In una bella intervista a Fernando Cavenaghi per Planeta Gol, nel 2014, un programma argentino condotto da Pablo González, vediamo l’attaccante intento a mostrare il proprio braccio tatuato all’interno del Monumental, quell’Antonio Vespucio Liberti, casa del River, di cui el Torito è stato eroe in più momenti. C’è un attimo in cui González, in una boutade scarsamente riuscita, si domanda se quello sia realmente il Monumental, quasi si sentisse insicuro di fronte alla grandeur di cui è intriso il luogo in cui si trovano. Tale è la bellezza del posto che fa dubitare il conduttore della sua posizione, della sua effettiva presenza in quello spazio e in quel momento. I dubbi vengono fugati dall’apparizione di quel simulacro della figura di Cristo rappresentato dal fisionomia di Cavenaghi. I capelli lunghi fino alle spalle, la barba leggermente incolta, il volto che si mostra sorridente mentre gli occhi restituiscono una lieve malinconia.
La prima cosa che González gli chiede, prima ancora di una domanda sull’uomo o il calciatore, è di mostragli un braccio. Il braccio sinistro di Cavenaghi è l’emanazione più sincera di entrambe le figure, l’uomo e lo sportivo rappresentati dalle lunghe tracce d’inchiostro che gli coprono la pelle: c’è il Monumental, che il giornalista scherzando chiama La Bombonera, con un accenno di blasfemia, c’è il vino che richiama i filari e i vigneron che appartengono a Bordeaux, e c’è Mosca. Cavenaghi prende in seguito a elencare i luoghi che mancano all’appello – la maggioranza dei posti in cui ha giocato – ma giustifica tale mancanza con la povertà di elementi caratteristici delle città di cui si parla. In realtà potremmo credere, con uno sforzo nemmeno troppo ardito, che Fernando abbia sul proprio corpo solo ricordi dei posti in cui si è sentito realmente a casa, quelli in cui ha espresso il meglio del suo essere moltiplicatore di gol e di bellezze calcistiche. È bello notare il gusto estetico con cui ha scelto quei tatuaggi un po’ naïf che gli coprono metà del braccio, restituendo una cartolina che lo presenta quasi più simile a una rock star imbolsita dagli anni che come un calciatore ancora in attività (l’intervista è del 2014, anno in cui è tornato al River Plate per la terza volta). Per tutta l’intervista Fernando sorride come fosse la persona più affabile del mondo, l’amico con cui vorresti uscire tutte le sere a bere una birra lungo i carritos de la Costanera. L’amico che a notte fonda ti propone qualcosa di folle a cui difficilmente puoi dire di no, soprattutto se ha il viso sorridente di un Gesù nato nella provincia di Buenos Aires.
La carriera di Fernando Cavenaghi si dipana su tre grandi linee narrative, snodi centrali a cui si legano una serie di sottotesti secondari, ogni storia ha il nome di una città. Quella principale si chiama River Plate ed è uno di quei racconti di amore ciclico, che pur nella cerchia di cliché sentiti e risentiti, comincia e finisce, inizia per concludersi e ritornare prepotente. Ancora oggi, dopo il terzo addio ai Millionarios, i tifosi del River gli dedicano video salutandolo con un arrivederci e una speranza di ritorno. Nonostante abbia sempre dovuto combattere con i soprannomi ridicoli come El Gordito Culón, Cavenaghi ha conservato la naïveté propria di chi è avulso alla vita della grande città.
A Buenos Aires Cavenaghi è più di un simbolo, è il capitano che ha alzato l’ultima Libertadores del club dopo essere risaliti dalla B, la stessa B in cui era tornato dopo il periodo infelice tra Maiorca e Internacional de Porto Alegre, per portare il suo River nuovamente ai livelli che gli competono; è lo stesso calciatore che appena diciassettenne esordisce con la maglia dei Millionarios uscendo dal settore giovanile. Nel 1996 Galdino Luraschi, il tecnico delle giovanili, lo vede in una serie di test organizzati nella città di Chivilcoy (se avete visto El secreto de sus ojos il nome vi dirà qualcosa), lo chiama per un provino al River, Fernando realizza due reti che gli valgono la conferma nell’academy. Si sta già trasformando in goleador a quemarropa, a bruciapelo, tanto che a sedici anni è già pronto per allenarsi con la prima squadra.
