Povera Russia

Come arriva al Mondiale uno dei peggiori Paesi ospitanti di sempre, e come è finito così in basso?

Organizzare competizioni sportive di alto livello è come organizzare una festa o un ballo di alta società: tanta spesa, ma tanto guadagno, e non esiste un modo più efficace di dimostrare la propria ricchezza e ospitalità. Per la Russia il Mondiale è una possibilità di proiettare all’estero la propria potenza, di ricrearsi un’immagine positiva – una necessità che non esisteva nel 2010, quando fu scelta come ospitante dei mondiali di calcio. Infine, un Mondiale è anche un’ottima occasione per far prosperare la corruzione.

Così il governo russo ha ripescato dal cassetto il vecchio progetto sovietico dei Giochi olimpici invernali a Soci. L’idea di Olimpiadi d’inverno nel mite clima del Sud sarebbe potuta sembrare un’utopia, ma alla fine tutto funzionò bene. Anzi, fu come una sorta di festa spensierata prima della tempesta, considerato che qualche settimana dopo sarebbe scoppiato il conflitto in Crimea ed est Ucraina, e nel corso di meno di quattro anni la Russia si sarebbe trovata isolata politicamente in un mondo tormentato e frammentato. E forse ciò che potrebbe ricostruire le relazioni internazionali, oggi, è un grande torneo come i Mondiali di calcio (così come i Giochi olimpici a Pyeongchang hanno portato al dialogo tra Corea del Nord e Corea del Sud). C’è qualcosa che manca, in tutto questo: i risultati sportivi della Nazionale padrona di casa.

Nel 2010, nonostante la delusione per la mancata qualificazione della Nazionale per i Mondiali nel Sudafrica, ancora in Russia si coccolavno le memorie del bronzo agli Europei di 2008. Oggi il successo più grande della storia postsovietica della squadra sembra quasi un illusorio sogno di mezza estate. Gli ultimi dieci anni sono stati un declino costante: prestazioni poco convincenti agli Europei 2012 e 2016 e Mondiali 2014 con eliminazione ai gironi, gioco senza fantasia nelle fasi di qualificazione e partite amichevoli precedenti al Mondiale di casa. La generazione del 2008 invecchiava mentre i giovani si perdevano nel torrente delle critiche.

 

Arshavin e, sullo sfondo, Hiddink durante un allenamento dell’Europeo 2008 (Yuri Kadobnov/Afp/Getty Images)

Di motivi ce ne sono diversi. C’è il fatto che con il crollo dell’Unione Sovietica è crollato anche il sistema sovietico della preparazione sportiva, e molti aspetti non si sono mai ripresi. Le immense somme finanziarie che girano nel mondo dei grandi club non lasciano mai il loro corso, neanche per la causa della squadra nazionale. Le dichiarazioni di investire nello sviluppo del calcio giovanile per far crescere i talenti pronti per brillare ai Mondiali furono immediatamente dimenticate. Gli “investimenti” sono arrivati sempre solo nella forma di stipendi enormi per lusingare i giocatori che anche per questo motivo raramente lasciano il campionato nazionale. Dalla rosa attuale pochi hanno un’esperienza all’estero. Tra questi, il secondo portiere Vladimir Gabulov da gennaio gioca a Bruges, mentre Fëdor Smolov, l’attuale capocannoniere della Nazionale e uno dei migliori attaccanti del campionato russo, ha avuto una breve parentesi al Feyenoord. D’altronde, il figlio d’arte Denis Cheryshev, cresciuto (anche calcisticamente) in Spagna dove giocava suo padre, ha sempre giocato per i club iberici, vincendo l’Europa League con il Siviglia nel 2014. Un altro caso particolare è Mario Fernandes, difensore brasiliano naturalizzato (altri due giocatori che hanno ricevuto il passaporto russo negli ultimi anni, Roman Neustädter e Konstantin Rausch, entrambi di origine russo-tedesca, sono stati tagliati all’ultimo momento). E poi c’è Yuri Zhirkov, che ha  indossato la maglia del Chelsea e faceva parte della costellazione che, dopo aver brillato agli Europei del 2008, era passata dalla Premier League russa alla Premier League d’Inghilterra.

