Non ti basteranno le doti, l’impegno o il rendimento. A poco servirà la tua spiccata propensione all’acrobazia, o la tua innata capacità di far salire la squadra proteggendo il pallone. Non ti basterà il mancino esplosivo, né la spallata prorompente: il bilancio della tua carriera, se sei Marco Borriello, verrà inficiato – come accade ormai da circa un decennio – da alcuni fatti extra-calcistici che renderanno il tuo essere centravanti un dato del tutto secondario.
Dovrai anzi, in quanto Borriello, faticare più degli altri per far apprezzare il tuo gioco e non farti ridurre allo Zoolander di San Giovanni a Teduccio. Con il vantaggio, ormai prossimo all’età del Nazzareno, di avere sviluppato una confidenza con la tua gogna talmente elevata da averla resa un finto problema. Diventando, per scelta o per necessità, un perfetto centravanti di provincia, prima che sia troppo tardi.
L’iter è più o meno uno standard, sperimentabile in un qualunque bar popolato da medi conoscitori di pallone: i più virtuosi ricorderanno non tanto la Rodriguez, quanto le sue pomate e la squalifica; le malelingue riusciranno, con un colpo di reni, a fare i nomi di Nina Senicar e Camila Morais. Ancora, gli haters faranno in tempo, dopo il caffè, a catalogarlo come “il fratello di quello che aveva vinto Campioni”. Gli intellettuali della situazione ricorderanno la sparata contro Saviano, in cui Borriello rese noto alla stampa di aver perso il padre per un intervento diretto dei Casalesi.
Superato tutto questo, si potrà iniziare a parlare di pallone. Di come l’ormai quindicennale cursus honorum di Borriello tra i professionisti sembri una versione, “sintetizzata” e su altra scala, delle avventure di alcuni grandi centravanti dei Novanta, di cui racchiude in sé precise caratteristiche fondanti: il nomadismo bomberiano alla Christian Vieri; i numeri ingiusti, alla Casiraghi; certi passaggi a vuoto del peggior Montella, o del primo Ravanelli (per non scomodare i Muzzi o i Rizzitelli). La sua parabola, da cui attendersi non certo un finale pirotecnico ma solo una chiusa dignitosa, ha appena toccato e superato i cento gol ufficiali: ripercorrerla è dunque il minimo, cercando di individuarne momenti salienti, exploit e costanti.
2001-2007: La gavetta
Trattandosi di un giovane attaccante del vivaio del Milan, gli esordi del giovane Borriello sono tutt’altro che semplici. Questo per due ben noti motivi, che hanno caratterizzato l’intero corso dell’era-Berlusconi: 1) la fortissima concorrenza nel reparto offensivo (in fatto di sovrabbondanza, si dovrà ricordare che – in ordine alfabetico – il Borriello degli inizi ha davanti Inzaghi, Rivaldo, Shevchenko e Tomasson); 2) la proverbiale mancanza di fiducia della casa madre per le punte della propria Primavera (Zigoni, Beretta e Paloschi potranno confermare, non senza aver prima interpellato Simone Andrea Ganz e tutta la famiglia Aubameyang). Lo scenario si ripete tre volte, tra corsi e ricorsi: nel 2002/03, anno dei primi minuti ufficiali in rossonero, impreziositi da un golletto in Coppa Italia; nell’agrodolce 2003/04, in cui, per una volta, il ragazzo si evita il tipico prestito di gennaio e la bacheca si arricchisce di scudetto e Supercoppa Uefa, ma gli spezzoni, in tutta la stagione, sono più o meno una decina; nell’irripetibile 2006/07, ovvero “la rivincita”, in cui un Borriello scalpitante riesce a perdere – per presunto doping – il posto che si stava guadagnando in una rotazione cortissima, un Milan senza punte vince in Europa grazie alla sola esperienza nel settore e Ronaldo, quello vero, è escluso dalla lista Champions per averci già giocato con il Real e di fatto non può dichiarare la vittoria della grande Coppa.
