dal direttore dell’ingegneria Jock Clear, dal chief designer Simone Resta e dai direttori aerodinamici Enrico Cardile e David Sanchez. Una squadra ricreata nel corso degli ultimi mesi del 2016 e che sembra dotata di un’alchimia che potrebbe risultare di non poco conto, per almeno un paio di aspetti.

F1 Grand Prix of China - Qualifying

La squadra

Il primo riguarda il lavoro in pista: in queste prime tre gare della stagione si è visto come il livello tra Ferrari e Mercedes (la scuderia che ha dominato i precedenti tre campionati, ovvero dall’introduzione dei motori ibridi) sia in equilibrio, e a influire sull’andamento delle singole corse sono state soprattutto le circostanze. Sia in Australia, nella corsa d’esordio, che sul circuito di Sahkir, in Bahrein, il muretto della Rossa si è dimostrato più svelto a gestire le situazioni critiche, sfruttando a proprio vantaggio safety car e undercut (che consiste nell’anticipare il cambio gomme per sopravanzare un avversario ai box senza dover ricorrere a un sorpasso in pista) e portando a Maranello due vittorie e un secondo posto con il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel. Nelle prime tre gare, in pratica, ha vinto chi ha commesso meno errori, ovvero chi è stato più bravo a sfruttare le spesso caotiche situazioni di corsa. Dopo anni in cui la Mercedes si era abituata ad avere concorrenza solo all’interno del proprio team, con i piloti Lewis Hamilton e Nico Rosberg a giocarsi il Mondiale, per la scuderia tedesca il fatto di giocarsi le gare sulla strategia è un inedito su cui dovrà lavorare molto. E la preoccupazione c’è ed è evidente, se in Bahrein il team principal Toto Wolff si è dovuto rimangiare la promessa di non voler dare ordini di squadra ai propri piloti, chiedendo invece a Valtteri Bottas (che da quest’anno sostituisce Rosberg) di lasciar passare Hamilton.

Da un altro punto di vista, la situazione Ferrari sembra essere cambiata anche per quanto riguarda il “dietro le quinte”, ovvero il lavoro in fabbrica. Al di là della stagione 2016, nata male e finita peggio, negli anni precedenti c’era la sensazione che i meccanismi burocratici fossero troppo complicati, tanto che in pochi anni si sono susseguiti svariati team principal – da Stefano Domenicali al fugace Marco Mattiacci, uomini di fiducia dell’ex presidente Luca Cordero di Montezemolo – e direttori tecnici, in particolare l’italiano Aldo Costa e gli inglesi Pat Fry e James Ellison. Questo ha comportato quasi sempre un mancato progredimento della vettura, incapace di reagire agli avanzamenti delle rivali, che si trattasse della Red Bull o della Mercedes. Una mancanza che è costata la vittoria del campionato all’ultima gara per ben due volte, nel 2010 e nel 2012, in entrambi i casi a discapito di Fernando Alonso. Senza contare il 2013, in cui il duello tra il pilota spagnolo e Vettel (allora alla Red Bull) si è interrotto già a metà stagione.

F1 Grand Prix of Bahrain

La reattività al centro di tutto

Prima dell’inizio della stagione, i vertici del Cavallino hanno puntato molto come tema principale sulla “reattività”, intesa come capacità sia di introdurre soluzioni innovative (e funzionanti) prima degli altri sia di evolversi in base alle necessità. Non a caso, la Ferrari SF70H sembra una vettura in grado di essere competitiva su tutti i tipi di circuito, da quelli cittadini e poco gommati come Melbourne, a quelli con lunghi rettilinei e forti frenate come Shanghai, passando per corse particolarmente calde come a Sakhir.

Dopo i primi tre Gran Premi della stagione 2017, l’idea è che la sfida più grande per i tecnici della Ferrari sarà in ogni caso quella di riuscire a contenere la paventata rincorsa (tecnica, prima ancora che sportiva) della Mercedes, con aggiornamenti che facciano progredire la promettente (sia per quanto riguarda la power unit che per l’aerodinamica) SF70H, soprattutto in una stagione in cui non ci saranno limitazioni agli aggiornamenti da poter portare in pista (dopo l’abolizione del sistema a “gettoni” utilizzato negli scorsi anni). Finora, l’atteggiamento dimostrato dalla nuova squadra sembra essere quello giusto anche sotto questo profilo. Per quanto i piloti contino ancora molto (soprattutto quando si chiamano Sebastian Vettel o Lewis Hamilton, quelli che saranno i probabili protagonisti della stagione), la qualità della vettura fa ancora il grosso della differenza, e la sensazione è che il campionato mondiale si deciderà proprio in fabbrica, più che in pista.

