Quello del Como è il progetto più intrigante di tutto il calcio italiano

La promozione in Serie A è la conseguenza di un lavoro che va in mille direzioni diverse: c'è il calcio, ovviamente, ma ci sono anche turismo, business e identificazione con un territorio unico al mondo.

Kurniawan Dwi Yulianto è stato il primo indonesiano a giocare in Italia. Arrivò nell’estate del 1993 sfruttando una collaborazione tra la Sampdoria e la Federazione del suo Paese, ma non riuscì a entrare in prima squadra e, dopo un anno di giovanili, si trasferì a Lucerna. Chissà con quale stupore avrebbe reagito se, all’epoca, qualcuno gli avrebbe predetto che vent’anni dopo sarebbe tornato in Italia per uno stage di aggiornamento come allenatore in quello che la Bbc ha definito «il progetto calcistico più interessante d’Europa». Vale a dire il Como della Sent Entertainment, società londinese che appartiene all’indonesiana Global Media Vision Ltd. dei fratelli Robert Budi e Michael Hartono, patrimonio stimato attorno ai 18 miliardi di euro che li rende i più ricchi proprietari di una squadra di calcio in Italia. 

Ma lo stupore dell’ex calciatore della Samp non sarebbe stato comunque niente a confronto di quello dei tifosi comaschi se, meno di una decina di anni fa, gli fosse stato detto che un giorno la loro squadra avrebbero avuto Cesc Fàbregas, Thierry Henry e Dennis Wise, presenti non solo come azionisti, ma anche in ruoli operativi o di consulenza. Per vent’anni abbondanti il Como Calcio, nel panorama nazionale, era pura cultura pop anni Ottanta: le maglie con lo sponsor Mita, la Mitropa Cup, Dan Corneliusson. Impossibile sottrarsi alla nostalgia quando si è costretti a digerire tre fallimenti in quindici anni. Dal venditore di sogni Enrico Preziosi, al quale si deve l’ultima – sgangheratissima– apparizione in Serie A, passando per il “Como ai comaschi” dell’imprenditore locale Pietro Porro fino alla pittoresca Akosua Puni Essien, moglie dell’ex Chelsea e Milan Michael, che impiegò solo quattro mesi a condurre la società alla bancarotta. In un simile contesto, parlare di ex grandi campioni in riva al Lario avrebbe portato direttamente al ricovero d’urgenza.

Ma Como e la sua squadra non sono improvvisamente diventati la nuova meta di qualche big a fine carriera, né il parco giochi di milionari con un mucchio di soldi da spendere. Como è un esperimento tra sport, business e paesaggio. Peculiare in quanto non replicabile altrove, perché di Lago di Como ce ne è uno solo al mondo, ma non esclusivo, dal momento che il modello di business proposto dagli Hartono può funzionare, con i dovuti aggiustamenti, anche in altre realtà dotate di altrettanto fascino e appeal turistico-commerciale. Un chiarimento sul concetto di business è necessario, e arriva direttamente da Mirwan Suwarso, il braccio operativo della proprietà per quanto riguarda il progetto Como Calcio: «Per noi business non è tanto un termine inteso come fare soldi, ma come far intrecciare tutte le diverse aree affinché una società di calcio possa essere sostenibile. L’idea è quella di trasformare una società di calcio da un’azienda in perdita strutturale a un business remunerativo. Non può esistere sostenibilità nel calcio senza legare le vicende della squadra a quelle della città e del territorio. La squadra non deve più essere un’entità a parte, ma integrata nel contesto sociale. Una ricaduta positiva deve esserci non solo a livello di risultati sportivi, ma anche di indotto e di crescita di quello che ci sta intorno».

Il Como era in Serie D quando, nel 2018, arrivarono gli Hartono. Fu l’ex presidente Massimo Nicastro, che aveva rilevato la società dopo il crac Essien, a «vendere un sogno agli indonesiano». Così ha detto l’imprenditore di stanza a Miami, che per diverso tempo si era rifiutato di cedere la società, entrando in contrasto con il suo socio all’epoca, in attesa di agganciare «una realtà imprenditoriale importante, con una visione allargata, legata al brand cittadino. Mi davano del visionario, dell’uomo che viveva sulle nuvole. Purtroppo in Italia c’è una visione più legata al risultato, al campo, alla tecnica e alla tradizione sportiva. Io invece pensavo a un certo Como, allo stadio moderno e multifunzionale, a una società strutturata, mentre il mio ex socio era focalizzato sui gol e sulla promozione. Non che uno avesse ragione o torto. Ma io vengo dagli Stati Uniti e lì questa idea è la normalità. Per esempio, io non ero d’accordo sul ripescaggio perché non avevamo la struttura adeguata, lui invece avrebbe accettato anche un ripescaggio in Serie A. Gli Hartono? Ho venduto loro Como come una specie di Via della Spiga del calcio. Il calcio incastonato in un panorama di bellezza, che poteva fare da volano per un sacco di altre cose». 

