The Saints are coming

Il Southampton è la storia dell’anno della Premier. Venduti tutti i migliori della scorsa stagione, più l’allenatore. Cessioni per 116 milioni di sterline, acquisti per 71, bilancio in attivo. Ricchi e migliori. Non è un caso.

C’è chi sceglie la Polaroid e chi una foto scattata con la reflex e lavorata in post-produzione. C’è chi pensa a oggi, chi a domani e chi a dopodomani. Fuor di metafora, ci sono club che a gennaio ribaltano la propria rosa e club, come lo Swansea, che sentono il proprio manager pronunciare le seguenti parole: «Cosa faremo dei 28 milioni di sterline incassati per la cessione di Bony al City? Semplice: miglioreremo le nostre strutture di allenamento e quelle delle giovanili e amplieremo lo stadio. Il futuro di un club si basa su queste cose». In Italia avremmo pensato a un uomo proveniente da un lontano pianeta, invece è importante essere consapevoli che fare ragionamenti simili, pensare a domani o addirittura a dopodomani, a volte, è possibile.

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Il logo del Southampton, modificato nel 1990.

Certo, direte voi: occorrono le condizioni. Vero, ma è altrettanto utile entrare nella forma mentale per crearsele. Prendiamo come nave-scuola quello che è probabilmente il caso di maggior successo di strategia e programmazione, il Southampton, quattro anni fa nella terze serie del calcio inglese e ora nobile di prima classe, passando per cambi di proprietà, di dirigenza e di gestione tecnica. Ora che leggete quel nome, Southampton, nella parte alta della classifica, sappiate che in estate è stato lo zimbello d’Inghilterra. Avevano ceduto 5 dei 6 giocatori più forti e se n’era andato l’allenatore che li aveva portati al piazzamento record in Premier League. Girava una vignetta ironica sul web, con la riproduzione di una chat di un gruppo di WhatsApp dal titolo “Southampton”, con sotto scritto: Lallana ha abbandonato la conversazione; Lambert ha abbandonato la conversazione; stessa cosa per Lovren, per Shaw, per Chambers, per Pochettino. Cinque nazionali più il manager. Ecco, sappiate che qualche mese più tardi la classifica era la seguente. Southampton secondo, Chambers e l’Arsenal quarti, Shaw con il suo Manchester United quinto, Lallana, Lovren e Lambert con il Liverpool undicesimi, Pochettino con il suo Tottenham addirittura dodicesimo. Tutti coloro che se n’erano andati alla ricerca di uno step migliorativo per la propria carriera si sono ritrovati sotto al sorprendente Southampton. Per evidenziare l’impresa, leggere anche la voce bilancio. Incasso dalle cessioni: 116 milioni di sterline. Spesa per gli acquisti: 71 milioni. Uguale: 45 milioni di attivo. Un capolavoro sportivo ed economico.

Nella terra della fiducia tutti rendono al meglio. L’ultimo esempio è Elia, l’ex meteora della Juve:  esordisce con due gol e un abbraccio all’allenatore.

Come sono riusciti a trasformarsi in poco tempo da zimbelli a favola del campionato? Grazie alla struttura alle spalle e a un pensiero organizzativo che ha creato una base solida da replicare nel tempo. Process over results, il processo prima dei risultati, direbbero in America. Come hanno fatto? Punto primo: valorizzando l’Academy, il settore giovanile. Non è chiaro come annaffino le fasce dei loro campi, ma da quelle parti sono usciti i migliori esterni britannici degli ultimi 10 anni: Bale, Walcott, Oxlade-Chamberlain, Chambers, Shaw, Lallana.  Ora ce ne sono già di nuovi che fanno la differenza in Premier, come Clyne, Ward-Prowse e Targett. Si cura il calciatore e l’uomo, con il rispetto di quel motto “hope for the best, but prepare for the worst”. Pensa al meglio, ma preparati al peggio. Lo ripetono ai ragazzini, per renderli responsabili: sogna pure di diventare un calciatore, ma studia perché potresti ritrovarti a fare altro.

Punto primo, dunque, l’Academy. Punto secondo: l’importanza della base nella piramide del successo. Presidenza – direzione sportiva del club – allenatore, il triangolo che necessita di essere allineato, sceglie i processi e determina i risultati. Se la base è delineata, si possono cambiare i lati nel tempo, come dimostra la storia recente del club. Nel 2009 il miliardario svizzero Markus Liebherr compra il club che fu di Matthew Le Tissier, ora sprofondato in League One, la terza serie. Sceglie di affidare il progetto a Nicola Cortese (consideratelo pure il direttore artistico). Allenatore: Alan Pardew, che tre anni dopo vincerà il premio di manager dell’anno (sì, ma in Premier League). Un triangolo equilatero, perfetto, omogeneo. Il primo milione viene speso per quel Ricky Lambert che con i suoi gol guida alla doppia promozione consecutiva il club. Immaginate una di quelle collane che si comprano al mare, apritela e mettetela in orizzontale. Osservate le perline, una dietro l’altra. Ecco: le scelte del Southampton sono come quelle perline. Infilatele una dopo l’altra nel modo corretto.

