Memphis United

Talento esplosivo, caratterino ingestibile: il suo fallimento era scritto, invece Memphis Depay si è consacrato con il Psv e punta a trionfare con i Red Devils di Van Gaal

Lo Sportpark De Boekhorst è un piccolo campetto di un paesino della provincia olandese chiamato Noordwijkerhout. Memphis Depay ha cominciato lì la sua carriera da professionista, e meno di quattro anni dopo si è trovato all’Old Trafford di Manchester. Non come turista, ma da giocatore più pagato di sempre in uscita dalla Eredivisie: 27.5 milioni di euro, destinati a diventare 32 con i bonus. Il precedente primato, stabilito da Ruud van Nistelrooy nel 2001 con il suo passaggio dal Psv al Manchester United, ammontava a 31.5. Ma all’età in cui Depay ha firmato per i Red Devils, Van Nistelrooy militava ancora nel Den Bosch, e sulle sue qualità il Psv nemmeno ci credeva, visto che si era rifiutato di sborsare il milione di euro richiesto dal club del Brabante del Nord, che lo aveva quindi venduto all’Heerenveen. Da dove il Psv lo aveva ricomprato dodici mesi dopo per dieci volte tanto, ma questa è un’altra storia. Quella di Depay invece è iniziata, come detto, nella provincia più profonda, da perfetto sconosciuto contro un club amatoriale chiamato VVSB. Era il secondo turno di Coppa d’Olanda, l’allora tecnico Fred Rutten aveva deciso di applicare un ampio turnover, e tra i big lasciati a riposo c’era anche Dries Mertens, titolare a sinistra nel tridente d’attacco del Psv. Quel 21 settembre del 2011 toccava quindi a Depay. Di fronte a lui Michael Ferrier, un ex professionista che aveva giocato anche in Italia (Salernitana in B, Catania in C2), lasciando traccia di sé solo per l’episodio del manichino nero impiccato esposto nella curva dei tifosi dell’Hellas Verona all’annuncio del suo possibile arrivo in gialloblù. Gli scaligeri lo scartarono per presunti problemi fisici, ma se la bevvero in pochi. Ferrier imparò bene il nome di Depay, perché passò tutta partita a rincorrerlo, senza mai prenderlo. Il ragazzino fece due gol, fornì un assist, e il Psv vinse 8-0.

Il folgorante debutto di Depay nel Psv, impreziosito da una doppietta

Tre estati dopo, c’erano parecchi occhi umidi in giro per l’Olanda quando Memphis Depay siglò il gol partita contro l’Australia al Mondiale brasiliano. Non erano tanto lacrime di gioia per la vittoria dell’Olanda – perché se tifi gli oranje non puoi piangere quando batti gli Aussies, ma il punto di arrivo di uno sfibrante progetto iniziato una decina di anni prima. Il ragazzino dall’infanzia difficile, la peste che aveva perso il conto degli insegnanti (a scuola) e degli istruttori (nei vivai) portati alla disperazione, il talento destinato a un precoce oblio per colpa del peggior avversario che avesse mai potuto trovarsi di fronte: sé stesso. Ma quelle persone, che magari tentavano di nascondere l’emozione fingendo che un granello di sabbia gli fosse improvvisamente entrato nell’occhio, non avevano mai mollato, perché un simile talento non poteva finire a rappare con il collettivo hip-hop Rotterdam Airlines o a fumare erba nel parcheggio sul retro del De Herdgang, il centro di allenamento del Psv Eindhoven. In Brasile tutte le tessere del puzzle si erano ricomposte. Con il gol all’Australia, Depay era diventato, all’età di 20 anni e 4 mesi, il più giovane marcatore olandese di sempre in una coppa del mondo (primato tolto a Boudewijn Zenden, a segno a Francia ’98 a 21 anni e 10 mesi). Poi, sempre da subentrato, era andato in rete anche contro il Cile. E tutti si sono accorti che quel ragazzo era davvero una stella. Ma è stata dura.