Né le esperienze in prestito possono dirsi particolarmente brillanti, complice quella sorta di handicap anagrafico tutto milanista per cui, se a diciassette non hai ancora esordito con i grandi, il tuo destino rischia pericolosamente di sprofondare nelle serie minori. Dunque a diciannove ti devi accontentare della quarta categoria nazionale – e di una piazza decaduta come Trieste, in cui restano solo uno stadio dal nome nostalgico e le saltuarie prodezze di un Godeas – per mettere a segno la tua prima rete da professionista e sancire, con la seconda, la promozione in C1. A venti ti mandano a Treviso, a raggiungere una doppia cifra che avrebbe ben altro valore se non fosse, per l’appunto, un’annata di C1. E, come non bastasse, a Treviso sei costretto a ritornare, quattro anni dopo, perché proprio non riesci a ingranare: questo, almeno, è quello che dicono le esperienze di Borriello tra Empoli, Reggina e Sampdoria (58 presenze e 6 marcature in totale), benché in Under 21 lo score fosse stato tutt’altro che da buttare (sempre 6 gol, ma in 12 apparizioni). Passi per il buon bottino di cinque gol in A: la realtà dice che a ventiquattro anni Borriello non che è il titolare dell’ultima in classifica, costretto a dialogare con i Pinga e i Reginaldo.
Skills
2007-2013: L’esplosione e l’apice
Non stupisce che ad accaparrarsi le prestazioni dell’ex-prospetto delle giovanili del Milan (in prestito, per non sbagliare) sia una neopromossa: è il Genoa di Preziosi, appena risorto dall’affaire-Maldonado. Ebbene, mister Gasperini, come sempre privo di punte (poco o nulla contava quel Figueroa; Di Vaio e Papa Waigo non pervenuti, se non per la strategica eliminazione preventiva dalla Coppa Italia), piazza al centro dell’attacco Marco Borriello. Per il quale si può anche tirare in ballo il classico senso di rivalsa, come pure la fame o il – sacrosanto – revanscismo: a conti fatti, è il centravanti giusto al momento giusto; la miglior “boa” possibile all’interno di un sistema perfettamente pensato per lui, tra uno Sculli da primato e un Marco Rossi commovente.
A furia di sponde, triplette e incornate, il Borriello del 2007/08 si guadagna la Nazionale: è la volta di Donadoni, che digerite le follie di Spinelli lo porta con sé in “Austria e Svizzera”, all’interno di una tornata di convocazioni a dir poco perfetta, al termine della quale sarà solo un rigore di Di Natale a farci gridare al miracolo. La tifoseria italiota, sia pure per un brevissimo periodo, riesce a non pensare a Lippi, mentre Borriello spazza via, in una solo annata, la scomoda nomea di bomber mancato. Sfiora anche la vittoria in classifica cannonieri, se non fosse per gli altrettanto affamati – perché anch’essi neopromossi, come il Genoa – Del Piero e Trezeguet, che lo superano a pochissime giornate dal termine.
Uno splendido anno al Genoa
Non solo: il Borriello del 2007/08 si riguadagna anche il Milan, che decide di tenerlo in rosa per la stagione seguente. E poco importa se per tutto il 2008/09 il giocatore resta fuori per una sequela di infortuni: ormai riscoperto, non può più nascondersi. Tanto che per l’anno successivo decidono, con buona pace di Huntelaar, che sarà proprio Borriello a essere servito e riverito da un ballerino brasiliano che, seppur rallentato rispetto ai tempi del Barcellona pre-Messi, ha ancora un’ancheggiante finta a rientrare che metterebbe in condizione di segnare i suddetti Godeas e Reginaldo. Ronaldinho assolve a pieno il proprio compito e gratifica il collega a più riprese: è il miglior Borriello di sempre – o quasi – quello che chiude la stagione a 14, cui va aggiunto il gol al Marsiglia nel girone di Coppa. L’attaccante, ormai maturo, si consacra a giocatore degno di una grande, ideale anche per arrivare in Europa e, possibilmente, per restarci. Tutto bellissimo, un idillio. Se non fosse che il Milan di Leonardo e Borriello rappresenta più che mai un momento di transizione, destinato com’è a far posto al tandem Allegri – Ibrahimovic, assemblato ad hoc per vincere uno scudetto facile facile, ravvivare la vacillante fiducia di una tifoseria da troppo tempo perplessa e rendere servigio a una campagna elettorale potenzialmente compromessa.