L’undici febbraio del 2001, ad appena 17 anni e quattro mesi, debutta ufficialmente con il River allenato da el tolo Gallego, un vittorioso 6 a 2 sull’Esudiantes. Segna la sua prima rete alla settima giornata del torneo nella vittoria per 3 a 2 sull’Argentinos Juniors. Ma è la stagione seguente quella in cui Fernando si afferma in tutta la sua angelica potenza: con l’arrivo di Ramón Díaz in panchina, diventa prima il miglior marcatore della sub.19 vincitrice della Copa Chivas in Messico, mentre pochi mesi più tardi riesce a laurearsi campione di un torneo di Primera División con la vittoria del Clausura 2002. Con 15 reti Cavenaghi è anche il miglior marcatore del torneo.
Il primo ciclo di Cavenaghi al River è impressionante. Realizza cinquantacinque reti in novanta partite, vince tre Clausura di fila, partecipando a uno dei percorsi più vincenti della storia recente del River. In una foto d’antan si notano Cavenaghi con degli improbabili capelli verdi, Cambiasso con dei capelli cortissimi e biondo platino, così come biondi sono D’Alessandro e De Michelis. Sono gli anni in cui vince il titolo di miglior marcatore del Sudamericano under-20, una delle poche soddisfazioni di Cavenaghi in maglia albiceleste.
Cavenaghi decide la sfida più importante di quel Clausura, con un destro da fuori area al Gimnasia La Plata
Le stagioni impressionati in Argentina lo portano prima in Russia allo Spartak Mosca e poi a Bordeaux. Nella prima esperienza i numeri rispecchiano una mediocrità inedita e lontana dal Cavenaghi visto in patria: nell’intervista a Planeta Gol racconta di quando calcolò in che momento prendere il quinto giallo per saltare una trasferta aerea di nove ore che a tutti i costi voleva evitare. Dal 2004 al 2007 in Russia realizza solo 12 reti, mentre l’avventura francese è tutt’altra storia: a Bordeaux Cavenaghi trova il luogo in cui esprimersi al meglio, uno dei periodi più felici della sua carriera, vince una campionato francese, 2 Coppe di lega e due Supercoppe. È l’annata in cui si mostra per quello che è realmente, uno dei migliori marcatori dell’anno, che lungo le strade che affacciano sul porto di Bordeaux sente un’aria limpida che deve ricordargli quella di casa. In Francia appare come un gigante che si confronta con un nugolo di avversari minuscoli, gli altri quasi sembrano scomparire quando c’è lui in giro. È l’anno in cui si sposa e in cui fa sfoggio di tutto il suo potenziale: segna d’esterno sul portiere in uscita, di testa girando in rete una punizione battuta da Gourcuff, più volte realizza mettendo in porta dei palloni alieni che sembrano destinati all’oblio. Sono gli anni in cui la struttura fisica di Fernando gli permette di fare ciò che vuole.
Minuto 4:45: stop di petto e tiro al volo dai trenta metri. Sono gli anni in cui Cavenaghi può tutto
Il dopo Bordeaux è qualcosa di traumatico, come la fine di una storia a cui ci si consegna completamente e ti tradisce sul più bello. Tra Maiorca e Internacional raccoglie una serie di delusioni che non fanno altro che accrescere la nostalgia per l’Argentina. Torna in patria per riportare il River in Primera, con lui c’è el Chori Dominguez e c’è Almeyda in panchina, el Torito è capitano, capocannoniere e leader indiscusso. Riporta i Millionarios nella massima serie realizzando diciannove reti, lasciato andare poi come uno qualsiasi. Il passo successivo è provarci ancora in Spagna, perché il fallimento non è contemplato nella testa di chi dovrebbe essere un predestinato, ma anche al Villarreal il massimo che ottiene sono una rete sfavillante contro il Real e una rete di tacco in Coppa contro l’Alcorcón AD – gara in cui si esibisce in un passaggio di rabona che solo chi ha l’indole del fenomeno può pensare. Per riprendere a vincere, però, deve volver, tornare, nuovamente al River, sulla cui panchina siede stavolta el muñeco Gallardo. Tra il 2014 e il 2015 vince un torneo Clausura, una Coppa Sudamericana, una Recopa e una Libertadores, tutte alzate da capitano.
Il River si laurea campione di Libertadores battendo per 3 a 0 il Tigres.
Verrebbe da domandarsi come mai un calciatore dall’aspetto e l’approccio umile, nonché un’abnegazione unica, abbia raccolto relativamente poco rispetto a quanto previsto. Un tanque dalla tecnica magniloquente che è andato a chiudere la propria carriera a Cipro, lontano dai riflettori e dalla gloria. Tanto per quella è già tutto scritto, a Cavenaghi sarà riservato un posto nell’Olimpo del River Plate, e per Fernando pare essere l’unica cosa importante, essere l’interminable y notable Cavenaghi.