Enemigos

Gerard Piqué e Sergio Ramos sono i simboli della rivalità tra Barcellona e Real Madrid, anche fuori dal campo. Senza, i loro club non avrebbero vinto così tanto.

C’è un aspetto che si tende a dare per scontato della generazione d’oro spagnola che ha portato al primo Mondiale in Sudafrica (2010), schiacciato tra due Europei (2008, 2012), e al parziale dominio dei club spagnoli (quattro delle ultime sette Champions League, e quattro delle ultime sette Europa League sono andate in Spagna). E quell’aspetto è la qualità eccezionale della difesa che ha permesso la fioritura di uno stile tanto appagante sul piano estetico quanto efficace. Cosa è contato di più per il Barça di Guardiola, il controllo al velcro di Xavi o i recuperi in velocità di Puyol? Per il gioco di possesso della Nazionale di Del Bosque, arrivato all’apogeo nell’Europeo 2012 vinto subendo solo un gol in tutto il torneo, è stata più decisiva la coppia di centrali formata da Ramos e Piqué, o l’invenzione di Fábregas falso-centravanti?

Ma la discrezione era un tratto distintivo di Puyol, che veniva dalla generazione precedente alle vittorie nazionali e ha attraversato il calcio con umiltà, uscendo dalla porta riservata ai maestri: insuperabile negli uno contro uno, splendido lettore del gioco avversario, una maschera di ricci e rughe da cui non è mai filtrato narcisismo. Ramos e Piqué, invece, sono protagonisti dentro e fuori dal campo, è impossibile non notarli e sono spesso decisivi. Eppure, difficilmente i lettori di questo pezzo sarebbero d’accordo nel riconoscergli gli stessi meriti di Iniesta o Xabi Alonso.

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È il contrappasso per essere cresciuti difensori in mezzo ad alcuni tra i migliori centrocampisti di sempre, ma forse è anche la loro dimensione extra-calcistica a metterne in ombra il valore. Quella dimensione che li ha portati a simboleggiare la rivalità tra Madrid e Barcellona – più di Puyol ma anche di Raúl González Blanco, che recentemente ha detto di essere stato felice quando il Barça ha vinto la Champions League contro la Juventus.

Rivalità

Il prossimo Europeo sarà la terza competizione internazionale che Ramos e Piqué affronteranno insieme. Ci arrivano con Piqué coperto di fischi a Oviedo nella partita con la Slovacchia. Ci arrivano con Ramos che dopo aver difeso il compagno ha specificato che i suoi ultimi comportamenti (tipo incitare i propri compagni dopo la vittoria della Supercoppa dicendo «Che si fotta il Madrid», con le telecamere vicine; o trollarli su Twitter quando hanno schierato Cheryshev in Copa del Rey anche se squalificato…) non aiutano a distendere l’atmosfera. Da parte sua, nella conferenza stampa in cui ha parlato dei fischi dei tifosi, Piqué ha detto di non pentirsi: «Lo rifarei mille volte. Voglio che il Real perda, sempre».

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Del problema della convivenza tra i giocatori dei due club più importanti se ne parlava anche prima dell’Europeo del 2012. Quel contesto, anzi, era forse peggiore di quello odierno, con Mourinho che aveva esasperato il conflitto e i capitani Xavi e Casillas che cercavano di riassemblare i pezzi. Il quotidiano madridista As alla vigilia della finale li aveva riuniti in prima pagina dietro una sciarpa della Roja, l’equivalente con le dovute proporzioni della stretta di mano tra Rabin e Arafat a Oslo. Ramos ricorda: «Ho preso Piqué e abbiamo parlato: Smettiamola di fare i bambini, smettiamola di comportarci in modo così poco intelligente e professionale. Smettiamola. Tutti e due».

Soprannaturale y subnormal

Sergio Ramos è originario di Camas, un paese di venticinquemila anime in Andalusia, cosa che ha contribuito, insieme ai capelli lunghi tenuti all’indietro dall’elastico, alla fama di giocatore non intelligente. O, per usare una parola orribile che in Spagna usano spesso (anche per Messi e per Iniesta, per dire): subnormal. Il giorno della sua presentazione a Madrid, Ramos si piega sul microfono anziché alzare l’asta, come fa il presidente Florentino Pérez per aiutarlo, finendo per renderne più palese la figuraccia. La rivalità merengues/blaugrana non ha fatto che estremizzare le cose: al primo clásico di Mourinho (stagione 2010/11, il Madrid arrivava imbattutto da diciannove gare) sul punteggio di 5-0 per il Barcellona, a partita praticamente finita, Ramos calcia Messi sul ginocchio con violenza senza neanche guardare la palla, e quando arriva Puyol di corsa Sergio gli mette una mano sul collo. Ramos con il record di cartellini rossi (19) nella storia del Madrid, Ramos che nel 2011 fa cadere la Copa del Rey sotto le ruote del pullman scoperto su cui stava festeggiando con i compagni. E così via.

