I fantastici sette anni di Mário Jardel

La parabola di uno degli attaccanti più prolifici degli ultimi trent'anni: da quando segnava come nessun altro, in Europa e non solo, al declino e alla depressione.

mario jardel

Ci sono storie in cui il confine tra il prima e il dopo è una linea retta, netta, profonda. Un confine chiaro. Evidente. Storie nelle quali gli scenari, le aspettative, cambiano con una facilità sconcertante e le luci, come lampi, fino ad allora accese a illuminare la scena e i suoi eroi, di colpo si spengono. E quel giorno timbra tutto un avvenire.

La storia è quella di Mário Jardel de Almeida Ribeiro, all’anagrafe di Fortaleza. Probabilmente uno dei tre centravanti più forti del globo a cavallo del nuovo millennio. Per comprendere quest’affermazione nella sua essenza occorre una precisazione che prendo in prestito da amici uruguagi per i quali il calcio è semplice: hay el arquero y el nueve, ovvero: ci sono il portiere e il centravanti. Il resto – sempre parole loro – serve a fare volume. Detto che, verosimilmente, Rinus Michels, Johan Cruyff e Pep Guardiola non hanno parenti a Montevideo, spero li perdoneranno coloro che amano il calcio champagne. Io, a scanso di equivoci lo ammetto sin da ora, appartengo alla loro scuola. E il nueve di сui si sta parlando, per chi non lo conoscesse, è stato un nueve coi fiocchi.

Sorrisi da Porto Alegre
Sorrisi da Porto Alegre

La sfortuna di Mário Jardel – la più grande e la più evidente almeno – è quella di essere nato nella generazione calcistica di Luís Nazário de Lima, per gli almanacchi del football Ronaldo O Fenômeno. E capiremo presto il perché. Premessa: Ronaldo non si discute, né nella sua generazione, né a livello assoluto. Oggettivamente uno dei dieci calciatori più grandi di sempre. Però Mário era essenziale, chirurgico. Puntuale. Come nessuno. Un gioco aereo fatto di un’elevazione, di una determinazione e di un tempismo fuori dal comune. A tu per tu col portiere non sbagliava. Semplicemente mai. Certo non era elegante, non era Van Basten. Ma faceva paura perché con quel fisico spostava, infastidiva, disturbava. E sbucava ovunque. Chiedere a Paolo Maldini, ma andiamo con ordine.

Libertadoras 1995, la finale: Grêmio-Nacional

Il ragazzone muove i primi passi calcistici vicino a casa. Cresce nelle giovanili del Ferroviário e, quando finalmente esordisce in prima squadra, lo stadio da 4.000 posti si riempie quasi sempre di gente che va lì solo lui. Per vedere da vicino quei movimenti sgraziati abbinati ad una straordinaria efficacia nelle vicinanze della porta avversaria. Uno così è destinato a essere solo di passaggio. Un giorno de 1990, infatti, un osservatore del Vasco da Gama, la squadra dei commercianti portoghesi di Rio de Janeiro, lo va a vedere. Le relazioni devono essere state molto positive visto che appena possibile la dirigenza bianconera staccherà per lui, non ancora maggiorenne, un assegno di 27.500 dollari. Non sono anni di grandi soddisfazioni per il club mentre il ragazzo scalpita. Sente chiaramente di potersi affermare su palcoscenici più prestigiosi. La svolta nella sua prima parte di carriera si consuma nell´inverno brasiliano del 1995 con il passaggio al Grêmio di Porto Alegre. Quella squadra ne esalta le caratteristiche così poco brasiliane. Sulla panchina siede Felipão Scolari che fin dall’inizio della stagione punta forte su quel ventunenne che a qualcuno fa storcere la bocca: “La nove è tua”, gli dice. Il Tricolor conquista la Copa Libertadores 1995 battendo l’Atlético Nacional de Medellin in una doppia finale conclusa con il punteggio complessivo di 4-1. Jardel ne firma uno portando a 12 il numero complessivo di reti nel torneo. Titolo di capocannoniere. E uno. Ne segnerà ancora tanti per il Grêmio. Alla fine saranno 67 in 73 partite.