Depay a segno contro l’Australia nei Mondiali brasiliani

«So che non è una cosa bella da dirsi, ma credo che aver lasciato le giovanili dello Sparta Rotterdam sia stata la salvezza di Depay». Parola di Kevin Valkenburg, che nel 2006 era coordinatore delle giovanili dello Sparta. Dove nessuno sapeva più come prendere quel 12enne arrivato tre anni prima dal Vv Moordrecht, club del paese che aveva dato i natali a Depay. «Viveva allo stato brado, alcuni nel club lo chiamavano l’appestatore perché avvelenava ogni ambiente in cui si trovava». Allo Sparta erano tutti consapevoli della difficile situazione famigliare del ragazzo, padre ghanese e madre olandese, separati da quando lui aveva 4 anni, e da allora del papà nessuna traccia. Mai più visto né sentito, tanto che, una volta arrivato al Psv, chiese di scendere in campo con il nome Memphis sul retro della maglietta. Da fuori, il paese dei Depay, Moordrecht, sembrava una cartolina. Monumenti, canali, un oceano di verde, una piccola oasi felice. Ma bastava farsi un giro nel quartiere delle Molucche per scoprire l’altro lato della medaglia: criminalità, spaccio, guerra tra bande, casi sociali. La madre di Depay, Cora, dopo la separazione si era messa con un vicino di casa. Casa grande, famiglia allargata, una quindicina di figli in totale. Ma un giorno il patrigno di Memphis vinse alla lotteria, tornò a casa e disse a Cora: «Quella è la porta, non voglio più vedervi». Quando nell’estate del 2006 il Psv ingaggiò Depay, allo Sparta Rotterdam tutti tirano un sospiro di sollievo. Ma anche Memphis, pur inconsapevolmente, ha fatto la scelta giusta. Fosse finito nel settore giovanile dell’Ajax, dove le regole sono molto più rigide, sarebbe stato cacciato in meno di un anno.

Depay nel 2012. Dean Mouhtaropoulos/Getty Images
Depay nel 2012. Dean Mouhtaropoulos/Getty Images

Se c’è una parola che non appartiene al vocabolario di Depay, questa è “paura”. In rete circolava un minidocumentario, girato dall’Adidas prima del Mondiale, che ricostruiva la storia del nazionale oranje attraverso interviste e filmati. In uno di questi si vedeva Depay all’età di sei anni partecipare a una gara di biciclette a Moordrecht. La sua era una corsa spericolata, a rotta di collo, senza freni. «È la perfetta immagine della sua infanzia», commentava la madre Cora, in una delle rarissime volte in cui ha parlato del figlio in pubblico. Perché Depay ha costruito un muro attorno ai suoi affetti, e più cresceva la sua fama, più questo muro si ispessiva. Difficile oggi ottenere una dichiarazione dalla sua tatuatrice di fiducia, oppure da Gianluca, l’amico del cuore che lavora in un negozio di articoli sportivi, oppure dal rapper Bollebof, altro compagno di merende del giocatore. E anche Cora tiene la bocca cucita. Per accorgersi del legame profondo che lega madre e figlio bastava dare un’occhiata alla pagina Facebook del giocatore il giorno in cui le ha regalato una Mercedes nuova. «Ti sei fatta il mazzo fino a tardi per permetterci di tirare avanti», si leggeva nel post, «e nella tua vita non hai mai messo un uomo prima di me». Ma ci sono stati dei momenti in cui Memphis, per necessità, ha dovuto andarsene di casa. Prima ad Amsterdam con il nonno (la figura paterna nella famiglia di Memphis, venuta a mancare nel 2009 un giorno dopo il compleanno del nipote), poi a Geldrop e a Vucht, in due diverse case famiglia, infine a Eindhoven. Un peregrinare inquieto, tra college mai finiti, party e acquisti (una cintura di Gucci da 1.500 euro) poco adatti al portafoglio di un 15enne. In mezzo a tutto questo c’è sempre stato il calcio. Depay è sempre stato di un’altra categoria, nell’under 14 come nell’under 18. Possedeva la tecnica ma anche il fisico, per non parlare della personalità. «Fino al debutto in prima squadra nel Psv, non ho mai preso in considerazione né compagni né avversari. Sapevo di essere il migliore». Punto.

