La leva calcistica della classe ’70

A 44 anni non solo si può avere ancora voglia di giocare a calcio, ma si può anche continuare a risultare decisivi nelle partite giocate coi ventenni. I casi Deflorio, Aruta, Taccola, Scugugia e Pierobon (che però è del 1969).
di Fulvio Paglialunga 23 Gennaio 2015 alle 16:15

 

A un certo punto hanno pensato di ritirarsi. Poi hanno deciso che era presto per la pensione. Il fisico regge, la voglia, nei giorni di inazione, è aumentata e poi forse c’è ancora spazio su un campo, piuttosto che ai giardinetti. Così, un gruppo di quarantaquattrenni sparsi per l’Italia ha scelto di tornare a giocare a calcio. Quasi contemporaneamente, senza passarsi parola. Come fosse stato un richiamo comune, quello del campo e non del denaro, perché non hanno avuto carriere banali e hanno scelto all’improvviso di aggiungerne un altro po’, tra i dilettanti, dove è possibile ancora divertirsi. Dove è persino possibile essere competitivi e dunque sfidare il tempo e l’età. Ha ri-cominciato Andrea Deflorio, classe 1970, proprio domenica: con il Pisticci Marconia, sconfitto dal Lavello in casa, in Eccellenza Lucana, sette anni dopo aver chiuso la carriera. In una squadra che è una fusione tra un comune di diciassettemila abitanti (Pisticci) e la sua frazione (Marconia), prima divise dal pallone e ora insieme. Non ce l’ha fatta a restar fermo, avendo ancora classe da esibire: Deflorio è uno dei giocatori migliori visti in Lega Pro negli ultimi quindici anni almeno, per qualità propria e per la disarmante discrezione dell’uso del talento.

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Ha fatto per una vita cose difficili camuffandole da semplici, senza esibizionismo nemmeno involontario. E si è anche appuntato record sul petto: ventotto gol in una stagione, come gli riuscì a Crotone, (con il quale ha disputato le uniche due stagioni da maturo in B) nel 2000, non sono stati ancora eguagliati da nessuno. Il suo girovagare è partito dalla provincia barese ed è finito nella sua città, a Noicattaro (sempre nel barese) nel 2008. In mezzo una sfilza di piazze calde e stagioni in doppia cifra, il soprannome di Cobra per alcune movenze e il suo modo di alzarsi con il pallone e tenere la testa alta per fare la scelta giusta.

Sono solo buoni ricordi che evidentemente da vecchio attaccante saranno rimasti tatuati, al punto da convincerlo a ritornare anche mentre insegna calcio ai bambini. C’è la gamba, la porta è rimasta uguale, non c’è modo di veder invecchiare la classe e allora si può, mal che vada sarà un altro bel ricordo lasciato di sé.

L’eleganza della carriera di Andrea Deflorio è tutta nell’impossibilità di trovare una città delle tante girate nella quale ci sia un risentimento anche minimo: sono solo buoni ricordi che evidentemente da vecchio attaccante saranno rimasti tatuati, al punto da convincerlo a ritornare anche mentre insegna calcio ai bambini. C’è la gamba, la porta è rimasta uguale, non c’è modo di veder invecchiare la classe e allora si può, mal che vada sarà un altro bel ricordo lasciato di sé.

Eredità del tutto differente ha invece ha lasciato “in giro” Sossio Aruta, altro ragazzo del 1970, uno con la sregolatezza che soffoca il genio, e che più volte è diventato antipatico persino al suo pubblico, per un comportamento sempre al di sopra di tutto, per quelli scatti per lui naturali e non sempre graditi. Sossio Aruta da novembre gioca nella Scafatese, in Eccellenza. Ancora in forma, in gol da subito, perché uno che ne ha segnati più di trecento non dimentica certo come si fa. Aruta è uno di quei calciatori dei quali si dice che con una testa diversa dalla propria sarebbero diventati stelle, ma del loro limite hanno fatto un marchio di fabbrica. Ha girato in tutte le categorie tranne la serie A e la Terza Categoria, ha giocato ovunque e anche in tv (nel Cervia di Campioni, il primo reality ambientato nel mondo del pallone) e persino in Champions, per un turno preliminare con il Tre Fiori, squadra di San Marino, cambiando squadra quasi ogni anno, a volte anche a ogni finestra di mercato, ma segnando sempre, facendosi notare comunque e mettendo insieme un curriculum che, cercandolo su Internet, non sta in una sola schermata. Il “Re Leone”, soprannome che arriva da lontano e sancito con l’animale tatuato sul deltoide sinistro, si è fatto notare ai tempi del Cervia per le liti con Ciccio Graziani (che – dicono – a volte lo teneva fuori perché le sfuriate della punta erano “televisive”), è stato preso di mira dalla Gialappa’s per l’uso dell’italiano meno pratico di quello del pallone e per mille altre stravaganze, compresi i pon pon che aveva sui calzettoni con cui giocava, cuciti dalla madre. Compreso il campo, ancora, a 44 anni, mentre nella sua Castellammare insegna calcio ai bambini. Magari chiedendo di non prendere esempio.

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