È l’estate del 1996 ed è evidente che l’Europa non può più aspettare. Se lo contendono – come capiterà sempre più spesso negli anni successivi quando si parla di talenti sudamericani – il Benfica e il Porto. In realtà sembrano spuntarla un po’ a sorpresa i protestanti di Glasgow: i Rangers. L’affare, però, non va in porto e la causa è la legge che limita l’ingresso su suolo britannico dei calciatori extracomunitari. Per il Portogallo non è un problema e a spuntarla saranno i Dragões di Oporto proprio nei giorni in cui a Barcellona, sponda blaugrana ovviamente, sbarcava con ben altra enfasi e a ben altre cifre Ronaldo O Fenômeno.

La nuova avventura per Jardel inizia una notte in un posto ben preciso. La data è quella dell’11 settembre 1996 e lo stadio è uno dei palcoscenici di football più importanti d’Europa: Giuseppe Meazza in San Siro, Milano, Champions League. Il Milan è quello, tra gli altri, di Sebastiano Rossi, Panucci, Maldini, Albertini, Desailly, Weah, Baggio, “Zorro” Boban e Simone. A quindici dal termine è 2-1 per i rossoneri e Jardel è in campo da 12 minuti. Ne mette due nel giro di 350 secondi. Il primo è un’elevazione tra Galli e Maldini che incrocia il pallone dove Rossi non puoi mai arrivare e il secondo è una girata fulminea, rabbiosa, dal centro dell’area proprio sotto lo sguardo allibito di un Maldini che cerca invano di capire dove si girerà quel brasiliano grande e grosso. La palla è nell’angolo. Il numero 16 bianco-blu ha sbancato San Siro. Che si accendano le luci, Jardel è arrivato in Europa.

Milan 2 – 3 Porto, il riassunto

Alla fine di quel primo anno è difficile affermare che Jardel abbia avuto bisogno di un periodo di ambientamento. Il suo tabellino lo testimonia in maniera lampante: 37 centri in 45 presenze. Titolo di capocannoniere portoghese al primo anno con 30 gol in 31 partite. In Portogallo giocherà quattro stagioni stupefacenti vincendo quattro classifiche cannonieri a livello personale e segnando gol in ogni modo. Su qualsiasi campo. E lo stesso farà in Europa. Nel 2000 è capocannoniere anche di Champions League con 10 gol. Alla fine di quell’anno gli consegneranno la Scarpa d’oro. La prima.

Ne parla tutta Europa. Sembra essere destinato a lasciare il Portogallo per teatri più prestigiosi. È sui taccuini di molte squadre importanti ma il destino ha i suoi percorsi e, tra lo stupore di tutti gli appassionati, va in una buona squadra ma non proprio di primissima fascia: il Galatasaray di Mircea Lucescu fresco vincitore dell’allora Coppa Uefa che paga tutti i 16 milioni di dollari della clausola rescissoria. Inizia male la sua avventura. Principato di Monaco, 25 agosto 2000. I giallorossi del Bosforo si giocano la Supercoppa europea contro il Real Madrid. Il Madrid è in vantaggio ma un rigore di Jardel manda il match ai supplementari. In quegli anni c’è ancora in vigore la regola del golden gol per sancire il vincitore di una gara in parità dopo novanta minuti. Lo segna ancora lui. Solita girata in mezzo ai due centrali e Casillas immobile. Al debutto in campionato segna cinque gol. Non è ancora settembre e l’Ali Sami Yen, con il suo tifo infernale, è già tutto ai suoi piedi. Nonostante gli infortuni Jardel colleziona 22 gol in 24 partite di campionato e contribuisce con le sue sei reti a raggiungere i quarti di Champions League. Quel Galatasaray è temuto e, soprattutto tra le mura domestiche, gioca partite memorabili. 2-0 ancora al Milan con Jardel che segna in contropiede e 3-2 ancora al Real Madrid che ha chiuso il primo tempo in vantaggio per due a zero. A quindici dalla fine la firma sul risultato finale indovinate chi l’ha messa.