Gli altri protagonisti del miracoloso bronzo ancora presenti nella Sbornaja sono invece le due bandiere del Cska. Il capitano del club e della Nazionale, Igor Akinfeev, è una figura piuttosto paradossale: raccoglie sia critiche che lodi quasi allo stesso tempo, ma nonostante qualche errore, rimane l’immancabile scelta per la porta da oltre dodici anni (l’esordio fu addirittura nel 2004). L’altro, Serghej Ignasevic, si è ritirato dalla Nazionale ma è stato richiamato per l’amichevole con l’Austria e all’età di 38 anni e 320 giorni è diventato il giocatore più vecchio ad aver indossato da maglia della Russia (il precedente è stato nient’altro che Lev Yashin – 37 anni 267 giorni), nonché il giocatore con più presenze.

Proprio Ignasevic probabilmente ricorda che una delle chiavi del successo nel 2008, come di molti inaspettati trionfi sportivi, fu l’atmosfera amichevole e rilassata che riuscì a creare Guus Hiddink. Nella Nazionale russa un’atmosfera del genere non esiste da un tempo. Da quando è stato affidato l’incarico del ct Stanislav Cercessov non si era mai vista una striscia negativa così lunga: la squadra non vince da sei partite consecutive. Niente di speciale, anzi: c’erano già stati due precedenti che avevano portato ad altrettanti esoneri: Bysovec nel 1998 e Slutskij nel 2016. Cercessov ha scelto di continuare, ha rifiutato alla stampa l’accesso agli allenamenti e, per la settima volta consecutiva, la Russia è tornata a casa senza vittoria.  Oggi, alla vigilia dei Mondiali di casa, la Sbornaja si trova al settantesimo posto nel ranking Fifa, il posto più basso tra tutti i partecipanti e il suo minimo storico. Ora, un ottimista direbbe che dal punto più basso si può andare solamente tornare in alto. I pessimisti già si preparano ad abbattere il record negativo nazionale (8 partite senza vittorie), appartenente ai tempi dell’Impero Russo. Un realista potrebbe invece essere d’accordo con il capitano Igor Akinfeev. Quando altri cercavano giustificazioni dopo il pareggio con l’Austria (zero tiri in porta per i russi), Akinfeev ha detto, molto semplicemente: «Bisogna scendere in campo e giocare. E la parola chiave è giocare. Se la squadra non inizia a giocare, non cambierà neanche il risultato». La verità è che il gioco non si è mai fatto vedere, e con tutta la probabilità la Russia non si sarebbe qualificata per il torneo se non fosse stato per i giochi dei poteri che hanno deciso il suo destino nell’ormai distante dicembre 2010.

Nelle quattro amichevoli giocate nel 2018, la Russia ha perso tre volte (contro Brasile, Francia e Austria) e ha pareggiato 1-1 con la Turchia

In più, è un circolo vizioso: da un lato la squadra deve giocare al livello di un campionato mondiale in cui partecipa un po’ a caso, dall’altro la pressione mediatica impedisce ai giocatori a dimostrare le proprie capacità. La mole delle aspettative del pubblico è un peso che può far crollare psicologicamente anche una squadra composta di grandi talenti, come la nazionale russa di hockey. È stato strano il torneo olimpico di quest’anno, senza i giocatori della Nhl. Ma quella Russia, priva di molti suoi più grandi talenti, sembrava liberata da un’eccessiva attenzione, lasciata ai fatti suoi. E la miscela perfetta d’esperienza e di giovinezza ha portato i russi a un trionfo che non arrivava da anni.

Una cosa del genere, cioè una prestazione inaspettata e al massimo delle proprie capacità, potrebbe in teoria accadere anche a questa Nazionale di calcio di Russia. In fondo, anche questa squadra è composta da una manciata di senatori e una maggioranza di giovani, in cui i più promettenti sono Aleksandr Golovin, il ventiduenne mezzala del Cska, e Aleksej Miranciuk, coetaneo di Golovin e centrocampista del Lokomotiv. Occhio anche al numero dieci, Smolov, ragazzo bravo e intellettuale, chiamato così in onore di Dostoevskij, che ama leggere, spesso classici, tra cui Dante (cita La Divina Commedia come uno dei suoi libri preferiti) e ha passato una singolare metamorfosi: da oggetto di beffe quando non segnava a beniamino dei tifosi e speranza numero uno per il Paese. Ma l’ingrediente fondamentale che manca a questi strani padroni di casa è soprattutto la componente mentale: fiducia e calma, come nell’ormai leggendario 2008, ormai troppo lontano per essere reale.

 

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