«In quanti Paesi al mondo i tifosi accolgono un corner esultando come se fosse un gol? Uno. L’Inghilterra». Mourinho si era sfogato così contro il feticismo tutto britannico per i tiri dalla bandierina e i palloni catapultati in the box. Forse non sapeva che, se in Inghilterra esultano a ogni calcio d’angolo, esiste un Paese dove ci si ritiene calcisticamente realizzati anche per un retropassaggio ben effettuato, figuriamoci per un campionato vinto. La Danimarca. Anzi, giusto per abituarsi ad essere precisi – il contesto lo esige – la parte centrale della penisola dello Jutland, dove i tifosi del Midtjylland FC hanno appena festeggiato il primo titolo della loro storia. Un titolo giunto a tre giornate dalla fine grazie al pareggio in casa del Vestsjaelland che tiene matematicamente a distanza gli inseguitori del Copenhagen. E mai «matematicamente» fu avverbio più appropriato, dato che quello conquistato dai danesi è anche il primo titolo della storia ad affondare le radici (quadrate) negli algoritmi, nella statistica e nei Big Data.
La parabola degli Ulvene (i Lupi) non è abbastanza antica da essersi guadagnata i galloni dell’epica sportiva. Club ancora adolescente, il Midtjylland è nato nel 1999 ad Herning – finora nota solo come tappa di partenza forestiera del Giro d’Italia 2012 – dalla fusione dell’Ikast Fs e dell’Herning Fremad. Debutto in seconda divisione, poi la Superliga con un paio di secondi posti e qualche sporadica puntata nei turni preliminari delle coppe europee. Sporting Lisbona, Anderlecht, il Manchester City costretto ai rigori nel 2008. Simon Kjaer valorizzato e venduto in Italia. Stop. Fine degli allori e dei motivi di menzione e inizio dei guai finanziari.
Il 2-0 sul Copenaghen, con cui è stato dato il colpo di grazia al campionato
Ma è di fronte alle difficoltà che emerge il dna di questa regione, concreta e coi piedi ben piantati tra le colline a costo di apparire conservatrice. «Jylland, du er hovedlandet», scriveva Hans Christian Andersen, parlandone come della «terra della testa». E solo usando la testa, quella che i frivoli abitanti di Copenhagen amano abbellire con acconciature alla moda, il Midtjylland poteva emergere. Con la testa, i capitali e un’idea rivoluzionaria: fare nel calcio (lo sport più imprevedibile del mondo secondo gli studi del Los Alamos National Laboratory, dato che le favorite vincono solo il 50% delle partite, mentre nella Nfl si arriva al 70%) quel che il mitico Billy Beane fece nel baseball americano con gli Oakland Athletics, in una esaltante avventura sportiva poi diventata un film con Brad Pitt (Moneyball). Ovvero vincere applicando modelli matematici e statistici.
L’uomo che sta dietro questa utopia è un inglese, Matthew Benham, diventato ricco dopo aver sbancato i bookies grazie al calcolo delle probabilità, come nel blackjack. E quale miglior modo di investire il denaro se non acquistare la propria squadra del cuore, il Brentford? Detto, fatto. Il Brentford si salva e viene pure promosso in Championship, ma a Benham la periferia di Londra va stretta. E poi nella City ha letto un libro, The gold-mine effect, che lo ha segnato. Parla della ricerca dei talenti sportivi “sommersi”, le pepite d’oro nascoste. Come quel Luís Nazario de Lima a cui il Flamengo si rifiutò perfino di pagare il biglietto del bus, tanto non ne valeva la pena… Quel libro lo ha scritto un trentenne danese che separa performance e potenziale, invita a guardare la storia e il carattere dei ragazzi al di là del risultato, spiega che le compagnie impiegano il 2% del tempo a reclutare personale e il 75% del tempo a correggere le scelte sbagliate. Lo ha scritto tale Rasmus Ankersen, che sfoggia riccioli da surfista e look da guru motivazionale alle convention, ma vanta un blog di successo, due best-seller all’attivo e consulenze per colossi come Lego, Ikea e Facebook. Un uomo che – parola del suo intervistatore olandese Michiel de Hoog – «in cinque minuti può snocciolare più idee geniali sul calcio di quante un dirigente medio ne possa collezionare in una vita».
La parte calda del tifo del Midtjylland
Affascinato da questo sciamano-pop star, Benham lo contatta, diventa suo amico e nel 2014 segue il suo consiglio. Perché non investire nel Midtjylland, dove Rasmus ha giocato da ragazzo? Un assegno da 6,2 milioni di sterline e i Lupi hanno una nuova coppia di domatori, che vogliono farne un’avanguardia del calcio ultramoderno: la prima squadra al mondo in grado di ridurre l’incidenza del caso nello sport dove il leitmotiv è «la palla è rotonda». Rationalising randomness diventa così la missione di Ankersen. Certo, il calciofilo medio scuote la testa scettico se qualcuno cerca di ridurre il suo gioco-religione a un’equazione. Non esiste studio di funzione in grado di illustrare la finale Milan-Liverpool di Istanbul o l’assedio fallito dall’Olanda contro l’Italia di Toldo a Euro 2000. Però il buonsenso e lo spettro della bancarotta («si tende sempre ad ascoltare chi ti può dare dei soldi») fiaccano presto la resistenza dei tifosi. E il metodo di Rasmus si impone gradualmente, che «l’elefante si mangia un boccone alla volta».