Supercoppa Europea 2000, Mario segna (minuto 4:15) e si toglie la maglia, come quell’altro Mario italiano

Jardel è un idolo per i tifosi turchi ma desidera tornare in Portogallo, probabilmente per problemi personali. Jardel lascia Istanbul e l’ultimo giorno di mercato firma per lo Sporting di Lisbona. Sbarca in riva al Tago ed è semplicemente una furia calcistica. Un lupo in mezzo ad agnelli. È Gulliver in mezzo ai lillipuziani. È semplicemente troppo più forte. Quasi mai, o molto raramente, negli ultimi anni un calciatore è stato di un livello agonistico, psico-fisico così più forte degli avversari del suo campionato. «Non lo si può fermare. Non puoi avere un livello di attenzione così costante per tutta la partita da impedirgli di segnare» si arrenderà all´evidenza Pedro Henriques, difensore del Belenenses, dopo una partita terminata 2-0 per lo Sporting con una sua doppietta. Di paragonabile, in quegli anni, mi viene in mente solo Ronaldo. A Barcellona e all’Inter. Eccolo, ancora Ronaldo O Fenômeno dietro le quinte di questa storia.

Per Supermario saranno 42 alla fine dell’anno. Solo in campionato. Vinto, ovviamente. E titolo di capocannoniere. Un altro. Grazie ai sette in Coppa del Portogallo e ai sei in Europa ne consegna agli almanacchi 55 in 42 partite. I gol di quella stagione sono impastati di ferocia agonistica, determinazione e strapotere fisico. Mário Jardel dà la netta impressione di essere incontenibile, specialmente di testa. Sembra più leggero degli altri e sapere prima dove scenderà il pallone. Inutile dire che metterà le mani sulla seconda Scarpa d’oro. Lo Sporting porta a casa l’accoppiata campionato e coppa nazionale che mancava al club da vent’anni. Sembra impossibile non convocarlo per i Mondiali in Giappone e Corea del Sud.

I migliori gol nel Porto

Sulla panchina della Seleçao, oltretutto, siede quel Felipão Scolari che sette anni prima l’ha lanciato ricevendo in cambio una Libertadores su un piatto d’argento. Ma a maggio il Ct dirama le convocazioni e alla voce attaccanti compaiono Ronaldo (ovvio), Denílson (il nuovo enfant prodige), Luisão e il trentenne Edílson. Per lui non c’è posto. La Seleçao gli chiude nuovamente la porta in faccia. Il colpo è duro, tremendo. Quella che sembrava una macchina indistruttibile prima di tutto dal punto di vista caratteriale vacilla. In quel carattere d’acciaio, tenace, coriaceo che ne aveva elevato il talento per nulla eccelso si insinua un tarlo. Che scava diventando paure e insicurezze. Il Brasile, nel frattempo, diventa pentacampeão (nel mondiale tecnicamente più brutto della storia) e Jardel prova a non pensarci. Ma più forte di tutte è la sensazione che un treno non passerà più. Almeno per lui che a 29 anni si sentiva pronto come non mai. C’erano Ronaldo e Denílson ancora giovani. C’erano Kaká e Ronaldinho in rampa di lancio. La Seleção per lui era un capitolo chiuso per sempre e la sua storia coi colori verdeoro è di un solo gol in dieci presenze. Una miseria. Soprattutto per lui.

L'esultanza dopo un gol contro il Boavista, nel 2001. AllsportUK/Allsport
L’esultanza dopo un gol contro il Boavista, nel 2001. Si dice che la maglietta sia una polemica contro la sua Nazionale: perché segno così tanto ma non vengo convocato? AllsportUK/Allsport

Jardel prova a riprendersi qualcosa. Ma saranno solo briciole da qui in avanti. Cocci di un vaso in frantumi. E l’uomo comincia a camminare pericolosamente su quei cocci di vetro. A Natale di quell’anno si fa male al ginocchio in una piscina di Fortaleza, durante le vacanze. I giornali portoghesi parlano di depressione causata dai problemi con la moglie che porteranno alla loro separazione, prime voci di un suo coinvolgimento in un traffico di droga. Brutte storie e una stagione non entusiasmante, per usare un eufemismo: 12 gol in 20 partite. Briciole, appunto.

