Il giorno più felice nella storia del Cesena

Racconto della stagione perfetta dei bianconeri, che dopo le delusioni ai playoff degli scorsi anni tornano finalmente in Serie B, da primissimi in classifica.

Della felicità di solito me ne rendo conto solo dopo, quando mi guardo indietro, e ci penso. All’87esimo di Cesena-Pescara, girone B di Lega Pro, giocato un grigio sabato di Pasqua, me ne sono accorto subito, me ne sono accorto durante, me ne sono accorto sempre e ancora adesso non riesco a smettere. Attorno a me c’erano più di 15 mila persone – oltre ai tanti fuori senza biglietto – che se ne sono accorte allo stesso modo e nello stesso momento. Non è una cosa che accade tutti i giorni essere felici insieme agli altri, e in una dimensione così allargata mi era accaduto solo altre due o tre volte, sempre per merito del calcio. Daniele Donnarumma, esterno di sinistra con dei piedi raffinati, ha scodellato in mezzo una punizione che si era guadagnato ed Edoardo Pierozzi da Firenze ha segnato di testa dopo una quasi parata del portiere e anche il bacino del palo. Al Cesena serviva una vittoria, l’ultima, per festeggiare la promozione in Serie B con quattro giornate ancora da giocare e sei anni dopo il fallimento del 2018. Sono stato felice, siamo stati felici, e le ultime delusioni tremende vissute in quello stesso stadio si sono riassorbite in un attimo.

Il Cesena nelle 34 partite giocate fino a qui ha vinto 27 volte con sole 2 sconfitte e 5 pareggi arrivando a totalizzare già 86 punti. Ha segnato 72 gol e ne ha subiti solo 17 tenendo la porta chiusa addirittura 21 volte. Nessuna squadra in tutta la Serie C ha fatto meglio e se si stringe la lente sul rendimento casalingo si nota una casella ancora intonsa: zero sconfitte interne. Eppure, l’estate non era stata né calda né assolata. La squadra allenata da Mimmo Toscano arrivava da una truce eliminazione nella semifinale ai rigori in casa contro il Lecco poi promosso. Era giugno, il Cesena si era mangiato l’impossibile sia all’andata che al ritorno e poi ai rigori Mustacchio se l’era fatto parare dall’ex Riccardo Melgrati e a Cesena era successa una cosa inedita. La piazza si era anestetizzata, troppo dolore al termine della stagione regolare dietro la Reggiana, troppo dolore in quei playoff che tutti francamente pensavano di vincere. Al raduno di luglio solitamente affollato si erano presentate solo due tifose, Toscano era rimasto nonostante il corteggiamento del Vicenza a suon di progetto e molti soldi e il bus verso il campo di Acquapartita aveva imboccato la collina romagnola pieno di incognite.

Dopo l’esordio a Olbia con sconfitta 2-1 i nuvoloni neri coprivano il cielo della Romagna con l’incubo di un altro anno di Serie C, una categoria dentro a cui il Cesena sta oggettivamente stretto per storia, blasone e tifoseria. Lì è successo qualcosa, forse di magico, di misterioso, nessuno può saperlo ma deve essere successo per forza. Il destino ha fatto inversione. Dalla partita successiva è iniziata una stagione fantascientifica, creata a tavolino con l’intelligenza artificiale: il Cesena ha smesso di prendere gol, ne ha segnati una valanga, ha superato tutti gli ostacoli del mondo compreso il grande campionato della Torres rivelazione, ha riempito lo stadio e tutti i settori ospiti d’Italia nonostante gli orari cervellotici della Lega Pro e ha vinto sempre collezionando 28 risultati utili consecutivi tra la caduta dell’esordio e la sconfitta 3-2 a Carrara alla trentesima di campionato. In mezzo goleade, vittorie a Perugia, a Pescara, nella nebbia di Ancona, due volte nel derby contro il Rimini, di cui una 5-2 in casa. Mimmo Toscano – che è diventato l’allenatore più vincente della storia in Serie C – ha progettato insieme al direttore sportivo Fabio Artico un meccanismo perfetto appoggiandosi su una risorsa che non va molto di moda in Italia, figuriamoci nella terza serie del calcio professionistico: i giovani.

La coreografia del settore distinti poco prima dell’inizio di Cesena-Pescara ha raccontato in una foto cos’è stata la stagione 2023/2024 del Cesena: un inno alla gioventù. Il lunghissimo striscione che riprende un coro gettonato dalla curva “Quella maglia che portate, è il mio sogno da bambino”, accompagnato da sei gigantografie disegnate alla perfezione con le maglie dei giovani che hanno trascinato il Cesena, tutta gente del settore giovanile. Simone Pieraccini è diventato il braccetto titolare della difesa a tre insieme a Prestia e Silvestri (sono cugini, mai visti due difensori così perfettamente in sintonia) dopo che Andrea Ciofi si è dovuto operare per un’ernia. Ciofi è una bandiera del Cesena, era in Romagna già nella stagione in serie D dopo il fallimento e tutto lo stadio lo ha adottato come figlio prediletto. Il compito di Pieraccini dunque era difficile sia tecnicamente che dal punto di vista umano e invece lui ci ha messo dieci minuti per ambientarsi, togliendosi anche lo sfizio dei gol decisivi in casa contro Juventus Next Gen e Lucchese. A centrocampo Matteo Francesconi e Tommaso Berti sono stati due volti di un’unica medaglia: stesso reparto ma polmoni di ferro e senso della posizione perfetta per il primo, i piedi migliori della rosa per il secondo che dopo un anno nella primavera della Fiorentina allenata da Aquilani è tornato a casa ancora più forte di prima. Giovannini e David sono quelli che hanno giocato meno e poi Cristian Shpendi, per tutti il gemello visto che lo scorso anno spesso faceva coppia appunto con il fratello Stiven, che quest’anno si è meritato la Serie A con l’Empoli.