Come ha scritto Nicola Nenci sul quotidiano La Provincia di Como, gli indonesiani «hanno visto Comolake, non Como. Noi comaschi siamo forse quelli che al mondo hanno meno capito il valore del brand della nostra città, e non potrebbe essere altrimenti, per chi ha conosciuto anche un’altra Como, quella sconosciuta, deserta, al massimo meta di qualche milanese la domenica». Perché in realtà esistono due città, dipende solo dal punto di vista dell’osservatore. Da un lato una quotidianità con tante carenze strutturali, lo sfregio degli infiniti lavori della paratie sul lungolago, una dimensione comunque compressa in una terra di mezzo tra la grande città, Milano, e il ricco vicino di casa, la Svizzera. Una dimensione che spesso rallenta, ostacola, fa tendere all’immobilismo. Da fuori però Como è la calamita che attira le grandi produzioni hollywoodiane (ma i cinefili doc ricorderanno anche un giovane Alfred Hitchcock sceso nell’estate del 1925 a Villa d’Este, Cernobbio, per girare alcune scene de Il Labirinto delle Passioni), i vip e le star internazionali, da George Clooney a Bruce Springsteen. 

La proprietà indonesiana ha parlato con i fatti, fin da subito. I soldi sono stati investiti in maniera omogenea, non privilegiando solo il campo e l’ambito prettamente calcistico, ma anche quello strutturale e organizzativo. È stato acquistato per 3 milioni di euro un centro sportivo a Mozzate, paese a 25 chilometri da Como e non distante dalla Pinetina. È stato rifatto il manto erboso dello stadio Sinigaglia. Sono state assunte 50 persone nella sede del club, nell’ambito di un processo di ristrutturazione che ha portato la società («non volevamo una struttura piramidale», ha detto Suwarso, «ma strutture differenziate e parallele accomunate da un unico obiettivo») a essere divisa in quattro macro-aree: Como Retail, che si occupa dei negozi; Como Property, dedicata allo stadio; Como Academy, relativa al settore giovanile; Como Entertainment, che si occupa di tutte le manifestazioni collaterali, le feste e gli appuntamenti. Sono stati aperti diversi punti vendita in centro, con lo store ufficiale collocato nel cuore della città sulla piazza affacciata sul Duomo, con il risultato di un’impennata dei ricavi da merchandising – favorito anche da un restyling della maglia con un motivo ispirato al lago – passati da 90mila euro dell’epoca pre-Hartono a 1.35 milioni nel 2022 fino a 3.9 nel 2023. Borse con il marchio del club sono in vendita da Harrod’s, mentre un progetto in fase di lancio è quello che prevede l’ingresso nel mondo delle bevande con acqua minerale e birra con il marchio Como 1907.

Non vanno dimenticati i progetti sociali e di integrazione con la comunità. In città è stato aperto un Community Children, ossia un punto di ritrovo per bambini e ragazzi Under 15 dove si possono fare i compiti, imparare l’inglese e, in determinate occasioni, conoscere i giocatori della squadra. Tra le varie iniziative benefiche è spiccata quella delle foto artistiche dei calciatori, in vendita in modalità fotografia oppure dipinto, il cui ricavato è stato destinato a favore dell’Associazione “Quelli che con Luca” che si occupa di trovare una cura per le leucemie infantili. Allo studio ci sono anche un progetto per l’apertura di un polo didattico destinato a studenti stranieri che intendono imparare il calcio in Italia sotto tutti gli aspetti, da quelli tecnici al business; e poi anche un’app attraverso la quale gestire in ogni aspetto la propria esperienza allo stadio, dal comprare i biglietti a pagare i parcheggi fino all’ordinare cibo e bevande.

