Batshuayi in equilibrio

Un carattere difficile, ma anche uno straordinario senso del gol: l'attaccante belga, a Dortmund, sta finalmente dando il meglio di sé.

Batman, il ritorno. A Dortmund la voglia di giocare con l’iconografia dei supereroi non è ancora venuta meno. Adesso è il turno di “Batsman” Batshuayi, un caped crusader diverso per stile e attitudine rispetto ad Aubameyang. Se quest’ultimo era un Batman pop, modello Tim Burton, il belga è accompagnato da leggere sfumature dark, più assimilabili alla rielaborazione dell’uomo pipistrello proposta da Christopher Nolan. L’oscurità di Batshuayi risiede tutta in quel suo continuo galleggiare tra talento e anarchia, diretto verso le vette più alte del mondo pallonaro, ma sempre sul ciglio del precipizio delle promesse non mantenute. “Le cattive abitudini, quasi sempre appagate”, cantavano anni fa i Massimo Volume. Per diversi anni è stato così. In Belgio ci hanno giocato fin da subito, partendo dalle iniziali, MB, casualmente uguali a quelle di Balotelli, l’epigono moderno di tutti i campioni con un grande futuro alle spalle. Ma, tra le pieghe di una carriera tutta curve, Batshuayi ha sempre avuto un amico che non lo ha mai abbandonato, ovvero il gol. I numeri sono sempre stati dalla sua parte: nei primi, difficili anni con lo Standard Liegi; nella seconda stagione a Marsiglia, quella iniziata con le dimissioni-shock di Marcelo Bielsa; nel part-time riservatogli da Antonio Conte nell’anno e mezzo di Chelsea. Batshuayi non è ancora pronto per essere derubricato dalla lista delle future stelle. La conferma è arrivata, in meno di un mese, da Dortmund.

L’ultimo giocatore ad aver realizzato più di un gol nel proprio debutto in Bundesliga è stato proprio un certo Aubameyang, a segno tre volte nell’agosto 2013 contro l’Augsburg. Batshuayi ha rielaborato quella performance a modo suo, realizzando una doppietta e fornendo un assist a Schürrle nella sua prima in maglia giallonera contro il Colonia. Quasi fosse una dichiarazione di intenti: è come prima, ma è anche diverso. Del resto Auba e Batsman sono due attaccanti poco assimilabili. Il gabonese, in origine un’ala destra progressivamente convertita in punta centrale, basa gran parte del suo gioco sulla rapidità di movimento e di finalizzazione. Il belga per contro è più totale, nell’accezione moderna dell’interpretazione del ruolo di attaccante. Possiede la fisicità giusta per tenere palla e far salire la squadra, ma è anche bravo a garantire profondità e più portato al gioco collettivo, senza perdere lucidità sotto porta. Lo certificano i numeri: nelle sue sette annate da pro, sono in un’occasione Batshuayi ha avuto una media realizzativa superiore a un gol ogni due partite, ovvero nel 2012/13 con lo Standard Liegi (1/192 minuti). Per il resto, è addirittura migliorato una volta lasciata Pro League belga, passando dalla media di 1/163 dell’ultima stagione a Liegi a quella di 1/110 della sua prima annata in Ligue 1, agli ordini di Marcelo Bielsa nell’Olympique Marsiglia. Nel 2015/16 è salito a 1/180, in quella che però è stata la sua stagione finora più prolifica grazie ai 23 gol complessivi realizzati. Infine il trasferimento a Londra dove, a dispetto dell’utilizzo con il contagocce riservatogli da Antonio Conte, nel 2016/17 la sua media si è attestata sull’1/78. Nell’attuale stagione, caratterizzata dal cambio di casacca invernale, sta viaggiando su un più che buono 1/100.

