So long, Miroslav

È finita l'avventura alla Lazio di Miroslav Klose, che sembrava di passaggio, ed è diventato bandiera.

Vacanze romane

È l’otto giugno del 2011 che i quotidiani sportivi ufficializzano la notizia: Miroslav Klose, detto Miro, è un giocatore della Lazio. La storia narra che sia arrivato a Fiumicino su un aereo Lufthansa proveniente da Monaco, e si sia poi diretto a San Sebastiano, nella residenza di Lotito, per firmare il contratto che l’avrebbe legato ai biancocelesti per due anni. Klose, esploso nel Werder Brema, dove ha militato dal 2004 al 2007, è reduce da quattro stagioni al Bayern Monaco. Le ultime due, tuttavia, non sono andate benissimo. Arriva alla Lazio da parametro zero, voluto da Edy Reja e dal direttore sportivo Tare, suo compagno di squadra al Kaiserslautern una decina di anni prima. Il giorno in cui Klose sostiene le visite mediche a Formello è anche il giorno del suo 33esimo compleanno.

I media e una parte della tifoseria sono scettici: le prestazioni più recenti del tedesco sono state un po’ così, a causa anche di qualche infortunio. Il tecnico del Bayern, Louis Van Gaal. l’aveva ormai relegato in panchina, e la squadra bavarese aveva deciso di lasciargli scadere il contratto. C’è l’impressione che Klose si sia lasciato la parte migliore della propria carriera alle spalle, tra gli exploit al Werder e i titoli vinti col Bayern, dove giocava in coppia con Toni. I maligni insinuano che la dirigenza laziale abbia puntato sul nome del giocatore, piuttosto che sulla sua reale possibilità di risultare decisivo.

Circa un mese più tardi, ad Auronzo di Cadore, sede del ritiro estivo della Lazio, ha luogo una delle prime interviste a Klose, che resteranno pochissime. Nel video, caricato sull’account Youtube di Città Celeste, c’è qualcosa di tragicomico: al di là dell’ovvietà delle domande e delle risposte, il traduttore ha un inglese da scuola media, che fa sorridere persino Marchetti, e forse perdere la pazienza a Miro, che si lascia andare a una smorfia. Il tedesco però non si scompone e non sembra produrre alcuna espressione particolare (né per auto-esaltarsi, né per schernirsi) quando un giornalista la butta lì: «Forse diventerai il più grande attaccante che abbiamo visto qui a Roma con la maglia della Lazio».

«If there is a player in the past we should can consider as a symbol, as a sample…»

Nell’intervista si menzionano anche i gol di Gerd Müller nella Nazionale tedesca, e in particolare quel record di gol al Mondiale che, nel 2011, per Klose è ad un passo. Lui risponde lodando Müller e allontana la questione, ma è probabile che nella sua testa ci stesse già pensando, e che la volontà di giocare in un club che gli garantisse un posto da titolare sia stata determinante per la sua decisione di trasferirsi alla Lazio, società con ambizioni ben diverse rispetto alla sua squadra precedente, il Bayern Monaco, ma nella quale sarebbe stato la prima scelta anche a trentatré anni.

Klose non sembra fatto per stare davanti alle telecamere, appare schivo e misurato, mai sopra le righe. É raro trovare immagini in cui sorride, sembra anzi che abbia il viso un po’ duro, l’espressione da predatore. Il suo distacco e la sua freddezza, a cui viene fin troppo scontato accompagnare l’aggettivo teutonica, sono in totale contrasto con l’esuberanza dell’altro nuovo acquisto e compagno di reparto, Djibril Cissé, sui cui i tifosi della Lazio hanno ben più alte aspettative. Però, Miro tira subito fuori dal taschino il biglietto da visita lasciando parlare il campo. Nel preliminare di Europa League vinto sei a zero dalla Lazio sul Rabotnicki, il tedesco, che nel suo primo anno in biancoceleste veste la maglia numero 25, regala tre assist e firma una rete. Poi, sempre a inizio stagione, apre le marcature laziali anche nella prima sfida di Serie A, a San Siro contro il Milan. C’è un dettaglio macroscopico in questo gol, in cui, alla luce dell’evoluzione della carriera di Klose alla Lazio, si può vedere un passaggio di testimone, da un idolo biancoceleste del passato a uno del futuro: il difensore che Klose aggira alzando la palla di destro, con un mini-lob, prima di depositarla in rete di sinistro, è Alessandro Nesta.

