Stadio • Sampdoria-Napoli e diversi modi di sbagliare

Live report da Marassi: gli errori di Barreto che condizionano Samp-Napoli, e quelli di uno spettatore genovese ma con il cuore altrove

Nella combinazione che è nata da quel lancio di dadi che comunemente chiamiamo vita, ovviamente intendo in quella che riguarda il sottoscritto, ci sono due cose che cambierei, due errori. Innanzitutto cambierei il mio anno di nascita, il 1994. Se fossi nato anche solo un anno prima o un anno dopo, probabilmente molto dei miei gusti calcistici cambierebbero: tifo Inter, ma forse non lo farei se a tre anni, un’età sensibile, non fossi stato travolto dal tir Ronaldo, arrivato a Milano dal Barcellona e nel mio portafoglio sotto forma di figurina, costringendomi a un amore che oggi ha sempre più le fattezze di un matrimonio consumato in cui io sono il marito intransigente ma che non fa nulla di propositivo ma sta seduto, grasso, sul divano con la tv accesa e i nerazzurri sono la moglie che ha perso ogni tipo di attrattiva e battibecca furiosamente con la pigra figura che il destino ha deciso di assegnarle, mentre si va avanti per inerzia. Senza quel rettangolino di carta, probabilmente, oggi, tiferei una delle due squadre della mia città: Genoa e/o Sampdoria. Il secondo errore riguarda proprio Genoa e Samp: cambierei, se potessi, la zona dove vivo, vicina sì a quel mare che se vedi ogni mattina diventa indispensabile per la sopravvivenza, ma lontano da quel calore di vita e colore che è il mare di gente con una sciarpa al collo che si dirige verso il Luigi Ferraris, in quell’incontro/scontro perenne che permea ogni minuto calcistico della Superba, la mia città.

Correa circondato (Getty Images)

Che il derby non finisca mai mi è chiaro fin da subito: come al solito mi riduco all’ultimo per recarmi allo stadio, così di fretta e affaccendato salgo al volo sul 17/, che mi condurrà fino alla stazione dove mi unirò al flusso costante di tifosi che migrano verso il loro seggiolino, sempre che faccia in tempo e arrivi prima delle 15. Così salgo, mi metto in piedi vicino all’autista e penso a cosa mi aspetta nelle prossime due ore, un po’ teso per dover raccontare una partita che vorrei sentire molto più di quel che sento, per quella sorta di triangolazione del derby, un derby di rimando, dovuto al gemellaggio tra Genoa e Napoli, la squadra che oggi verrà ospitata dalla Sampdoria. Le prime parole che sento sono quelle dell’autista, che borbotta qualcosa sulla squadra di Montella, accostando aggettivi poco eleganti come merda e affini. Sorrido, pensando a quanto debba essere faticoso per lui fare da Caronte a un nutrito numero di cugini. Fortunatamente mi smentisce subito, quando capisco che, senza alcuna preoccupazione, salterà ogni fermata dalla quale sbucherà un cappellino o una sciarpa blucerchiata, fregandosene dei propri doveri. Se non altro, questa sua selettività, mi consente di arrivare allo stadio con un discreto anticipo rispetto a quanto auspicato e sedermi in tempo per assistere all’annuncio delle formazioni.

Nel turbinio di emozioni contrastanti, che sono il cruccio e il dispiacere già citati, la tensione dovuta alla scrittura e un’altra serie di sentimenti negativi, si fa piano piano breccia quella che è l’emozione che più speravo affiorasse e che, onestamente, è il motivo primo per cui ho insistito e mi sono interessato per essere allo stadio: la sincera passione per Correa. Giusto 24 ore prima Facebook e la sua funzione on this day, quella dei ricordi per essere chiari, mi ricordava come fossero passati 365 giorni precisi da quando mi abbarbicai fin in cima alla strada che porta ai campi di Bogliasco per assistere alla presentazione di questo mio coetaneo argentino, che solo due anni prima avevo rischiato di veder vestire la maglia della squadra per cui tifo. Per sancire questo anno dal nostro primo incontro, mi siedo al mio posto, convincendo tutti quelli intorno a me che nulla e nessuno fermerà el Tucu, che questa è la sua partita. Io sono serissimo, intorno a me ridono, come se avessi fatto una bella battuta. Nessuno mi capisce, mogio rivolgo il mio sguardo alla partita. L’entusiasmo di Correa è probabilmente paragonabile al mio, lo vedo lanciarsi in coraggiose avventure solitarie, che lo portano addirittura a scartare i compagni di squadra, come succede con Cassano al sesto minuto (e succederà più volte nel corso dei 60’ in cui conviveranno nel rettangolo verde).