È così che il Milan di capitan Ambrosini arriva a privarsi della punta, che viene spedita a Roma, finalmente a titolo definitivo. È la Roma del cambio Ranieri – Montella, che rischia per un anno intero di mancare l’Europa League, complice la sbornia da scudetto sfiorato dell’anno appena trascorso, salvo poi dover ringraziare – a traguardo raggiunto – il nuovo allenatore ad interim, il suo entusiasmo e le congiunture astrali. Senza mezzi termini, quello che si affianca a Vucinic o Menez è davvero il miglior Borriello mai visto: ormai padrone del proprio campionario, è un bomber che segna in tutte le maniere e in tutte le competizioni. Quattro gol in Champions, due in Coppa Italia, undici in Serie A: la flessione – innegabile – del girone di ritorno (2 sole reti) si deve, in prima istanza, al problema che ha assillato l’attacco della Roma nelle ultime cinque stagioni. Problema che ha ormai quarant’anni, e al quale si chiede (qui, davvero, più che a Borriello) di uscire di scena nel modo più dignitoso possibile. Se Francesco Totti si è portato a così poca distanza da Piola, il merito è senz’altro di Totti, come pure delle re-invenzioni di cui, tra Zeman e Garcia, è stato oggetto: resta, però, il fatto che più di un centravanti è stato penalizzato dalle sue bizze. Prima di Destro, prima di Osvaldo, questo è successo a Marco Borriello. Il quale, si può esserne certi, si sarebbe volentieri evitato di diventare un oggetto misterioso in tutti i suoi rientri in giallorosso (e di perdere per sempre la Nazionale, lasciata con zero gol all’attivo).
Borrielo e la Roma, amore e odio
Un merito, di quel Borriello, è fiutare l’occasione e accettare di ridursi a gregario nella Juventus di Conte, per andare a subentrare nei minuti decisivi e mettere tutti in riga con spezzoni magistrali. Il premio, lo scudetto, non è che il coronamento del nuovo corso di un atleta arrivato al proprio apice e inspiegabilmente scaricato dalle grandi che lo avevano preceduto. Forse proprio questo ha sancito la dimensione ideale della punta: non il faro di una big, ma al massimo un gregario. Con tutto, o quasi, da poter dare a una medio-piccola. Il Genoa-bis, l’anno seguente, non fa che confermare il sentore. Dodici gol in ventotto partite, per uno 0.5 a gara che appare quasi scontato. Il suo cartellino, però, è ancora della A.S. Roma.
2013-2016: L’instabilità
In ventitré (!) cambi di maglia, le squadre girate da Borriello sono state in realtà la metà: tra ritorni alla casa madre e prestiti, ha militato in dodici diverse società. Si è visto, in particolare, come in quattro di queste sia finito per tornare più volte, godendo dei più diversi status. In questo senso gli ultimi tre anni sono stati un condensato, piuttosto ingeneroso, del percorso calcistico di questo ariete, apparentemente condannato all’instabilità.
Il 2013/14 è stato un anno indecifrabile, diviso in due metà che hanno fatto storia a sé. La prima fase, quella dell’euforia dovuta alle strisce di vittorie di Garcia, ha visto Borriello risalire piano piano le gerarchie di un parco-attaccanti in cui era l’ultima scelta, alle spalle di Gervinho, Lamela, Destro, Totti e Ljajić. Alla decima, per fare un esempio, solo una sua zampata permette a Garcia di fare il 10/10 e battere il Chievo, per poi iniziare a pareggiarle tutte per un mese intero. Giusto il tempo per dare alla società, ancora una volta, il tempo di privarsene.
Arriva la Premier, un campionato dove i centravanti, se impiegati al meglio, hanno ancora motivo di esistere e dire la loro. Londra, il West Ham, dei colleghi come il già decaduto Carlton Cole e il già decadente Carroll. Nolan – 7 gol – il top scorer del team. Nonostante la scarna concorrenza, Borriello non decolla e gioca appena due volte, per pochi minuti totali. Oltremanica, Borriello sembra un po’ Montella al Fulham, Baiano al Derby County, Mancini al Leicester. Il West Ham finisce tredicesimo, e si torna a Roma con la coda tra le gambe.