Per quanto indigesto, l’elefante alla fine risulterà però saporito, perché il razionalismo attecchisce bene dalle parti dell’MCH Arena. E il titolo di Danske Mestre ne è un indizio. Non una prova, come tiene a recitare uno dei tanti mantra di Ankersen: «Non pensate di essere bravi solo perché siete primi. Siamo bravi quando lo dice il nostro modello». Già, perché il successo spesso trasforma la semplice fortuna in genio, ma non qui. Qui «il modello comanda sulla classifica». Ma cos’è il Modello, questa entità metafisica e algebrica tenuta rigorosamente segreta ma onnipotente come l’Hal 9000 di 2001 Odissea nello spazio? Algoritmi, rilevamenti, incroci, statistiche: sono i KPI (Key Performance Indicators) che creano l’ingranaggio perfetto, il telaio sul quale operare i cambi all’intervallo (comunicati via sms al mister dagli osservatori), gli allenamenti specifici e le campagne acquisti mirate. Un approccio scientifico mutuato dal baseball, dove esistono 29 parametri solo per i battitori. Altro che le risicate statistiche del soccer Usa, che si limitano a sei voci (gol, assist, tiri, tiri in porta, gol decisivi e assist decisivi). È stato calcolato che in una partita si susseguono una media di 2.500 azioni: obiettivo del Modello è codificarle e sincronizzarle in un database e agire di conseguenza. Il risultato? Il Midtjylland finora ha il miglior attacco e vanta quasi un gol a partita su calcio piazzato, la media migliore d’Europa insieme all’Atlético Madrid. La matematica non è un’opinione.
Più opinabile in apparenza è invece la scelta dei giocatori, le famose “pepite d’oro”. Se si spulcia la rosa, oltre al costaricano Ureña, all’ex Arsenal Olsson e a meravigliosi talentini dell’Akademie come la rivelazione Pione Sisto, si ha di fronte un esercito di incognite. Una su tutte è Tim Sparv, l’«uomo senza statistiche». Centrocampista difensivo finlandese pescato in Germania al Greuther Furth, Sparv non eccelle nei recuperi o nei tackle, non ha mai segnato e coi cartellini gialli ci va a nozze. Eppure secondo il Modello il suo senso della posizione lo rende indispensabile, più del collega nigeriano Izunna, idolo della tifoseria. Del resto pure Paul Scholes, uno dei centrocampisti più forti della storia del Manchester United era asmatico e mezzo cieco: le vie della statistica sono infinite, ma tutte illuminate.
Pione Sisto, 20 anni, nato in Uganda ma cresciuto in Danimarca: è il giocatore di punta del vivaio del Midtjylland
Dunque è qui a Herning, al vertice di un campionato minore e in una città di 60mila abitanti, che il calcio sta entrando nel futuro. Trascinato come un bimbo capriccioso e scalciante nell’era dei Big Data, il football sta cambiando pelle e il Midtjylland FC è il pioniere perfetto di una inesorabile colonizzazione. Guardiola al Bayern ha fatto sapere che il settore della match analysis è la sua priorità; la MLS americana, Arsenal e Manchester City si rivolgono all’azienda Opta per il trattamento dati; Real Madrid e Chelsea scelgono Amisco. “E4talent” è un sito di scouting calcistico, “4scout” una app di nuova generazione. Ogni cifra – seppur nebulosa di per sé – è collezionabile e potenzialmente utile, anche se nel calcio non esiste una statistica risolutrice come l’on-base plus slugging nel baseball. Ma se il fatto che il numero di tocchi di palla sia proporzionale al ranking è solo una curiosità, dall’altro ci sono anche dati molto più utili. Come nel caso dei Seattle Sounders, che riescono a bloccare i registi delle squadre avversarie studiando la loro tendenza a preferire i passaggi a sinistra o a destra.
La rivoluzione però non è solo culturale, ma anche economica. «Se non possiamo superare gli avversari in spesa, lo faremo col pensiero» è un altro comandamento di Rasmus. Ed è la inevitabile conseguenza a lungo raggio della ristrutturazione morale e gestionale del calcio iniziata col Fair Play finanziario e la Profitability and Sustainable regulation della Premier League inglese. Cercare di azzerare il margine di errore e di perdita finanziaria e applicare sistemi da Nasdaq a un business finora considerato incline a mattane e umori, consentirà al calcio di trasformarsi in un settore goloso per gli investitori. Julian Dupont, dell’agenzia di rating Fitch, ne è certo. E prospetta un futuro in cui la vera battaglia non sarà per ingaggiare terzini e centravanti, bensì gli analisti più preparati e brillanti, in una sorta di olistica del calcio mercato. Il tutto avverrà lentamente ma ineluttabilmente, come nel principio della rana bollita, l’ultimo caposaldo di Ankersen. Se si getta una rana nell’acqua bollente, quella salterà fuori per salvarsi. Se la si immerge in acqua fredda e si scalda gradualmente, la rana non si accorgerà di nulla fino a quando non sarà troppo tardi. Ecco, il Midtjylland con il suo Modello sta alzando la temperatura. E il calcio prosegue a fuoco lento la sua cottura nel brodo affascinante e inumano dei Big Data.