SS Lazio v ACF Fiorentina - Serie A
Gli ultimi attimi del Klose Day, il giro del campo con i figli (Paolo Bruno/Getty Images)

Derby mon amour

Il momento in cui Miroslav entra definitivamente nel cuore dei tifosi della Lazio, e l’aquila gli si cuce sul petto, è però il minuto 92 del derby di Roma dell’ottobre 2011: Klose, sul filo del fuorigioco e nonostante uno stop un po’ goffo, finalizza con freddezza un assist di prima di Matuzalem, e si ritrova poi sepolto dall’abbraccio della squadra e dello staff tecnico. La Lazio vince 2-1. Sul finire del filmato, mentre le telecamere inquadrano Luis Enrique che sembra annichilito, Reja viene espulso per l’esultanza eccessiva.

In una delle sue interviste più recenti, il tedesco ha dichiarato di essere rimasto legatissimo al ricordo del suo primo gol nel derby, all’emozione provata per quella rete all’ultimo secondo e i pianti di gioia della gente. In un video diffuso circa un anno dopo quel gol da Lazio Style Channel, Klose ammette: «Il derby non si può paragonare a quelli tedeschi. Ho imparato solo qui in Italia qual è il significato del derby. È qualcosa di fantastico».

Il gol nel primo derby

Nel derby dell’anno successivo, la Roma è di nuovo vittima di Klose, che porta ora l’11 sulle spalle e controlla il pallone in quella che ormai è una pozzanghera, prima di metterlo alle spalle del portiere di sinistro. Infine, proprio contro la Roma Klose vince l’unico trofeo conquistato in maglia biancoceleste: la Coppa Italia del 2013, risolta da un gol di Lulic.

Se il rapporto tra padre e figlio è da sempre una storyline sottesa alle biografie dei grandi sportivi, ed è spesso la chiave delle scelte di tifo per i comuni mortali, è romantico pensare che Klose abbia esteso il superpotere di segnare alla Roma anche alla sua prole. Circa un anno fa mi è capitato di vedere sul web una foto di Noah Klose, figlio di Miro, in maglia biancoceleste. Nell’immagine, Noah corre esultando come il papà, le braccia allargate e gli indici puntati, dopo un gol nel derby dei pulcini.

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Con la Coppa Italia e Abdoulay Konko (Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)

Recordman

Klose non ama il palcoscenico, il rumore. La fuga dall’esposizione mediatica sembra essere una costante nella sua carriera. Ci sono buoni giocatori che diventano icone e vengono percepiti come campioni grazie all’hype generato dai media intorno a circostanze che non hanno nulla a che fare con la continuità di rendimento o il talento; per esempio il far parte di una squadra che inanella successi, il look particolarmente appariscente, il gol segnato nella partita giusta. Miroslav Klose da Opole, Polonia, è tutto l’opposto. Credo che, se avesse lavorato in un teatro, Miro non avrebbe voluto il ruolo da attore protagonista, ma sarebbe stato una di quelle figure che non si mostrano di persona agli spettatori, eppure fondamentali per la buona riuscita dello spettacolo.

L’attaccante tedesco non ha mai atteggiamenti da star, non ha profili social ufficiali, non finisce in prima pagina. Persino dei suoi record si parla poco, ma mentre altri amano esultare sollevando la maglia per mostrare scritte celebrative, è il nome di Klose quello che spicca in cima alle classifiche sugli almanacchi.

Germany v Argentina: 2014 FIFA World Cup Brazil Final
Campione del mondo per la prima volta. Miroslav ha segnato, al Mondiale brasiliano, nel 7-1 contro il Brasile (Laurence Griffiths/Getty Images)

In maglia biancoceleste, c’è un record che ha solo sfiorato, almeno secondo i calcoli ufficiali: per eguagliare Pandev come straniero che ha segnato più gol in assoluto, gli sarebbero serviti 64 gol. Ne ha messi a segno 63. Il gol che manca, in realtà, è quello che Klose ha segnato all’Udinese durante la sfida del 18 dicembre 2011 all’Olimpico. Su un pallone alzato a campanile da Rocchi in area di rigore, il tedesco si coordina e tira al volo di destro da posizione ravvicinata ma decentrata: è gol, ma il pallone è deviato in maniera decisiva da Ferronetti, al quale viene dunque giustamente attribuita un’autorete. Il record su tutte le competizioni è dunque sfuggito per un soffio, ma Klose è comunque lo straniero che ha segnato di più per la Lazio in Serie A: in questa particolare classifica, ha staccato Morrone e Pandev di sei lunghezze.

Inoltre, Klose è stato l’autore dell’ultima cinquina messa a segno in Serie A, 27 anni dopo Pruzzo: l’impresa viene portata a termine alla 35° giornata del campionato 2012/13, nel 6-0 che la Lazio infligge al Bologna. Per mettere a segno questi cinque gol, Klose mette in mostra tutta l’artiglieria da attaccante Doc: la ribattuta opportunistica su una respinta, la freddezza sul portiere in uscita, il tap-in frutto delle ottime capacità di posizionamento, il colpo di testa in corsa, e infine la zampata a concludere una semi-scivolata che, si ha l’impressione, non sarebbe stata necessaria se Klose avesse accelerato solo un po’ di più la propria corsa nel raggiungere la palla.

