Fabián Ruiz alla regia

Chi è il giovane centrocampista del Betis che sta affermandosi come uno dei migliori interpreti del ruolo in Europa.

Negli ultimi mesi le partite al Benito Villamarín di Siviglia, stadio del Real Betis, registrano sempre due costanti: in campo un gioco di passaggi, tocchi brevi e ritmo alto; in tribuna osservatori di grandi club europei seduti sui seggiolini bianchi e verdi. In entrambi i casi c’è di mezzo Fabián Ruiz Peña – o semplicemente Fabián –, centrocampista classe ‘96 che del club andaluso è il miglior prospetto, il fulcro del gioco, la bandiera, il primo tifoso. Tutto insieme. È lui che permette  alla formazione allenata da Quique Setién di giocare un calcio fluido e verticale, ed è sempre lui che settimana dopo settimana ha trovato un posto in cima alla lista degli interessi di tante società – Barcellona e Real Madrid prima, Chelsea, Arsenal, Manchester United, Everton poi, la Roma negli ultimi giorni – anche per una clausola rescissoria di 15 milioni più che abbordabile rispetto ai prezzi delle ultime sessioni di mercato. Poco importa che proprio contro il Barça, nella serata di gala del Villamarín, il giovane Fabián abbia commesso un errore grossolano regalando un autostrada verso la porta agli avversari: dopo quel gol dello 0-2 i catalani viaggeranno a vele spiegate fino alla manita finale. Nemmeno questo ha scalfito la reputazione che ha costruito nella sua breve carriera da professionista.

Il credito di cui gode lo deve anche, se non soprattutto, alla professionalità, alla maturità con cui ha affrontato alcuni momenti difficili. Uno su tutti, esattamente un anno fa: alla prima stagione in prima squadra non è riuscito a ritagliarsi uno spazio sufficiente sul campo, anche per colpa di un Gus Poyet che non era in grado di apprezzarlo – un tecnico che evidentemente non ha un buon feeling con i giovani, dato che lasciava spesso fuori anche Dani Ceballos. Così a gennaio Fabián Ruiz ha accettato la “retrocessione” in Segunda, in prestito all’Elche. In una squadra che ha lottato fino all’ultimo per non retrocedere (fallendo nell’intento), Fabián ha ritrovato ritmo e fiducia che aveva nella seconda squadra del club andaluso, fino a conquistare la Nazionale Under-21 spagnola.

L’ultimo gol segnato da Fabián: nel derby contro il Siviglia. Dopo 22 secondi

In estate ha fatto ritorno al Betis, dove ha trovato Quique Setién, un allenatore che fa del gioco offensivo la propria cifra stilistica. Con il tecnico ex Las Palmas, la formazione di Siviglia si è trasformata in una squadra di jugones, di palleggiatori, che ama gestire spazi e ritmi della partita a piacimento, ma sempre con il pallone tra i piedi. Non è mai un gioco fine a se stesso, quello bético, e solo raramente il possesso viene congelato per rallentare o difendere. È un calcio aggressivo, verticale e fluido, mirato a disordinare l’avversario più che a ordinare le proprie pedine. In questo gioco Fabián è l’uomo ideale, ma non lo è stato da subito. A inizio stagione Setién faceva fatica a trovare uno spot nell’undici titolare per lui, nonostante un precampionato brillante con tanto di gol al Milan in amichevole. La fiducia del tecnico è cresciuta settimana dopo settimana, con un piccolo contributo della casualità che ha decimato con gli infortuni il centrocampo verdiblanco. Fabián ci ha messo del suo ritagliandosi lo spazio che preferisce in quella squadra di palleggiatori: l’ex allenatore del Las Palmas inizialmente immaginava per lui un ruolo da pivote davanti alla difesa, per sfruttare i suoi (quasi) 190 centimetri come schermo per la difesa e la visione di gioco per dare il via all’azione. In poche settimane Quique Setién ha voluto correggere il tiro intuendo il potenziale di Fabián nel fare da raccordo tra centrocampo e attacco, in un ruolo non troppo definito di centrocampista box-to-box: un giocatore universale, un po’ mezzala un po’ trequartista con libertà di cercare la posizione migliore in ogni azione, in un Real Betis privo di una suddivisione di compiti così rigida.

Il gol al Milan in amichevole

Nel calcio del 2018 dinamismo, fisico e tecnica di Fabián sembrano tracciare il profilo del centrocampista ideale. Ma non è stato sempre così. La prima volta che ha vestito il biancoverde aveva sette anni. Era piccolo piccolo e faceva l’attaccante. Lo chiamavano “la pulga”, o direttamente “Messi”, per come trattava la palla con cura ed eleganza, con un sinistro che sembra disegnato apposta per accarezzare il pallone. L’accostamento con l’alieno in maglia blaugrana, però, è durato poco. A 14 lo sviluppo ha preso una deviazione, Fabián è cresciuto di trenta centimetri in sei mesi, fino a sfiorare il metro  e novanta. Le enormi qualità che tutti gli avevano sempre riconosciuto non sono sparite con l’altezza, ma hanno dovuto rimodellarsi per abituarsi a un corpo sensibilmente diverso: a 19 era già nel giro della prima squadra, solo come centrocampista. Nel frattempo, infatti, Fabián si è trasformato in un giocatore completo, che aiuta la squadra a 360 gradi: può giocare la palla con estrema precisione con traiettorie lunghe o appoggi brevi, dribblare, lanciare, tirare, e difendere sul portatore di palla. Negli ultimi mesi è diventato la chiave di volta del sistema disegnato da Quique Setién: Fabián è quello con più passaggi effettuati tra i centrocampisti in rosa, e li realizza con un 87% di precisione (percentuale che rimane invariata sia nei lanci lunghi sia nel gioco corto).

La prestazione da Mvp al Bernabéu

Per quella capacità di affrontare i momenti delicati: rientra nella categoria anche l’esordio da titolare in stagione, al Bernabéu contro il Real Madrid. Dopo essere stato uno dei migliori in campo sul palcoscenico più importante del mondo non ha più perso il posto, saltando solo la partita con il Las Palmas per infortunio. Lo scorso 6 gennaio si è anche preso la responsabilità di rovinare l’esordio di Montella in Liga segnando il primo gol nel derby di Siviglia al Sánchez Pizjuán sbloccando l’incontro dopo appena 22 secondi (gara poi vinta dal Betis). Sulla partita, il quotidiano locale Diario de Sevilla ha pubblicato un articolo in cui elogia i due «maestri» che hanno lasciato il segno nei novanta minuti: uno è Banega, cervello ordinatore ancorché isolato nel primo Siviglia targato Montella, l’altro è proprio il giovane Fabián Ruiz, la cui partita è spiegata in poche battute. «Si moltiplica in diversi compiti. Dà una mano al giovane Francis in fase di costruzione sulla fascia destra, accompagna Javi García nelle faccende di metà campo, si disimpegna negli schemi offensivi. […] Ha dimostrato ancora una volta che vuole migliorare sempre più, che ha fatto un passo in avanti in tutto (fisico, carattere…), con l’animo del leader del futuro».

 

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