Allo Sporting non prendono bene nemmeno i continui ritardi di ritorno dalle vacanze. Luglio 2003. Sono i giorni del destino. Quelli che cambiano tutto un avvenire fatto di promesse, di fama e di successo. Una carriera che da quel momento sarà un lungo, lento e costante declino al cospetto del quale Jardel dà la sensazione di non volersi arrendere. Torna in Europa malvolentieri e il suo club fa di tutto per disfarsene. Mário non è più Supermario. Al suo nuovo club, gli inglesi del Bolton (non è esattamente l’approdo in Premier League che aveva sempre immaginato), si presenta come un ex calciatore e passa come acqua fresca. Nel mercato di gennaio lo prestano all’Ancona (e anche la Serie A non ha i colori a lungo inseguiti). La missione è di quelle davvero impossibili: salvare un’armata Brancaleone che è anche una delle peggiori squadre mai iscritte al massimo campionato italiano. Nonostante una vecchia volpe come Nedo Sonetti e un effervescente Giovanni Galeone a susseguirsi in panchina. Alla presentazione è in sovrappeso di quindici chili ma ciònonostante non lesina promesse rivolte a un futuro nel quale nessuno crede. Lui per primo. Dimagrirò. Tornerò in forma. Ci salveremo. Tutti verbi coniugati al futuro mentre l’unica cosa scintillante è il suo passato. In mezzo un presente nel quale, con tutta evidenza, è prigioniero. L’esordio è a San Siro al cospetto del Milan che tanti sorrisi gli ha regalato in carriera. «Il Milan mi porta bene» dice alla vigilia. L’Ancona perde 5-0 e le pagelle del lunedì sono impietose. Un giornalista sintetizzerà meglio di chiunque quello che è chiaro già a tutti: «Stendiamo un velo di silenzio in rispetto al calciatore che è stato». Collezionerà tre presenze e i suoi tifosi lo saluteranno con uno striscione impietoso nella sua eloquenza: «Lardel».

Liverpool v Bolton Wanderers
Uno dei pochi gol al Bolton, contro il Liverpool in Carling Cup. Michael Steele/Getty Images

A trentun anni girerà ancora molte squadre e mezzo mondo come un fantasma alla ricerca di ciò che è stato. Come quelle anime di certe culture che non compiono il trapasso e continuano a tormentare i vivi. Il centravanti che ha incantato l’Europa, il più grande nueve degli ultimi trent’anni finirà a giocare su campi improbabili di un campionato locale amazzonico all’età, per intenderci, in cui Javier Zanetti solleva al cielo del Santiago Bernabeu la Champions del Triplete. In un’intervista rilasciata al quotidiano brasiliano Lancet nel luglio scorso Jardel ammette il consumo di droga cominciato ai tempi del Porto; racconta della compiacenza dei medici che gliene permettevano l’uso convinti di “ripulirlo” nel ritiro prestagionale e di come, col tempo, ne sia diventato dipendente.

Mário Jardel. Nei suoi anni migliori – i fantastici sette – ha segnato 266 gol in 274 partite. Se consideriamo i migliori anni di altri grandissimi a lui contemporanei e più recenti scopriamo che Ronaldo O Fenômeno ne mette a referto due in meno ma in 382 partite tra Psv Eindhoven, Barça, Inter e Real Madrid. L’olandese Van Nistelrooij tra Psv Eindhoven, Manchester United e Real Madrid ne segna 289 in 406 presenze. Cristiano Ronaldo, contando gli anni più prolifici (e quindi non i primi a Manchester) arriva a 381 gol in 467 partite. Eh già, CR7 e Leo Messi. Oggi le macchine da gol sono soprattutto loro. Diversi in tutto e così diversi da Mário Jardel. Loro rubano l’occhio, incantano con il gesto esaltandone l´estetica. Eppure uno come Jardel sarebbe bello rivederlo. Uno con la sua voglia di arrivare, con la sua superiorità fisica, con quel suo essere ribaldo e sul punto di sfidare il mondo. Uno che non è stato baciato dagli dei del pallone ma che è stato comunque a un passo dal prendersi il mondo. Poi gli è scivolato via e non è stato più capace di rincorrerlo.

 

Nell’immagine di testata, Jardel nel 2000 in Porto-Gil Vicente