All’interno di tutta questa cornice c’è il calcio. Se il progetto commerciale, a detta della proprietà, è stato sviluppato per il 20%, quello sportivo lo è per il 40%. Il Como non disputava tre campionati consecutivi in Serie B dagli anni Settanta, e gli step delineati ai tempi della salita dalla Lega Pro (assestamento il primo anno, consolidamento il secondo, lotta per la promozione il terzo) sono stati rispettati. Anzi, l’accelerazione arrivata prima con l’esonero di Moreno Longo, poi con un mercato invernale di sostanza (dalla Seroe A sono arrivati Edoardo Goldaniga e Gabriel Strefezza), ha chiarito come il nuovo obiettivo fosse diventato quello di salire di categoria senza passare dai play-off. Ed è andata proprio così, anche se in stagione il Como ha cambiato quattro volte allenatore, evento che nel Dopoguerra si è verificato solo in due occasioni (nel 1951/52 in Serie A e nel 2011/12 in Lega Pro), mai però con quattro nomi nuovi. Un tourbillon a prima vista sinonimo di scarsa lucidità, quando invece è vero l’opposto, perché l’unica scelta tecnica ha riguardato il licenziamento di Longo che, dopo aver brillantemente stabilizzato la squadra a seguito della brutta partenza nella stagione 2022/23, non è stato più ritenuto all’altezza delle ambizioni della società – a dispetto di una media punti a partita di 1.75 non proprio da buttare. Il suo posto è stato preso da Fàbregas, promosso dalle giovanili, per cinque giornate, ossia trenta giorni, la durata prevista della deroga per un allenatore senza patentino. Poi, dopo un turno sotto la guida di Marco Cassetti, membro dello staff tecnico, è arrivato il gallese Osian Roberts.

Il percorso Fàbregas-Roberts illustra benissimo il progetto calcistico Como. Lo spagnolo non è arrivato sul Lario per far vendere più magliette o portare più tifosi allo stadio. Fabregas è stato un messaggio lanciato dalla proprietà al calcio: qui si fa sul serio. Come affermato da Gianluca Di Marzio quando è stato ufficializzato l’arrivo del catalano: «Fabregas è a Como per diventare un punto di riferimento per la società, in termini di aumento della propria professionalità, ma non solo. Per l’esterno è un segnale importante, un salto di qualità del brand Como, e quindi uno stimolo anche per chi vorrà eventualmente venire a giocare sulle rive del Lario. È un segnale che la proprietà indonesiana ha intenzione di essere protagonista nel calcio italiano». Ed è quello che è successo, nonostante in campo l’esperienza dell’ex nazionale spagnolo sia stata poca cosa, tra infortuni e condizioni di forma precarie che hanno rappresentato una zavorra in un campionato atletico e fisico come la Serie B. Ma gli scopi dell’operazione, ossia rendere attrattivo il progetto a livello internazionale e instillare una nuova mentalità nella squadra, sono stati raggiunti. Se l’esonero di Longo aveva suscitato dubbi, anche per le modalità (è arrivato dopo una vittoria in trasferta, ad Ascoli), la scelta si è rivelata indovinata perché il Como ha cambiato marcia. Fàbregas non ha stravolto il lavoro del suo predecessore, e al Sinigaglia non si è certo visto il tiqui-taca, anzi. Ci sono stati anche errori, seguiti però dalla capacità dello spagnolo di saperli correggere. Soprattutto, la sua figura, al di là dei vari ruoli ricoperti in stagione, ha permesso al gruppo di salire di livello. Secondo Suwarso, «la cosa più importante che ha dato Fabregas sul campo è stato il cambio di mentalità. Ha creato un nuovo modo di essere, ci ha dato un dna. Un compito più vasto ed esteso di un semplice compito tecnico».

Senza Fàbregas non sarebbe arrivato Thierry Henry come consulente, né Osian Roberts come allenatore. Il nome del gallese è stato fatto da Henry. I due si erano incrociati quando il francese stava studiando per la licenza Pro da sotto la guida della Federcalcio gallese (FAW) al Dragon Park di Newport. Il corso era tenuto da Roberts, all’epoca era direttore tecnico della FAW. Roberts appartiene alla categoria degli insegnanti di calcio, il cui lavoro avviene spesso lontano dai riflettori. Era assistente di Chris Coleman quando il Galles si qualificò per Euro 2016 e raggiunse le semifinali, quindi per due anni ha lavorato come direttore tecnico per la Federcalcio marocchina, contribuendo a gettare le basi per la nazionale finita quarta ai Mondiali in Qatar. Infine è stato assistente di Patrick Vieira al Crystal Palace. Ma il suo arrivo a Como aveva lasciato fredda la piazza, come ricorda Carlalberto Ludi, direttore generale della società lariana. «Cercavamo un allenatore abile nello sviluppo di un determinato concetto di pressione e dominazione della partita. Roberts non è conosciuto? Non è colpa né di Roberts né nostra, ma di chi non si informa. Stiamo parlando di un profilo molto importante, che ha partecipato a progetti calcistici di alto livello. Bisogna imparare a immergersi nella nuova dimensione internazionale che la società deve dare al progetto, lontana dalla mentalità degli orticelli dove quello che è mio non è tuo». Riguardo ai nomi di pregio, tutto deve rimanere funzionale alla linea tracciata dalla proprietà: «In estate abbiamo parlato con Eden Hazard, il Papu Gómez, Sergio Ramos, ma per operazioni di questo tipo si devono allineare i pianeti. Con Fàbregas, Wise e Roberts mi sembra che i nomi non manchino. Poi, se capita l’opportunità, può essere. Ma non è un’ossessione».

