La rivoluzione del gambero

Il pragmatismo di Lars Lagerback, allenatore che ha studiato alla scuola inglese degli anni '70, e ha portato l'Islanda dove mai era arrivata prima.

«Quell’uomo possiede la fantasia di un gambero». Leo Beenhakker è sempre stato un tipo caustico, e dopo aver fatto debuttare Trinidad e Tobago alla fase finale di un Mondiale riuscendo a strappare, in dieci uomini, uno 0-0 contro la Svezia, aveva deciso di ringraziare a modo suo il ct avversario, Lars Lagerbäck. Un grigio travet applicato al calcio alla guida di una squadra ordinata, razionale ma del tutto priva di inventiva. Un allenatore che scompariva dietro la squadra stessa, di cui nessuno, tranne i tifosi della suddetta, si sarebbe mai ricordato il nome. L’antitesi totale dei Mourinho e dei Guardiola, per riprendere un’azzeccata definizione letta nei giorni scorsi sul Guardian. Oggi il gambero è diventato maestro di calcio grazie alle imprese della sua Islanda, e la cosa oggettivamente fa sorridere, come quando si legge che l’uomo alle spalle del miracolo-Islanda (che poi un miracolo non lo è affatto, come ha raccontato Undici qualche mese fa) era riuscito a qualificare la Svezia a cinque grandi tornei consecutivi. Già, peccato che dopo il Mondiale nippo-coreano del 2002 le critiche dei media svedesi si erano fatte più feroci anno dopo anno: squadra bolsa – dicevano – e piena di ferrivecchi, guida tecnica priva di idee e soprattutto senza il coraggio necessario per voltare pagina e lasciare campo alle nuove generazioni. Le quali, come si è poi visto, non erano poi tanto meglio di quella che avrebbero dovuto sostituire, ma rimane il fatto che il Lagerbäck crepuscolare del periodo 2006-2009 era ben più criticato rispetto a Erik Hamren, fresco ex ct che a Euro 2016 ha presentato una Svezia al limite dell’imbarazzante, nonostante con Lagerbäck tutti i giocatori remavano dalla stessa parte, sapevano cosa dovevano fare in campo ed erano più responsabilizzati. C’era già Ibra, ma quantomeno si provava a costruirgli qualche schema attorno.

La sconfitta subita dalla Svezia contro il Senegal durante i Mondiali di Corea e Giappone

La premessa sul passato svedese di Lagerbäck è utile per non cadere nella tradizionale trappola delle celebrazioni posticce, dove il cretino di ieri diventa il maestro di calcio di oggi. Lagerbäck non è né l’uno, né l’altro: è un professionista serio che ha trovato l’ambiente adatto – per struttura, aspettative e tempistiche – nel quale poter innestare al meglio le proprie competenze. Lagerbäck è un organizzatore, un pianificatore, le scelte istintive ed emozionali (che pure ha confessato, quasi vergognandosene, di aver fatto in passato) non appartengono al suo dna. Per questo sulla panchina dell’Inghilterra, alla quale è stato accostato in questi giorni, non durerebbe che qualche mese, nonostante la sua formazione 100% british. Ma la scuola inglese da lui frequentata, e che ha avuto tra i propri maestri anche Roy Hodgson, non esiste più, quantomeno in Inghilterra. L’eliminazione della nazionale dei Tre Leoni per mano dell’Islanda ha davvero rappresentato un caso di allievo che ha superato il maestro, utilizzando le stesse armi che per lungo tempo – almeno fino a metà anni 90 – avevano caratterizzato il calcio britannico: organizzazione, corsa, fisico, orgoglio e spirito di squadra.

Coach Lars Lagerback of Iceland's national soccer team is pictured during a training session in the Amsterdam Arena, on September 2 2015, in preparation of the EURO 2016 qualifying football match against the Netherlands. AFP PHOTO / ANP / ROBIN VAN LONKHUIJSEN =NETHERLANDS OUT= (Photo credit should read ROBIN VAN LONKHUIJSEN/AFP/Getty Images)
Lars Lagerback fotografato durante un momento di pausa in una sessione d’allenamento della sua Islanda ad Amsterdam (Robin Van Lonkhuijsen/Afp/Getty Images)

Lagerbäck è figlio della Svezia anni70 nella quale divampava la polemica, tutta calcistica, tra filo-tedeschi e filo-inglesi. Questi ultimi contestavano la visione troppo conservativa della Federcalcio e dei tecnici svedesi, contrapponendo la più moderna scuola inglese, dove il libero era stato abolito, si giocava con la difesa a zona, si pressava con intensità e si manteneva una linea di fuorigioco alta. Il Malmö aveva ingaggiato Bobby Houghton, l’Halmstad Roy Hodgson. Il risultato erano stati cinque campionati vinti dai due in sei anni: il Malmö nel ’74, ’75 e ’77 (più una finale di Coppa Campioni raggiunta nel ’79), l’Halmstad nel ’76 e nel ’79. I semi gettati dal partito “inglese” sarebbero stati poi raccolti a livello internazionale dall’IFK Goteborg di Sven Goran Eriksson, svedese di passaporto ma inglese nell’animo, essendosi formato alla scuola di Bobby Robson (Ipswich Town) e Bob Paisley (Liverpool).