Indovina chi ha fatto gol (Getty Images)

Purtroppo l’entusiasmo, mio e del Tucu, viene brutalmente smorzato da un uno-due di errori incredibili di Barreto. Il numero dieci è giustificato, la sua squadra è sotto di due goal, è giusto che rabbia e tristezza pervadano il suo corpo, io un po’ meno, ma l’empatia innaturale di cui sono fornito mi rende cupo dinnanzi al fallimento duplice di Edgar, che di fatto regala due reti agli avversari, come se per Higuaín e Insigne non fosse già abbastanza facile mettere nero su bianco il loro predominio. Nel frattempo, chi non si ingrigisce sono le due curve, nonostante le mazzate non arrivino solo da Marassi, ma persino da Verona, dove Suso segna il vantaggio del Genoa. Silenzio, brividi e poi fischi. E penso all’ironia della sorte che in questo mercato ha portato Suso e Cerci da una parte, Álvarez e Dodô dall’altra, in una sorta di derby nel derby, dal quale i tifosi non si tirano di certo indietro.

Ancor prima che il pallone finisca in rete, le mie braccia sono già alte verso il cielo e il mio sguardo è attento alle mosse di chi mi sta intorno

Mi risveglio da questo mio viaggio nei duelli che potrebbero nascere in un clima medievale se davvero il prestare giocatori a una squadra volesse dire creare delle succursali in altre città, per poi a fine anno creare due gruppi incredibilmente numerosi pronti a sfidarsi in un campionato a parte, quando Carbonero riceve sulla destra, mette in mezzo, Éder fa il velo e il pallone finisce sui piedi di Correa. Ancor prima che il pallone finisca in rete, le mie braccia sono già alte verso il cielo e il mio sguardo è attento alle mosse di chi mi sta intorno, di chi prima rideva e ora esulta, quasi come avessi segnato io e mi aspettassi i complimenti.

Quando l’arbitro fischia due volte, decido di fare un giro in quel mondo che mi ha ospitato per due stagioni qualche anno fa e che non rivedevo più da allora. Le facce sono sempre le stesse, mi accorgo, come allora non tutte riesco a ricondurle a testate o nomi, ma con alcuni di loro mi sorrido, poi proseguo oltre, come se fosse semplicemente una domenica che non mi presento. Con i colleghi che fuori dallo stadio sono amici, mi fermo a scambiare due battute, ad alcuni di loro racconto cosa dovrò scrivere a altri di come sia emozionato perché, oltre al goal di Correa, sembra rivedrò dal vivo un altro mio pupillo Ricky Álvarez, che è pronto a esordire. E quando l’ultimo a cui rivelo questa mia trepidante attesa interiore mi risponde «C’è anche una certa somiglianza», rido e dentro di me mi immagino quanto potrebbe essere bello essere davvero Ricky Maravilla.

GENOA, ITALY - JANUARY 24: Gonzalo Higuain of Napoli and Emiliano Viviano of Sampdoria during the Serie A match between UC Sampdoria and SSC Napoli at Stadio Luigi Ferraris on January 24, 2016 in Genoa, Italy. (Photo by Getty Images/Getty Images)
Higuaín e Viviano (Getty Images)

Il secondo tempo è stranamente meno intenso, forse per le troppe emozioni del primo: per cui non mi godo appieno le due magie, molto simili, di Hamsik e Mertens, mentre ricordo meglio la pennellata del numero 25 neoacquisto blucerchiato sulla testa di Éder, per quel temporaneo 2 a 3 che intorno a me aveva creato non poche speranze, nonostante l’uomo in meno. Un altro pensiero fisso è controllare sui computer dei vicini il risultato di Inter-Carpi: per godermi al meglio la partita ho lasciato il computer a casa e ho finito il credito del telefono durante il tragitto casa-stadio. E mentre tutto sembra essere andato per il meglio, almeno per me, che ho visto il goal di Correa, l’esordio di Álvarez e la mia squadra vincere a 150 chilometri da qui, il tabellone dello stadio emette un segnale acustico che mi fa volare il cuore in gola e mentre lo sponsor si dissolve per fare spazio al risultato aggiornato al goal di Lasagna, Ricky Maravilla sbaglia un controllo, malamente.

Affranto, mi alzo, raccolgo i miei fogli e mi allontano, mesto. Io che volevo essere Ricky Maravilla, alla fine, non mi godrò per nulla questa giornata. Volevo essere Álvarez ma esco da Marassi con addosso i panni di Barreto: se lui con due errori ha condizionato una partita, io con altri due errori mi sono giocato l’amore verso uno sport e la gioia pomeridiana.