Tre cose sulla prima giornata di Serie A

Gli Under 23 partiti con il piede giusto, il centrocampo dell'Inter, le prime applicazioni del Var: spunti dall'inizio del campionato.

È tornato il campionato, e lo ha fatto innanzitutto con una grande novità: l’introduzione della tecnologia a bordo campo in ausilio al direttore di gara. La Juventus ne ha subìto la prima applicazione, dopodiché ha schiacciato il Cagliari per 3-0; sovvertire le gerarchie per chi parte dietro non sarà facile, e la squadra di Allegri lo ha ricordato. Le polemiche maggiori in chiave Var hanno riguardato Torino e Fiorentina, per ragioni diverse che accendono i primi campanelli d’allarme sulla concreta efficienza del sistema: ma è normale che possa scricchiolare, e lecito che debba essere perfezionato. Tra gli altri punti interrogativi di giornata c’era anche la nuova Inter di Spalletti, che ha passato l’esame Fiorentina con un centrocampo inedito ma apparso subito compatto e ricettivo: su questo aspetto si fonda una buona percentuale delle chanche di successo per i nerazzurri. A proposito di centrocampisti, sabato sera Verona-Napoli è stata un’ottima scusa per tornare ad apprezzare le qualità di Diawara. Il guineano è uno degli Under 23 che hanno iniziato la stagione con il piede giusto: qua sotto parliamo di alcuni di loro.

 

Spalletti e le “tre i”

Impostazione, interdizione, inventiva. Gli ingredienti-base del primo successo dell’Inter targata Luciano Spalletti stanno tutti lì, in una completezza tanto formale quanto sostanziale del suo trio di centrocampo: c’è Borja Valero che amministra il gioco, lo rende fluido e crea continuamente linee di passaggio per i compagni in difficoltà; c’è Vecino che corre per oltre un chilometro in più di Sanchez, best-scorer della Fiorentina in termini di distanza percorsa; c’è Brozovic che tesse con naturalezza i legami posizionali tra centrocampo, Icardi ed esterni. Senza contare João Mário, che esce dalla panchina, gioca 35 palloni con una precisione del 94,7%, serve 4 passaggi chiave (di cui un assist, quello per il 3-0 a firma di Perisic) e mette in fila 3 dribbling in una mezz’ora scarsa. Tatticamente il 4-2-3-1 di Spalletti si trasforma in un 4-4-1-1 piuttosto scolastico in fase di non possesso, con i due esterni che tendono ad abbassarsi sulla linea dei centrocampisti per coprire le avanzate dei laterali bassi avversari o, in alternativa, portare il raddoppio a quelli alti. Su questo aspetto sia Candreva che soprattutto Perisic possono sicuramente incrementare il proprio rendimento, ma entrambi sono apparsi sufficientemente ricettivi considerato il fatto che si è iniziato a fare sul serio da appena novanta minuti.

Ciò che è evidente, dettagli a parte, è che questa Inter si muove con naturalezza e sembra aver raccolto fin da subito le indicazioni di Spalletti. Il ruolo di Borja Valero è quello più libero tra i tre centrali: lo spagnolo può abbassarsi a propria discrezione per creare spazio alle sue spalle e contribuire alla fase di prima o seconda costruzione, ma anche accompagnare in verticale la squadra osando di più in situazioni di possesso. Nell’azione qui sotto, ad esempio, dopo averle dato il via segue l’azione fin dentro il cuore dell’area della Fiorentina. È chiaro che affrontare in casa una squadra in condizioni di massima incertezza come primo test ne abbassi il livello, ma la risposta che serviva è arrivata. Dalle piccole accortezze che Spalletti riuscirà ad implementare nel suo nuovo centrocampo dopo eventuali contraccolpi passano molte delle chances di successo dell’Inter.