Alle origini di Depay: ci sono anche le sue spericolate corse in bicicletta

Ma dopo tutte le premesse e le promesse, la vittoria dell’Europeo under-17 (con gol in finale nel 5-2 alla Germania), l’inserimento tra i nominati per il premio di miglior giovane della Eredivisie 2013/14 (vincerà l’ajacide Klaassen), il Mondiale brasiliano, ci voleva il botto. La stagione della consacrazione, la dimostrazione di manifesta superiorità. È arrivata: Psv campione d’Olanda dopo sette anni, Depay capocannoniere del campionato (22 reti, il più giovane topscorer della Eredivisie dai tempi di Ronaldo, stagione 94/95), uomo-squadra (è il terzo giocatore del Psv che tocca più palloni nel corso di una partita) e cecchino implacabile sui calci piazzati (29 tentativi, 6 reti). Dato significativo anche la sua media-voto secondo l’inflessibile settimanale Voetbal International: 5,96. Insufficiente quindi, ma allo stesso tempo indicatore delle enormi potenzialità del giocatore. Perché se il miglior giocatore (per distacco) della Eredivisie non arriva nemmeno alla media del 6, si può solo immaginare cosa potrà fare quando pure la continuità di rendimento avrà raggiunto livelli top. Importante anche l’aspetto caratteriale: nella stagione appena conclusa, Depay si è segnalato solo per i numeri in campo. Sui social si diverte a fare il gangsta rapper e ad imitare il boxeur megalomane Floyd Mayweather, ma il massimo della trasgressione sono state un paio di multe per eccesso di velocità e l’acquisto di un ring regolamentare per boxe, muay thai e kick boxing, piazzato al centro del suo lussuoso loft, 450 metri quadrati nel centro di Eindhoven, 4750 euro di affitto mensile, oggi in vendita per 1.6 milioni. Anche per le mani bucate ha trovato la soluzione, affidandosi ad una consulente finanziaria, Brenda Funt, autrice di un libro che in Olanda ha venduto quanto la biografia di Ibrahimovic.

Gol e giocate dell’ultimo Depay nel Psv

Depay ha scelto Manchester per Van Gaal, lo stesso tecnico che, nell’estate del Mondiale, lo aveva convinto a rifiutare l’offerta del Tottenham e rimanere un altro anno in Olanda. Per irrobustirsi ulteriormente, continuare a crescere e vivere una stagione da assoluto protagonista. In Inghilterra Depay è arrivato sulla scia dei grandi bomber del Psv, da Van Nistelrooy a Romario, da Ronaldo a Nilis fino a Gullit (che segnò anche 22 reti in una sola stagione di Eredivisie) e Kezman. Solo quest’ultimo, una volta lasciata l’Olanda, non è diventato un big. «Depay è un’ala in grado di vedere molto bene la porta», ha dichiarato Van Gaal. Le sue intenzioni sono chiare: il lato sinistro dell’attacco dei Red Devils è stato uno dei talloni d’Achille della squadra. Nei 1350 minuti di gioco in cui il Manchester United ha adottato il 4-3-3 o il 4-2-3-1, i giocatori schierati nel ruolo di esterno sinistro alto (Januzaj, Di María, Wilson, Rooney, Young) hanno prodotto 3 gol (1 Rooney e 2 Young) e 6 assist. Rimanendo a sinistra, nell’Arsenal il solo Sánchez ha segnato 16 gol, nel Chelsea Hazard ne ha infilati 14, nel Tottenham Chadli 10. Van Gaal cercava un esterno in grado di fare la differenza. Accontentato.

 

Nell’immagine in evidenza, l’esultanza di Memphis Depay dopo il gol al Cile nei Mondiali brasiliani. Dean Mouhtaropoulos/Getty Images