TOPSHOT-AUTO-AUS-PRIX-F1-PODIUM

In termini più prettamente sportivi, la SF70H paga ancora qualcosa alla Mercedes per quanto riguarda la prestazione sul giro secco, grazie anche al non ancora ben identificato “bottone magico” che permette a Hamilton e Bottas di migliorare la propria prestazione quando conta. Il passo gara,  però, è a favore della Ferrari. A Sakhir, Vettel è partito dalla terza posizione, per poi sopravanzare in partenza Hamilton (nel primo duello corpo a corpo del campionato) e ritrovarsi subito dietro all’altra Freccia d’Argento, quella del finlandese Bottas. Il ferrarista è rimasto nei suoi scarichi per alcuni giri, ma l’impressione è stata che la sua auto volesse divorarsi il retrotreno dell’avversario, tanto era stabile e grintosa pur essendo disturbata dai flussi aerodinamici di chi lo precedeva.

L’azzardo aerodinamico

Quando la SF70H è stata svelata, lo scorso 24 febbraio, il dubbio principale era dettato dal fatto che i tecnici del Cavallino avessero adottato soluzioni aerodinamiche largamente diverse da quelle della Mercedes, l’auto di riferimento per tutti. A conti fatti, questo si è rivelato un bene, perché la vettura riesce a gestire meglio il consumo (e quindi il degrado prestazionale) delle gomme Pirelli rispetto agli anni passati, soprattutto sul posteriore e con qualsiasi mescola. Fino al 2016, il punto debole principale della Ferrari è stato sempre identificato nella fatica a mandare in temperatura le gomme, che ha comportato un grosso disagio in qualifica e una grande fatica a prendere il ritmo di gara dietro le imprendibili Red Bull o Mercedes di turno. Anche se la Rossa resta ancora dietro ai rivali in qualifica, la situazione sembra migliorata e più frutto di scelte aerodinamiche volte ad agevolare poi la corsa della domenica. Su questo, è stato molto chiaro Arrivabene dopo il gran premio di Bahrein: «Abbiamo vinto grazie a coraggio, determinazione e follia». La follia è stata proprio quella di “sacrificare” le qualifiche, puntando su un assetto più carico per privilegiare la gara. Una prova di forza pensata con la volontà non di rincorrere gli avversari come in passato, ma di provare ad anticiparli, riuscendoci, sulla scia di una grande sicurezza accumulata nelle due gare precedenti.

F1 Grand Prix of Bahrain

L’altalena dei piloti

Il buon andamento della vettura ha influito anche sul rendimento di Vettel, uno dei pochi fuoriclasse del circuito, che nel 2016 era sembrato fin troppo opaco e scoraggiato dalle cattive prestazioni della sua auto, tanto da arrivare a considerare l’idea di rescindere in anticipo il contratto che lo lega alla Ferrari. E invece Vettel è rimasto, cattivo e determinato, ed è tornato a cantare vittoria in italiano dopo il traguardo, come nel 2015, anno del suo esordio in rosso con 4 vittorie. «Questa è per noi, grande Ferrari», è stata la sua dedica riconciliatoria a Melbourne, mentre in Bahrein – in piena festività pasquale – si è lasciato andare a un più prosaico «Buona Pasqua, grazie mille». A fargli da contraltare c’è invece un Kimi Raikkonen mai così scarico e demotivato come in questi mesi, tanto da far tuonare Marchionne dopo il gran premio di Cina con un «Oggi era impegnato a fare qualcos’altro». Se anche il pilota finlandese dovesse tornare ai livelli del 2013 o perlomeno di alcune gare del 2015 – senza andare troppo indietro – la strada per il Cavallino Rampante, in questo Mondiale, sarebbe ancora più in discesa.