Gli highights di quel Lazio-Bologna dal canale ufficiale della Lazio. Il commentatore chiama Klose «il pescatore di gol» e in sottofondo si è scelta Mambo Number 5, hit estiva anni ’90

I record ottenuti con la Mannschaft sono però ancora più impressionanti, e danno l’idea della grandezza del giocatore a livello internazionale. Mentre è in forza alla Lazio, Klose gioca (da titolare, a 36 anni) e vince i Mondiali in Brasile. Nel 2014, partecipando a questa competizione per la quarta volta, diventa il giocatore che ha segnato più gol in assoluto nella storia della Coppa del Mondo. Il gol messo a segno nella semifinale contro il Brasile gli assicura il record e consolida anche il suo primo posto come miglior marcatore di tutti i tempi con la Germania, con 71 reti: Miro Über Alles.

Quando gli chiedono commenti sul record, Klose si sminusice: ricorda che il precedente detentore del record, Gerd Müller, ha segnato i suoi 68 gol in nazionale in sole 62 partite, e aggiunge che lui stesso verrà presto superato da un altro Müller, Thomas.

 

So long

Klose tira per la prima volta un calcio di rigore con la maglia biancoceleste proprio nel giorno del suo addio all’Olimpico. Porta la fascia di capitano, sulla maglia gli hanno applicato una scritta con un ringraziamento speciale, e prima della partita ha anche preso il microfono per un breve ma toccante discorso.

La partita non serve più a nulla: la stagione della Lazio era iniziata con le migliori premesse, ma si è subito accartocciata su se stessa dopo la sconfitta in Supercoppa Italiana e l’eliminazione al turno preliminare di Champions. In campionato, l’annata non è stata delle più semplici, con il cambio di allenatore in corsa e la chiusura all’ottavo posto che significa niente Europa. Chi è allo stadio per Lazio-Fiorentina, è là principalmente per salutare Miro.

SS Lazio v ACF Fiorentina - Serie A
:'( (Laurence Griffiths/Getty Images)

Nel momento in cui viene fischiato il penalty, la Lazio sta perdendo quattro a uno. In assenza del rigorista designato Candreva, la battuta toccherebbe a Felipe Anderson, ed è proprio a lui che Klose lascia l’incombenza. Lo stadio, però, chiama a gran voce il tedesco sul dischetto: i tifosi vogliono un suo gol nella partita d’addio. Anderson è ben contento di riconsegnargli la palla. Prendendo in mano quel pallone, Klose accetta per una volta di mettersi al centro del palco, non per recitare, ma per inchinarsi e ricevere gli applausi.

Da appassionata di calcio, molto spesso mi piacerebbe sapere che cosa passa per la testa di un giocatore prima di un rigore decisivo. Mi sono convinta che, in fondo, forse la cosa migliore da fare, per chi tira, sia non pensare a nulla, solo alla palla e a dove la si vuole mandare. Con questo rigore non si deve decidere alcun risultato, è solo una questione di sentimenti. Klose sa che sta per salutare.

L’ultimo rigore, scontato, seguito dall’ultima esultanza timida

Nei pochi istanti prima della battuta, la regia indugia sul suo volto, e in questo primissimo piano cerca di carpire le sue emozioni. Un piccolo sbuffo, uno sguardo all’arbitro. Forse non vorrebbe tutte queste attenzioni, ma sa che questo calcio di rigore non può sbagliarlo, il pubblico vuole un gol per celebrare il campione venuto dalla Germania per illuminare la Lazio nonostante i cinque anni di alti e bassi per la squadra. Al di là dei record, delle 170 presenze in biancoceleste, dell’adrenalina scatenata dai suoi gol, a Formello si ricorderanno di un giocatore professionale, attentissimo alla propria forma fisica, che prendeva la sacca in spalla per trasportare i palloni a fine allenamento, che non rifiutava un consiglio ai più giovani. La Serie A si ricorderà della rara onestà di un attaccante implacabile che, durante un Napoli-Lazio, ammise di aver segnato un gol di mano, facendoselo annullare.

Klose effettua la rincorsa e segna col destro e, mentre esulta sobriamente, non dimentica di battersi il petto, proprio all’altezza dello stemma con l’aquila. Forse persino lui in quest’occasione si è emozionato. Quella biancoceleste resta la maglia che ha indossato più volte in carriera. Il pubblico, esultando come se si trattasse del gol della vittoria, gli regala l’ultimo boato.