Cristian è albanese, regolarmente convocato dall’Under 21, è cresciuto nel Cesena ed è forse il talento più luminoso capitato al Manuzzi da molti anni a questa parte. È nato nel 2003 e quest’anno ha segnato 20 gol senza rigori. L’impressione allo stadio e in televisione è stata quella di vedere una stagione in cui c’era un adulto che si metteva a giocare con dei bambini quando. Cristian oltre ad aver segnato sempre – il suo gol miglior forse è quello del 2-0 in casa contro il Gubbio – ha giocato bene praticamente ogni partita: ha legato il gioco, pregevole negli appoggi, ha scelto il momento in cui accelerare e in cui tirare il fiato, ha aiutato la squadra, non è mai stato egoista. È stata una stagione perfetta a livello tecnico e anche a livello mentale visto che non si è scomposto nemmeno dopo che al termine di Cesena-Olbia suo padre Liman ha invaso il campo cercando di colpire il portiere reo di avergli provocato un taglio in fronte dopo un’uscita bassa. Prime pagine, clamore nazionale, polemiche a non finire, Cristian sempre zitto e dalla domenica successiva ancora in gol. Una dimostrazione di equilibrio e di mentalità mostruosa dentro a una piazza che lo ha eletto a idolo sportivo e che da un secondo dopo il triplice fischio di Cesena-Pescara ha iniziato già a pregare “Fa che Cristian rimanga”. La speranza va oltre e alzi la mano chi a Cesena non spera che l’Empoli faccia tornare almeno in prestito il fratello Stiven per provare a fare la Serie B con i gemelli del gol.

Il 1 agosto del 2018 il Cesena ripartiva dalle sue ceneri dopo il fallimento con un’amichevole a San Mauro Pascoli contro una formazione che avrebbe poi incontrato in Serie D. Non c’erano nemmeno le divise, rimediate in fretta e furia la mattina, non c’era quasi la squadra rinata dallo scheletro del Romagna Centro di Martorano. Non c’era il Cesena ma c’erano già i cesenati, già una marea su degli spalti che non li potevano contenere. Ed è stato così tutto quell’anno da Avezzano fino a Isernia da Atri Pineto fino alla promozione di Giulianova. Al di la di ogni retorica, il Cesena non è mai stato lasciato solo con oltre 8000 abbonamenti in Serie D e con un calore a distanza che non è mancato nemmeno nelle grigie stagioni di C con Domenico Modesto e William Viali. Tutte finite male con una salvezza aiutata dal covid e due eliminazioni assurde ai playoff contro Matelica (2-3 in casa dopo pareggio di Di Gennaro all’ultimo secondo e beffa di Balestrero all’ultimissimo secondo) e Monopoli (sconfitta 0-3 dopo vittoria all’andata con il nuovo presidente americano John Aiello che si rompe un piede calciando il muretto per l’incazzatura).

Non è mancato nemmeno lo scorso anno quando l’altro presidente Robert Lewis ha preteso di mettere in rosa suo figlio Luca che teoricamente doveva fare il portiere ma che poi di parate ne ha fatte pochissime ma di partite ne ha giocate tante. Poi Robert se n’è andato, Luca è stato girato in prestito al Pontedera e si è capito che anche a Cesena si poteva ricominciare a fare calcio con serietà. Il resto è la cronaca di questa stagione incredibile con l’esodo dei mille tifosi a Lucca, il sostegno fuori dallo stadio nelle partite a porte chiuse e un amore infinito che per una volta ha trovato la sua ricompensa e anche di più. Scegliere di tifare per il Cesena significa scegliere di perdere molto di più di quanto si vince ma di farlo lo stesso ed esserne felici. La resurrezione vissuta il sabato di pasqua è stato un premio, quasi una ricompensa che ognuno ha vissuto come ha voluto.

Della felicità di solito me ne rendo conto solo dopo, quando mi guardo indietro, e ci penso. Il Cesena non festeggiava in casa una promozione da 43 anni. Ci si aspettava un blitz offensivo di Prestia o Silvestri, un ricamo di Adamo, la zampata di Shpendi o l’ennesima giocata di Augustus Kargbo e invece è spuntato Edoardo Pierozzi. Sotto la curva, dentro la curva con i giocatori a invadere le tribune e non il contrario. Pierozzi lo ha ammesso subito in sala stampa: «È stato il gol più importante della mia vita». A vederlo da fuori magari sembra esagerato, ma è stato il gol più importante della vita di tanti. È il calcio, e ancora una volta è riuscito a rendere felici 15 mila persone nello stesso momento.