Con 14 gol, Patrick Cutrone è il capocannoniere stagionale del Como (Pier Marco Tacca/Getty Images)

Il Como di Roberts si è dimostrato squadra tosta, affidabile, sicura di se stessa, pragmatica quando serve. Tanti i protagonisti: da Patrick Cutrone, riscopertosi bomber in casa propria (è originario di Colverde, paese sulla cintura di Como) alle doti da leader del capitano Alessandro Bellemo, da Alessandro Gabrielloni (in gol con i lariani dalla D alla B) a Cas Odenthal, uno dei migliori centrali del campionato, fino al citato duo Goldaniga-Strefezza, con il difensore di proprietà del Cagliari che, con la rete siglata al quarto minuto di recupero nel match contro il Cittadella alla terzultima giornata, ha posto un macigno per la conservazione del secondo posto in classifica del Como. 

A Como è davvero cambiato tutto. Sono passati solo pochi anni da quando il pullman della squadra, durante la gestione Essien, rimase fermo al casello autostradale perché nessuno aveva rinnovato il Telepass. Sembra un secolo fa, guardando il bus a due piani con bagno incorporato che oggi viene utilizzato per le trasferte più lunghe. L’unico, grande nodo da sciogliere riguarda lo stadio, una spina nel fianco per molti club italiani. In tempi recenti un noto Youtuber appassionato di calcio e groundhoppin’ ha tessuto le lodi del Sinigaglia, impianto inserito in un suggestivo paesaggio con vista su Lago, tra il Tempio Voltiano e l’Aereo Club da dove partono gli idrovolanti. Ma si tratta di una visione turistica, che cozza con la realtà quotidiana, perché la struttura è al limite del fatiscente, obsoleta e scomoda, nonché collocata in una zona pessima dal punto di vista logistico e della viabilità. Se la città si paralizza per un migliaio di tifosi della Reggina in trasferta, tanto da arrivare a chiudere per un giorno i mercatini di Natale per ragioni di ordine pubblico, è lecito chiedersi cosa succederà quando arriveranno i tifosi delle big di Serie A. La proprietà ha incaricato quattro diverse agenzie per presentare altrettanti progetti di un nuovo stadio da sottoporre al Comune. L’unico aspetto che potrebbe logorare gli Hartono è proprio questa annosa, infinta questione sul nuovo impianto del Como. Nel frattempo si tappano i buchi, con la proprietà che, in maniera legittima, ha dichiarato di non voler investire eccessivamente in un bene immobile destinato all’abbattimento, o quanto meno a una radicale ristrutturazione. I tifosi temono però soprattutto la burocrazia, si veda la questione dei mille posti aggiuntivi già pronti ma non ancora utilizzabili. Il motivo? Manca un parere dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile sull’altezza di un faro vicino all’hangar, e dal momento che l’iter documentale non è stato separato, bisogna attendere tutti i nulla osta, anche per i particolari che con i mille posti, già completati e pienamente a norma, non c’entrano nulla.

Suwarso ama ripetere che la società calcistica più sostenibile in Italia è l’Atalanta. «Il modello è quello e la condizione necessaria è che si collabori con il territorio per una crescita condivisibile. Ma per Como c’è un altro aspetto: in una grande città non esiste un unico punto di riferimento attrattivo. A Milano c’è chi va al Duomo, chi alla Scala, chi al Castello Sforzesco. A Como sono tutti qui, rivolti verso il lago. Li puoi intercettare tutti se vuoi, ed è un vantaggio per chi vuole creare un senso di appartenenza. Io non mi occupo di calcio e non entro nelle questioni calcistiche, ma quando mi chiedono quale sia il giocatore più importante della squadra, rispondo sempre: il Lago».