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Ma, anche, Ramos che Ancelotti paragona a Maldini; Ramos il coraggioso, che festeggia le vittorie con il drappo rosa da torero in campo. Nel 2012 aveva sbagliato un rigore in semifinale di Champions, contro il Bayern di Monaco, spedendo la palla così alta che i meme la facevano arrivare sulla luna. Appena tornato a casa, racconta lui, ha detto al fratello che al rigore seguente avrebbe fatto il cucchiaio: «Vedrai, li azzittisco tutti». E quando, pochi mesi dopo, l’occasione gli capita in semifinale dell’Europeo contro il Portogallo (al termine dell’unica partita del torneo in cui la Spagna non ha strameritato di vincere) Sergio mantiene la promessa fatta al fratello. Quella stessa voglia di essere decisivo che nel 2014 gli ha fatto segnare due gol in semifinale contro il Bayern di Monaco, e poi il gol del pareggio in finale contro l’Atletico Madrid nel terzo minuto di recupero (con Godín, un altro grande centrale contemporaneo, che lo perde nel traffico dell’area, troppo agile Ramos) vincendo la Decima da Man of The Match.

Figlio di papà y cocco di mamma y bello di nonno

Piqué ha avuto il problema opposto di Ramos. Nipote di un ex vicepresidente del Barça, socio dal giorno della sua nascita, figlio di un avvocato e della direttrice di una clinica, dotato oltre la norma sia tecnicamente che fisicamente. Piqué non è adatto alla retorica sportiva degli ostacoli da superare, del continuo miglioramento. A Piqué è bastato essere se stesso: tornare a Barcellona nel 2008 dopo l’Erasmus al Manchester United, segnare il gol del 6-0 alla sua prima volta al Santiago Bernabéu contro il Real Madrid e subito dopo vincere il treble Champions League, Liga e Copa del Rey (il suo primo: il secondo lo ha vinto l’anno appena passato). Due anni dopo i giornali catalani lo chiamavano “Piquenbauer” e Fernando Hierro, ex centrale di difesa e leggenda madridista, diceva che rispetto a lui, Piqué, aveva più qualità. «Sono un uomo felice», ha detto qualche settimana fa nel bel mezzo delle polemiche: «Ieri sono andato a raccogliere funghi».

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La sua leggerezza (a differenza di Xavi e Guardiola si è sempre espresso solo in favore della libertà di voto e non direttamente dell’indipendenza catalana), l’egocentrismo con cui durante il clásico dello scorso novembre, sul 4-0 per il Barça, si spinge in attacco per segnare, che diventa arroganza quando insulta guardalinee e la polizia municipale (dopo aver preso una multa per divieto di sosta) il contrasto tra la facilità con cui domina in campo e guida i compagni e quella specie di pagliaccio ricco fuori dal rettangolo verde, è questo che allontana Piqué dalla gente, persino dai tifosi non del Real Madrid.

Quale finale

Sergio Ramos ha appena compiuto 30 anni, Gerard Piqué lo farà a febbraio 2017: il prossimo Europeo potrebbe essere quello della definitiva consacrazione. Va cancellata l’onta del Mondiale brasiliano, il 5-1 dell’Olanda, il secondo gol di Robben che li ha ridicolizzati entrambi. Ma dovranno mettere da parte ogni conflitto per tornare a completarsi a vicenda come nel 2012, quando l’esplosività sovrannaturale di Ramos si univa alla lettura del gioco di Piqué e le qualità dell’uno compensavano i limiti dell’altro (che poi per entrambi si tratta di difendere il più lontano possibile dalla propria area di rigore). Lo scorso settembre As li ha fotografati insieme proprio come nel 2012. E sono sempre valide le parole che Ramos ha rivolto a Piqué in quell’occasione: «Siamo due grandi giocatori, ma tu non farai un grande torneo senza il mio aiuto, né io senza il tuo».

Tratto dal numero 8 di Undici. Nell’immagine in evidenza,  Sergio Ramos segna sovrastando Gerard Piqué durante un Clásico del 2013. (Jasper Juinen/Getty Images)