Il sito ufficiale della Bundesliga ha confrontato un po’ di numeri tra l’ultimo Aubameyang e il primo Batshuayi di stanza a Dortmund. Rispetto all’attuale attaccante dell’Arsenal, l’ex Chelsea perde sotto il profilo della velocità pura (picco massimo di 32,80 chilometri orari contro 39,43), ma vince per accuratezza nei passaggi (76% contro 65%), duelli vinti (40,4% contro 40,1%), distanza percorsa (media per partita di 10,78 chilometri contro 9,49) e rapporto occasioni da gol avute/reti realizzate (66,6% contro 43,5%). La Bild ha per contro evidenziato come il belga abbia impiegato 270 minuti di gioco per segnare i suoi primi cinque gol con il Borussia, mentre Auba ne aveva avuti bisogno 349. Tutte le statistiche vanno ovviamente interpretate; nessuno intende sostenere che Batshuayi sia migliore di Aubameyang, ma semplicemente argomentare come, optando per un attaccante con caratteristiche diverse rispetto al predecessore, il Borussia Dortmund possa addirittura incrementare la propria pericolosità ed efficacia offensiva. Qualcuno ha parlato di ritorno all’era Lewandowski. Solo il tempo, e soprattutto un’annata meno frammentaria e schizoide di quella attuale, potrà dirlo.

L’ultima gara di campionato, contro l’Eintracht, decisa da una doppietta di Batshuayi

Una mezza stagione che ne è valsa almeno due: questo ha riservato al Borussia Dortmund il primo scorcio del campionato 2017/18. Un inizio scoppiettante, reti a raffica e primo posto in Bundesliga, per dissipare all’istante ogni dubbio sull’adattabilità dell’olandese Peter Bosz al calcio tedesco. Poi è arrivato il crollo, improvviso e senza freni, con un digiuno di vittorie durato 73 giorni e interrotto dal nuovo tecnico Peter Stöger. Nel mezzo, la mega-rimonta subita nel derby contro lo Schalke (da 4-0 a 4-4), l’uscita dalla Champions, l’esonero di Bosz. Un tecnico dalle idee forti ma alieno a qualsiasi compromesso. Stöger è il suo opposto: pragmatico, forse anche troppo. Ma, con la nave che colava a picco (ottavo posto in campionato), la dirigenza ha avuto paura. Gli scompensi di questo andamento da montagne russe sono tutt’ora visibili. Il doppio confronto con l’Atalanta in Europa League, vinto sul filo del rasoio, ne è stato uno degli esempi più chiari. Dietro un colabrodo, davanti un mix variegato e imprevedibile, anche se talvolta un po’ caotico. Nonostante sia stato annullato da Caldara a Reggio Emilia, Batshuayi è stato l’uomo qualificazione. Due reti all’andata a Dortmund, nel suo stile. Azione un po’ anarchica nel primo caso, con fucilata sotto la traversa a pareggiare la rete di Ilicic, e guizzo di potenza, precisione e posizionamento per la rete del 3-2 allo scadere. Il biglietto per gli ottavi di finale il Borussia lo ha strappato lì.

Why always me? è una scritta comparsa anni fa su una maglia indossata da Balotelli, e in pochi l’hanno dimenticata. Quel misto tra sfida e strafottenza contenuto nella frase ha caratterizzato tutta la prima parte della carriera di Batshuayi, figlio di immigrati di stanza a Evere, municipalità a nordest di Bruxelles. Papà Pino faceva il calciatore in Congo, ma il salto professionale tentato nel calcio belga era finito male a causa di un brutto infortunio, che lo aveva costretto a interrompere la carriera. Nell’attesa di un permesso di soggiorno permanente durata sette anni, si era lanciato nel ramo delle auto usate, proiettando sui figli le sue aspirazioni. Sia Michy Batshuayi che Aaron Leya Iseka le hanno assorbite in toto. Piccola precisazione: i due non sono fratellastri ma veri fratelli, e il diverso cognome deriva da una tradizione congolese secondo la quale, al momento della nascita, i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome del padre, della madre o di un nonno. Se oggi Leya Iseka è un promettente prodotto del vivaio dell’Anderlecht in prestito allo Zulte Waregem, Batshuayi dai bianco-malva è stato allontanato a 15 anni. Motivi disciplinari, con la misura diventata colma dopo una maxi rissa scoppiata al termine di una partita con il Lierse. «Non nutro rancore per quella decisione», ha dichiarato Batshuayi all’Het Laatste Nieuws, «fecero bene a cacciarmi perché ero ingestibile». Dopo due settimane nelle quali faceva persino fatica ad alzarsi dal divano, è arrivata la chiamata del Fc Bruxelles, il club di quello che sarebbe diventato uno dei più famigerati quartieri d’Europa, Molenbeek.