Quando la squadra al primo anno in Premier con il manager Adkins stenta, la direzione sceglie Pochettino, fresco di esonero dall’Espanyol. Ma come? Un allenatore giovane e appena cacciato da un club modesto? Evidentemente lo conoscevano e lo hanno scelto dopo colloqui e riflessioni ponderate. Pochettino – ora al Tottenham, a dimostrazione della bontà di quella pensata – salva la squadra e l’anno dopo la porta a sfiorare l’Europa. Supera anche qualche bufera. Perché nel frattempo il proprietario è morto a 62 anni e al suo posto c’è la figlia Katharina. Si vocifera che non abbia molti interessi sportivi. Nicola Cortese – il direttore artistico – decide di lasciare. Pochettino, molto legato a lui, ci pensa per 24 ore. Siamo nel Gennaio del 2014. Il filo della collana sembra spezzarsi, con tutte le perline destinate a sfilarsi. Il manager argentino si veste da gioielliere e decide di lucidare, anziché buttare, un oggetto così prezioso: «Questo progetto merita di arrivare a fine anno».  Si stringe un patto d’onore all’interno dello spogliatoio. In estate liberi tutti. Va proprio così: da giugno, le cessioni, le ironie, le chat di presa in giro.

Ronald Koeman durante un'amichevole estiva contro il Bayer, agosto 2014. (Robin Parker/Getty Images)
Ronald Koeman durante un’amichevole estiva contro il Bayer, agosto 2014. (Robin Parker/Getty Images)

Dalla costa sud dell’Inghilterra, però, si vede sempre l’orizzonte, grazie alla fiducia nel proprio modo di operare, diventato uno stile ben delineato consolidato nel tempo. Non si sono dimenticati la legge del triangolo e tantomeno come si fanno le scelte. Il nuovo direttore artistico è l’ex consulente della nazionale canadese di hockey sul ghiaccio che ha vinto l’oro ai giochi invernali, Ralph Krueger. Ah, anche ex giocatore ed ex allenatore di hockey. Ma come, un uomo che arriva dall’esterno rispetto al mondo del calcio? Ma come, ancora non avete capito che qui le scelte le fanno con profondità? In panchina chiamano Ronald Koeman che, vista la situazione (vedi: le 5 cessioni raccontate all’inizio), è tra i favoriti secondo i bookmakers per il primo esonero dell’anno. Le scommesse invece le fa lui: sul suo coraggio e sul suo intuito. La prima mossa dell’olandese è bloccare il trasferimento del nazionale francese Morgan Schnederlein, il sesto tra i giocatori più forti. Piaceva al Napoli e Pochettino l’avrebbe portato di corsa al Tottenham. Koeman s’impunta, lo convince della bellezza del suo progetto e lui – un mediano – si dimostra a suo agio con tre gol nelle prime quattro partite.

Il direttore sportivo-generale  è l’ex consulente della nazionale canadese di hockey sul ghiaccio.

Il manager ha tutto in testa. Disegna un cerchio e mette la parola fiducia nel mezzo. Nelle sue idee e nei suoi uomini. Rischia, va in all-in. Si porta al St. Mary’s Graziano Pellé, convincente solo in Olanda dove proprio Koeman gli aveva dato la fascia di capitano al Feyenoord. Serve un altro “ma come”?  Si porta anche Dusan Tadic, uno che gli aveva fatto gol contro con la maglia del Twente. Poi prende un portiere più forte di quello che c’era pescandolo in Scozia (Forster), un esterno d’attacco senegalese che giocava in Austria (Mané) e un terzino in prestito dal Chelsea che nelle ultime tre stagioni ha cambiato 4 maglie (Bertrand). È una questione di comfort mentale: nella terra della fiducia tutti rendono al meglio. L’ultimo esempio è Elia, l’ex centrocampista meteora della Juve, arrivato nel mercato di gennaio:  esordisce con due gol e un abbraccio all’allenatore che lo ha fortemente voluto.  Cedendo cognomi e acquistando gente a cui Koeman dà del tu e sa cosa chiedere e cosa può aspettarsi, il Southampton ha migliorato l’ottavo posto della scorsa stagione. Creandosi sempre lo spazio per pensare alla gestione, per ponderare le scelte, sapendo che ogni singola perlina è determinante affinchè la collana sia bella e omogenea. Pensare al dopodomani non è solo una forma mentale, ma anche una scelta che richiede metodo, continuità e dedizione.  Il risultato, però, è gasante. Dalla terza serie ai vertici della nobiltà inglese in quattro anni, un modo per attraversare velocemente il tempo: come una foto realizzata in una camera oscura che si prende il record dei “mi piace” sui social.

Dal numero 4 di Undici, in edicola