Le innovazioni provenienti da Albione – nuovo modulo tattico (dal 433 al 442), difesa a quattro in linea, pressing martellante e, proprio in virtù di quest’ultimo concetto, grande attenzione in allenamento alla fase di preparazione fisica e atletica – hanno impregnato tutto il nuovo corso del calcio svedese, e l’Islanda odierna di Lagerbäck non è altro che una versione leggermente più contemporanea di tale filosofia. Lagerbäck è cresciuto con il 4-4-2 e lì è rimasto, perché non ha mai sentito la necessità – né avuto la volontà – di guardare altrove. «Un errore che un tecnico non dovrebbe mai commettere», ha dichiarato a Erna Kristjansdottir, autrice di una tesi di laurea dedicata agli insegnamenti che un project manager potrebbe trarre dalla gestione delle dinamiche di gruppo all’interno della nazionale islandese, “è quella di inseguire i trend calcistici in voga al momento. Insomma, non deve cercare di essere di moda a tutti i costi, ma focalizzarsi su quanto un giocatore possa dare alla squadra, e su come utilizzare al meglio le sue abilità in relazione al collettivo”.

L’Islanda elimina l’Inghilterra. La nemesi di Lagerback è completa.

Lagerbäck aveva bisogno dell’Islanda quanto l’Islanda aveva bisogno di lui. Quando accettò la proposta della Federcalcio, il primo compito che gli fu assegnato – ricorda il diretto interessato – riguardava la definizione e la strutturazione di un adeguato ambiente lavorativo per la squadra, e la stesura di una serie di criteri da adottare per le convocazioni. «Ne individuammo cinque: impegno, disciplina, concentrazione, attitudine al lavoro e attitudine relazionale. Quest’ultimo è un aspetto sottovalutato ma fondamentale: i giocatori devono imparare a parlare tra di loro, non su di loro. Più si conoscono, più è facile la cooperazione. E meno regole ci sono, più è facile ricordarle e rispettarle».

Un incontro di mondi che sembrano fatti apposta l’uno per l’altro: l’Islanda movimento calcistico in ascesa alla ricerca di qualcuno capace di organizzare e strutturare i propri impulsi di crescita, Lagerbäck alla ricerca di un ambiente tranquillo, privo di pressione e con bassissime aspettative, nel quale poter lavorare seguendo quei concetti di ordine e razionalità a lui tanto cari. «Più è organizzata la squadra», ha dichiarato a Scandinavian Traveller, «maggiori sono le possibilità di successo. Questo è il motivo per cui il calcio è l’unico sport di squadra in cui un club di terza fascia può battere uno di prima. Paesi come quelli scandinavi poi non hanno alternative: se si vogliono ottenere risultati, è necessario trovare un sistema che funzioni bene. La cooperazione è uno degli aspetti più sottovalutati nel calcio. I nostri allenamenti non saranno i più divertenti al mondo, con tutte le video analisi e la ripetizione continua di svariate situazioni di gioco, ma se i risultati arrivano nessuno ha motivo di lamentarsi».

Iceland's fans react during the public screening of the quater final EURO 2016 football match against France, in Reykjavik, Iceland, on July 3, 2016. The quarter final match played in Saint-Denis, near Paris. / AFP / Karl Petersson (Photo credit should read KARL PETERSSON/AFP/Getty Images)
Tifosi islandesi assistono ai quarti di finale contro la Francia (Karl Petersson/Afp/Getty Images)

L’Islanda è uno dei pochissimi paesi al mondo nel quale non esistono accordi di natura economica (leggi premi-partita) tra nazionale e Federcalcio, un dato non trascurabile quando entra in gioco un concetto a forte odore di retorica come quello della nazionale con spirito da club, nel quale la squadra è davvero qualcosa in più della singola somma dei giocatori. Da Sightorsson ai due Sigurdsson, da Bjarnason a Gunnarson fino a Bodvarsson, nessuno appartiene alla fascia alta del calcio continentale, eppure è difficile trovare nell’undici titolare un giocatore meno che indispensabile.

Una squadra-monolite dalla fisionomia ben definita, in cui tutti corrono tanto ma soprattutto bene e che, a dispetto di quanto pensi un Cristiano Ronaldo in versione più faccia di bronzo che Pallone d’oro, non ha bisogno di parcheggiare il bus davanti alla propria porta. L’Islanda gioca il suo calcio, contro qualsiasi avversario. Ai media piace raccontare le storie del filmmaker, dell’ex giocatore di pallamano, di quello che ha il brevetto di volo o dell’attaccante diventato professionista grazie a una raccolta fondi nel proprio paese. Ma è a livello calcistico che l’Islanda meriterebbe davvero di essere oggetto di studio, perché la sua storia rappresenta uno schiaffo a un sistema-calcio sempre più multimilionario e ipervitaminizzato. A suo modo è una rivoluzione, generata però dal personaggio più conservatore, ordinario e borghese che si possa incontrare. La rivoluzione del gambero.

 

Nell’immagine in evidenza, Lagerback prima dell’Europeo (Odd Andersen/Afp/Getty Images)