Quanto ci stupirà il campionato post-Mondiale invernale?

Cosa cambia per le grandi squadre? Lo abbiamo chiesto proprio a un po' di preparatori.

Dopo la partita con l’Inter, la prima dopo la sosta lunga per i Mondiali, Luciano Spalletti ha sottolineato la necessità di «ritrovare la forma migliore», di «pensare ad allenarci meglio da qui in avanti» per recuperare il livello di prestazioni che il Napoli aveva fatto vedere nella prima parte di stagione. Era il modo più semplice e immediato per commentare una sconfitta in uno scontro diretto, una specie di giustificazione per fermare gli allarmismi – di cui evidentemente non c’era bisogno, visti i risultati del turno successivo. Ma in fondo Spalletti stava riproponendo il grande punto di domanda di questa seconda fase di campionato, per il Napoli e per tutti gli altri. Anzi, è il grande punto di domanda fin dall’estate scorsa, da quando è stata presentata questa stagione anomala, interrotta a metà novembre dai Mondiali in Qatar: si parla da mesi di chi sarà più bravo a riprendere il fiato, recuperare la condizione ottimale, ritrovare un buon livello di prestazioni in quello che sembra un nuovo campionato. Ma è giusto parlare in questi termini? Questo nuovo campionato sarà davvero nuovo? Ci stupirà così tanto?

La sosta è stata una novità per tutti: società, staff, giocatori. Una novità che però non è per forza un punto critico: la gestione della pausa di circa 50 giorni tra due gare di campionato non è un problema, se la si guarda solo dal punto di vista fisico, performativo, metabolico. «Le gambe non sono pesanti e i dati che possiamo consultare dopo le prime due partite lo confermano», dice a Undici Cristian Bella, preparatore atletico dell’Udinese. «Avendo avuto un solo giocatore ai Mondiali (Ebosse, nel Camerun, ndr) abbiamo avuto modo di lavorare bene tutti i giorni della settimana, preparando con calma le partite amichevoli e monitorando la condizione atletica di tutti». Poi aggiunge un altro aspetto interessante di questa storia, cioè che in linea generale gli staff tecnici non dovrebbero avere grossi problemi a gestire quest’anomalia di metà stagione, la ripresa e il ritorno ai normali carichi di lavoro: «I giocatori sono abituati a essere in forma in questo periodo dell’anno», dice il preparatore dei bianconeri. «Da metà novembre a metà dicembre la maggior parte dei giocatori avrebbe giocato quattro o cinque partite, non saranno quelle a far perdere la condizione».

Insomma, c’è da sfatare il mito dei Mondiali che rimescolano le carte rendendo tutto imprevedibile: certo, il Napoli potrebbe perdere la vetta della classifica, l’Arsenal potrebbe rallentare la corsa in Premier League, il Siviglia potrebbe risollevarsi dopo un inizio difficile, ma di certo la Juventus non si salverà all’ultima giornata e il Real Madrid non finirà in Liga Adelante, così come l’Angers non vincerà la Ligue 1 e lo Stoccarda non toglierà al Bayern il trono della Bundesliga. A meno, ovviamente, di eventi che avrebbero del clamoroso. Del paranormale. Non lo diciamo noi, ma gli addetti ai lavori: «Non dobbiamo aspettarci novità così imprevedibili», spiega a Undici Alberto Bartali, preparatore atletico della Ternana, passato anche da Sampdoria, Zenit San Pietroburgo e Galatasaray. «Questi mesi sono sempre stati un momento di picco, chi ha fatto i Mondiali ha interrotto una competizione per iniziarne un’altra, cambia poco». Qualcuno può essere più affaticato o può essere rientrato acciaccato, ma è nelle regole del gioco. «Ogni club ha diverse figure specializzate nello staff tecnico per capire e prevenire cali di condizione, con la valutazione degli esami ematici, il test della saliva per gli ormoni, i piani nutrizionali individuali: da questo punto di vista in Serie A si sbaglia poco, almeno con tutto quel che non rientra nella casualità».

Alcuni giocatori sono rientrati dal Qatar acciaccati o particolarmente affaticati, fuori condizione. «Sapete come Amrabat ha terminato il Mondiale? Con infiltrazioni per scendere in campo. Si porta dietro dei problemi, ha fatto quattro allenamenti e lui stesso mi ha detto di non avere i 90 minuti nelle gambe», aveva spiegato Vincenzo Italiano dopo il ritorno in campo della Fiorentina. Lo stesso discorso vale anche per Di María, che la Juventus non ha potuto schierare contro la Cremonese e che è uscito per un problema muscolare contro l’Udinese. È evidente, fa notare Bartali, che Di Maria e Amrabat rientrano in quella categoria di giocatori che in una competizione importante come i Mondiali vengono spremuti oltre i loro stessi limiti, sempre in un accordo tra giocatore e staff tecnico: «Alcuni magari si portano dietro una patologia che non guarisce completamente e si cerca un compromesso per mandarli in campo per le partite fondamentali: si fa una fisioterapia massiccia, mentre l’allenamento è praticamente nullo, perché in questi casi si va oltre le normali logiche di gestione della condizione e della patologia». A questo punto a qualcuno sarà venuto in mente Franco Baresi rimesso in campo da Arrigo Sacchi nella finale di Pasadena del 1994: è molto probabile che avesse zero allenamenti reali nelle gambe e tante sedute di fisioterapia per l’infortunio al menisco patito nel corso della fase a gironi.