Borja alla fine non viene servito, ma è lì, libero a destra

Var: vantaggi e complicazioni

Pronti via, e i fatti di campo hanno già lasciato spazio alle polemiche relative al Var (che è una sigla maschile: la “a” sta per “assistant”, e non per “assistance”; ergo non parliamo di “assistenza”, ma di “assistente” in riferimento al termine “referee”, arbitro). Il primo caso trattato in senso assoluto ha riguardato il rigore concesso al Cagliari nel primo tempo della gara all’Allianz Stadium: sono serviti circa quaranta a Maresca per prendere la decisione, molti meno quelli impiegati da Farias per sprecare il penalty contro Buffon. Altri episodi discussi sono venuti fuori a San Siro, in Inter-Fiorentina, e al Dall’Ara, durante Bologna-Torino: il primo è stato additato senza troppi complimenti come il più classico dei casi di assoggettamento (a testimonianza di come la polemica post-gara sarà difficilmente eliminata pur con tutti gli accorgimenti tecnologici di sorta), il secondo ha invece mostrato una evidente debolezza strutturale del sistema. Un gol annullato – nello specifico quello di Berenguer, che sarebbe valso l’1-2 – non può essere restituito a prescindere dalla decisione del Var; da qui le comprensibili lamentele di Mihajlovic nel post-partita. Posto che più o meno chiunque, nell’approcciarsi a un giudizio sul sistema, tenderà a rifarsi ai precedenti della propria squadra mancando giocoforza di obiettività, con occhio distaccato va comunque riconosciuto che, a oggi, il Var dei difetti li ha. Uno su tutti è rappresentato da un dettaglio che dall’AIA tengono in realtà a far passare come aspetto positivo: Var o non Var, a decidere è sempre l’arbitro anche nelle circostanze più dubbie. L’arbitro può rifiutare/non fidarsi dei suoi collaboratori, quindi per come stanno adesso le cose l’influenza dello strumento è ancora piuttosto debole.

Una ipotesi verosimile per incrementarla? Concedere un tot di chiamate per parte (due?), concordate sul regolamento, e non andare oltre a quelle prestabilite. Così facendo sarebbero soltanto gli allenatori, consigliati da chi di dovere, a fare richiesta della verifica. Si eviterebbero più polemiche, e si farebbe un ulteriore passo avanti verso la correttezza limpida e soprattutto costante del gioco. Idee a parte, la situazione da tenere a mente allo stato attuale è questa: lo strumento c’è e funziona, ed è giusto avere pazienza nei confronti di chi deve imparare ad utilizzarlo con criterio e in buona fede. La prima giornata ne ha evidenziato pregi e difetti, l’ultima potrebbe già essersi liberata di questi ultimi.

Tra qualche decennio questo rettangolino disegnato con le dita sarà un pezzo di storia

Alcuni Under 23 partiti con il piede giusto

Quando le voci che volevano il trasferimento di Bonucci al Milan iniziavano a imperversare dalle parti del centro sportivo, la prima connessione logica che veniva spontaneamente a chi mastica Juventus con una certa continuità è stata repentina: «Se esce Bonucci, entra Rugani». E in effetti, parlando da un punto di vista strettamente logico, il posto del nuovo capitano rossonero non poteva che essere preso da chi per due anni ha studiato alle sue spalle. L’esordio da titolare (nel senso più ampio del termine, naturalmente) ci ha mostrato un Rugani non troppo impavido – non è nel suo carattere e forse non lo sarà mai – ma concentratissimo sotto tutti i punti di vista: mantenimento della linea, uscite in marcatura, gestione della palla. In quest’ultimo aspetto in particolare ha dimostrato di avere la stoffa per sostituire Bonucci: i suoi 76 passaggi effettuati contro il Cagliari, con un validissimo 88,2% in pass-accuracy, sono stati il terzo dato più alto della squadra dopo Pjanic e Alex Sandro.

Un altro che difficilmente avrebbe potuto iniziare meglio la stagione corrisponde a uno dei nomi meno pronosticabili: quello di Patrick Cutrone. Con un ritorno di Europa League da giocare in Macedonia Montella lo ha schierato dal primo minuto contro il Crotone, e lui ci ha messo un attimo per ingranare la quarta: fallo da rigore subìto dopo tre minuti, incornata vincente poco dopo il quarto d’ora e assist per il tre a zero a firma di Suso. E non è tutto, perché nel finale arriva probabilmente la giocata più importante. È Montella a farla al posto suo, dicendo: «Cosa mi piace di più in lui? La sua fame, di gol e di campo: si muove con personalità, sembra un veterano. Rimarrà con noi, tre attaccanti ci servono». Così, dopo i Romagnoli, i Calabria e i Locatelli, la Milano rossonera può annoverare tra gli youngster italiani anche Patrick da Como. Almeno per quest’anno.

Ultimo, ma non per importanza, è Amadou Diawara, che a Verona con il suo Napoli ha messo un altro mattoncino sulla costruzione della propria identità. Lucido, equilibrato, solido e mai lezioso, il mediano che Sarri ha scelto al posto di Jorginho (anche in questo caso c’è un preliminare in corso) ha dato continuità a quanto mostrato nel corso della stagione passata. Sarà interessante capire quanto ancora potrà crescere in questo Napoli, visto e considerato che per ragioni di sistema i suoi margini di miglioramento sono sempre più limitati, ma per questo ci sarà tempo. Intanto, dopo appena novanta minuti, il classe ’97 con più presenze in Serie A entra di diritto tra gli Under 23 che hanno preso di petto la nuova stagione.

Il colpo di testa, puro istinto del gol, di Cutrone