Doveroso aprire una piccola parentesi: una delle novità scaturite dal patto di Brecht, il paese a nord di Anversa dal quale partì agli sgoccioli degli anni ’90 la grande riforma del calcio belga, era riservata allo scouting, con veri e propri corsi di formazione organizzati sia per gli osservatori federali che per quelli dei club. Lo scopo era creare una rete che limitasse al minimo la dispersione di talento. Così il rischio che il Batshuayi di turno, cacciato a pedate dall’Anderlecht, finisse fuori dal giro perché le società pro non se lo filavano e quelle amatoriali non riuscivano a intercettarlo, veniva ridotta a zero, o quasi. Al resto ci ha pensato il campo, e in poco tempo dalla Bruxelles minore l’attaccante ha preso l’ascensore verso una delle più strutturate realtà calcistiche del Belgio: lo Standard Liegi. Ai Rouches Batshuayi deve tutto, in primo luogo la pazienza. Per punizione lo mandano a rastrellare le foglie in giardino, oppure a pulire i mezzi del club. In prima squadra lo porta Dominique d’Onofrio nel 2011, e non avrebbe potuto fare altrimenti: 24 reti con lo Standard Under 17, 8 con l’Under 19, 1 con la Primavera. L’anno seguente è già in doppia cifra, quello successivo ancora. Nel mezzo, ragazze in camera d’albergo nel ritiro dell’Under 21 e visita non prevista a una centrale di polizia per possesso di pistola, che poi si rivela essere un giocattolo. Un tipo così, cominciano a chiedersi in patria i media, che fine potrà mai fare una volta lasciata la comfort zone belga? Tanto più che la prima tappa è Marsiglia, ambiente caotico, club ancora di più.

Eppure la definitiva “professionalizzazione” di Batshuayi è avvenuta proprio in due tra gli ambienti più ricchi di tentazioni e distrazioni, Marsiglia e Londra. In Francia con Marcelo Bielsa non si sgarra (di lui il belga dirà: «La persona più enigmatica mai incontrata, nessuno capiva mai cosa stesse pensando, ma quando apriva bocca non volava una mosca… Tutti hanno imparato tanto da lui, a me ha consigliato di rivedere sempre le mie partite – se vuoi diventare un vero campione, disse – e così faccio tuttora»), ma è nella stagione successiva, quella iniziata con le dimissioni del Loco alla prima di campionato, che Batshuayi cancella ogni dubbio. La squadra non gira, i tifosi fischiano, la guida tecnica cambia tre volte, i big dell’attacco (Gignac, Payet, Thauvin) se ne sono andati tutti. In mezzo al caos, Batsman piazza la sua miglior stagione realizzativa, come già ricordato sopra. Poi va in Premier e si dota di uno staff personale: dietologo, fisioterapista, esperto di comunicazione sui social. Per non lasciare nulla al caso: un tweet inopportuno, un infortunio in un momento clou. Una maturità impensabile solo qualche anno prima, che trova conferma proprio nella gestione del rapporto con un tecnico agli antipodi del suo approccio al calcio quale Antonio Conte. Nel 2016/17 sono sette le partite in cui scende in campo dal primo minuto, delle quali solo una in Premier League. La rete al West Bromwich Albion che ufficializza il sesto titolo dei Blues è solo un dettaglio, perché a dispetto della media reti già citata, il suo apporto al successo Blues è minimo. Però la stagione scorre senza polemiche né gesti da ribelle, e anche un brutto problema famigliare (gestito impeccabilmente, in termini di privacy, dal suo staff) non lascia strascichi.

I 33 gol segnati con la maglia del Marsiglia

Per Batshuayi però Londra rischiava di essere un serio ostacolo sulla strada di Russia 2018, dove il recente appannamento di Lukaku (dovuto soprattutto all’etichetta affibbiatagli in Belgio di attaccante che non segna nelle patite che contano) ha riaperto i giochi per una maglia da titolare al centro dell’attacco della nazionale guidata da Roberto Martinez. Nonostante segni in tutte le competizioni (Premier, Champions, Fa Cup e Coppa di Lega), il minutaggio in casa Blues rimane un nodo ostico da sciogliere. Ecco quindi la Germania, i gol, una nuova avventura. Batsman forever.