Nella partita che il Napoli ha perso a Milano contro l’Inter, Lautaro Martínez è entrato al 64esimo, era chiaramente il giocatore con meno riposo alle spalle e meno allenamenti in gruppo. Eppure in queste prime due partite è sembrato uno dei più carichi tra i rientranti dal Qatar. Niente di assurdo o illogico: chi ha fatto i Mondiali può essere anche avvantaggiato nel breve periodo rispetto a chi ha fatto vacanza, perché ha dovuto preparare – mentalmente e fisicamente – sette partite in un mese, è abituato alla tensione, a gestire momenti di pressione massima a essere lucido nei momenti chiave di una partita, a ricaricare la concentrazione tra una partita e l’altra. Il 18 dicembre Lautaro, Dybala, Paredes – solo per dirne alcuni della Serie A – hanno giocato la finale contro la Francia, erano a metà campo quando Montiel ha segnato il rigore decisivo, erano sul palco accanto a Leo Messi per la premiazione. Saranno pure stanchi, ma hanno appena raggiunto il punto più alto della loro carriera e se si sentono invincibili su un campo da calcio è del tutto legittimo.

«Chi non ha giocato ai Mondiali potrebbe essere avvantaggiato dal punto di vista fisico-energetico, ma una prestazione è determinata da numerosi fattori e l’aspetto fisico è solo uno di questi», dice Marco Montini, che si occupa della preparazione atletica delle Nazionali giovanili della Figc. «Una vittoria o un buon risultato (come quelli di Marocco e Croazia, ndr) possono comportare un aumento dell’esperienza, dell’autostima, della fiducia dei propri mezzi e può perfino migliorare il recupero. In fondo, a pensarci bene, anche in una finale dei 10mila metri alle Olimpiadi, chi arriva secondo o terzo si butta a terra stremato, chi vince continua a correre braccia alzate dopo aver fatto il massimo dello sforzo».

La Juventus è stata l’unica squadra di Serie A in grado di vincere entrambe le partite disputate dopo la pausa per i Mondiali: grazie al doppio 1-0 contro Cremonese e Udinese, i bianconeri sono arrivati a otto successi consecutivi in campionato (Marco M. Mantovani/Getty Images)

Ovviamente vale anche il contrario. A fine dicembre un articolo pubblicato da Abc fe irmato da Pablo Lodeiro Fernández parlava del Real Madrid come di una squadra con delle ferite da curare e cicatrizzare, perché per i Blancos i Mondiali sono stati decisamente negativi, fatta eccezione per l’eterno Luka Modric. Se n’è parlato un po’ in Spagna e Ancelotti ha dovuto frenare la solita frenesia mediatica di Madrid dicendo che la squadra è «arrivata con grande entusiasmo al rientro». Però le prime uscite hanno mostrato un Real Madrid più affannato del solito, segno che forse le ferite non sono ancora rimarginate del tutto.

Sul lungo periodo la prospettiva si ribalta. Quasi tutte le grandi squadre d’Europa hanno mandato molti giocatori in Qatar e dal punto di vista atletico le conseguenze potrebbero vedersi tra qualche settimana, forse negli ultimi due mesi della stagione, quando i minuti disputati ai Mondiali andranno a sommarsi ai sovraccarichi dovuti a calendari parecchio congestionati. «Le squadre che hanno avuto pochi convocati», aggiunge Marco Montini, «hanno tre tipi di vantaggi: primo, hanno avuto tempo e modo di prepararsi collettivamente nella pausa invernale più lunga della storia; secondo, a livello individuale possibilità di colmare le lacune fisiche con carichi di lavoro extra che non sono somministrabili giocando ogni tre-sette giorni e recuperare da eventuali sovraccarichi muscolo-tendinei e piccoli infortuni; terzo, nel lungo corso avere quattro-sei partite in meno disputate nel corso della stagione potrà essere un vantaggio».

Se i maggiori campionati hanno ormai gerarchie praticamente predefinite, quasi invalicabili tra una categoria (impossibile scrivere un articolo senza citare Max Allegri) e l’altra, le fasi finali delle coppe europee potrebbero essere più condizionate dall’onda lunga dei Mondiali. Se non altro perché questi fattori riguardanti la forma fisica si inseriranno nel quadro più randomico dei tornei a eliminazione diretta, dove gli episodi e la capacità di gestione dei singoli momenti chiave di una partita fanno già – fanno sempre – tutta la differenza del mondo. Forse è una brutta notizia solamente per la Premier League, che in Qatar aveva 134 rappresentati – contro gli 83 della Liga, i 76 della Bundesliga e i 67 della Serie A – di cui 69, più della quota relativa all’intera Serie A, convocati dalle rose di Arsenal, Chelsea, Manchester City, Manchester United, Liverpool e Tottenham: le squadre impegnate nelle coppe europee. Poi magari in primavera le finali di Champions ed Europa League saranno dei derby tra squadre di Premier, e allora qualcuno potrà dire che l’Inghilterra ha fatto bene a farsi eliminare ai quarti.