Il 2014/15 è invece l’annus horribilis. Metà stagione a Roma, da separato in casa, senza mai entrare. Metà stagione al Genoa, capitolo terzo. Otto presenze, zero reti e un declino che sembra inesorabile. Nuovi tatuaggi sugli avambracci, nuove foto estive che rimpolpano rotocalchi in crisi.
Il 2015-2016, la stagione in corso, parte con premesse piuttosto vaghe. La campagna acquisti del sorprendente Carpi non sembra poi così male (meglio, dicono tutti, di quella del Frosinone), per quanti i propositi di salvezza della società non siano chiarissimi, come pure le aspettative complessive. L’ingaggio di Borriello è accolto con scetticismo, non fosse altro per le battute sul suo essere (o non essere) un fotomodello: vuoi per i poco convincenti proclami della vigilia, vuoi per i nessi tra il patron degli emiliani e il jeans, vuoi per lo scarso rendimento della punta nella storia recente. Se il traguardo delle dodici reti non è stato raggiunto, ciò si può imputare in parte alla squadra assemblata dallo staff carpigiano: lì davanti, più o meno da solo (ci scusi Matos), Borriello è riuscito a mettere quattro gol e a farne fare altrettanti in appena dodici uscite. Contando la Coppa, il bilancio presenze reti è, comunque, un dignitoso 14 / 5. La sua cessione all’Atalanta, nella sessione d’inverno, è presa come una dichiarazione d’intenti: salvo miracoli, sembrano dire, il Carpi scenderà. I tifosi, privati di un’ancora di salvezza, non possono prenderla bene. Il giocatore, dal canto suo, accetta la nuova avventura, andando, con Diamanti, ad affiancarsi a Pinilla, compensando nei fatti un’altra cessione incomprensibile — quella di Moralez al Leon – ed evitando a se stesso il rischio (ma ora occhio ai carpigiani!) di una retrocessione ottenuta sul campo.
L’ultimo exploit di Marco Borriello
All’esperienza in Emilia, Borriello deve parecchio. Deve forse l’essersi riscoperto cannoniere efficace, oltre all’aver dimostrato a se stesso di essere ancora un giocatore con qualcosa da offrire. Deve quel poco di costanza ritrovata dopo un triennio senza luce, o la sensazione (inedita, a parte i trascorsi con il Gasp) di trovarsi in una squadra cucita su misura per lui fin dall’inizio. Deve quei numeri di maglia così suggestivi, che riprendono il font della Premier in modo tanto romantico. D’altra parte, forse, “romantico” è lo stesso giocatore: solo poche settimane fa, incrociando il “suo” Carpi, è sembrato non resistere alla tentazione. Prima ha cercato un’autorete di testa, senza successo; poi, con una spintarella, ai suoi ex compagni ha addirittura procurato un rigore.
E questo sabato, nel dopo-partita, Borriello ha dato prova di essere pure un gentiluomo. Aveva giusto timbrato il cartellino due volte, servendo pure un assist: erano le sue prime reti da atalantino; era, di diritto, un momento tutto suo. Eppure, per forza di eventi, non potevano fare a meno di interpellarlo sul “caso-Totti”: lui, da signore, non solo ha rimosso all’istante il gol che ha vanificato la straordinaria rimonta atalantina, ma ha addirittura omaggiato l’ex compagno chiedendone il rinnovo.
Queste sono solo alcune delle cose che possono succederti, nel campionario delle possibilità di una vita alla Marco Borriello. Ma forse, ora che sei in provincia, puoi addirittura sperare che parlino dei tuoi gol, e non delle tue donne. Del tuo sinistro, del tuo tempismo negli inserimenti o della tua possibile intesa con el Papu. Di come hai ricordato a Florenzi di avere ancora qualche lacuna da colmare, in fase difensiva. Dell’ariete che sei e sei sempre stato. Dei gol che farai, da qui al tuo ritiro.