Argentina nel caos

L'Albiceleste è senza allenatore, senza Messi, guidata da una Federazione allo sbando. Un po' di cose per capire come siamo arrivati fino a qui.

Immaginate: un Paese con una Federcalcio senza presidente da sette mesi, con i dirigenti in lotta fra di loro nei tribunali in attesa di una commissione speciale mandata dalla Fifa per mettere ordine, con una Nazionale reduce da tre sconfitte in tre finali consecutive che perde, si spera momentaneamente, il miglior giocatore al mondo e che adesso vede partire pure l’allenatore, col rischio serio di non poter nemmeno partecipare al torneo olimpico di Rio de Janeiro. Stiamo parlando dell’Argentina, patria futbolera per antonomasia e in cui il sistema-calcio oggi è acefalo e allo sbando, immerso in un’anarchia senza precedenti, frutto di intrecci affaristici e cordate politiche mai viste prima. A furia di maltrattarlo il giocattolo si rompe, e ora si rischia di perderlo per sempre. Il primo scossone lo ha dato Lionel Messi, subito dopo la finale della Copa América Centenario persa ai rigori contro il Cile. Fuori dagli spogliatoi, a testa bassa, la pulce ha detto basta. «Para mi ya esta, ci ho provato e riprovato, però, evidentemente, non c’è verso. Il mio ciclo con la selección è terminato».

Il rigore sbagliato da Messi nella finale di Copa América 2016

È stata una doccia fredda persino per quei pochissimi connazionali che lo hanno sempre criticato, ripetendo il ritornello da bar dei due fratelli Messi, quello buono che gioca per il Barcellona e quello controvoglia con la celeste y blanca. Critiche ingiuste perché da quattro anni almeno lui, più di tutti gli altri, fa miracoli per portare l’Argentina ai vertici del calcio, con la finale al Maracanã e le due seguenti. Messi, hanno pensato in molti, lascia perché non vuole più perdere. E invece no; se ne va, e poi magari ci ripenserà, perché non sopporta più il modus operandi di una federazione fatta di dirigenti corsari, abituati a trattare i giocatori come ultima ruota del carro, a lavorare nella disorganizzazione più completa. Chi vi scrive si ricorda ancora di quando nei ritiri a Buenos Aires Messi veniva lanciato in mezzo a decine di telecamere senza nessuna protezione, oppure la trasferta in autobus, quattro ore e mezzo su un’autostrada che assomiglia a una nostra strada provinciale, da Buenos Aires a Rosario per giocare contro il Brasile nelle qualificazioni per i Mondiali 2010. Scene viste anche negli Stati Uniti, con le lunghe attese in aeroporto per prendere un volo charter noleggiato all’ultimo momento, con la squadra che arriva in hotel e deve aspettare per ore nel foyer prima che si liberino le camere; negli allenamenti con squadre di studenti universitari perché non c’erano soldi per portare, come si è sempre fatto, i ragazzi delle divisioni inferiori.

Il Pallone d’oro del Mondiale 2014 non è stato granché, come soddisfazione

Messi ha detto basta e della stessa idea sarebbero anche Agüero, Higuaín, Lavezzi. Ammutinamento generale, dal capitano in giù. Mascherano non molla perché ha paura di essere rimpiazzato, ma il clima generale è tutt’altro che di amor a la camiseta, la mistica del richiamo della patria non basta più. L’ultima goccia nel vaso sono le dimissioni del ct Gerardo Martino, che pure era tornato a Buenos Aires con l’idea di un possibile riscatto; allenare la rappresentativa olimpica a Rio. Aveva preparato un’ambiziosa lista di 35 pre-convocati, inserendo anche giocatori che sapeva benissimo non avrebbe mai ottenuto dato la resistenza dei rispettivi club, come Dybala o Icardi. Ma non solo Juventus e Inter: anche i club argentini hanno posto il veto, e così Martino si è trovato nel centro di allenamento di Ezeiza con appena otto giocatori e ha gettato, mestamente, la spugna: «Non ci sono le condizioni perché io possa continuare a essere commissario tecnico». Dietro di lui, ora, c’è il vuoto o quasi.

Tutto è cominciato con la morte di Julio Grondona, il padrino, l’eterno presidente che riusciva, con favori e pressioni, a mettere d’accordo tutti.

L’Argentina bicampione del mondo non ha altri allenatori delle squadre giovanili; l’unico che rimane è il “Basco” Olarticochea, attualmente alla guida della Nazionale femminile, che dovrà sudare sette camicie per trovare i giocatori da portare a Rio. Il presidente del Comitato olimpico locale, Gerardo Werthein, ha detto che, stando così le cose, c’è un 50% di possibilità che l’Argentina non vada alle Olimpiadi. L’Uruguay, primo degli esclusi, si è fatto avanti per prendere il posto dei cugini. Sarebbe una beffa, l’Argentina che ha vinto due ori olimpici, nel 2004 ad Atene con Tévez e nel 2008 a Pechino con Messi. Lo sfascio attuale è la conseguenza di una crisi che si pota avanti da tempo. Tutto, in fondo, è cominciato con la morte di Julio Grondona, il padrino, l’eterno presidente che riusciva, con favori e pressioni, a mettere d’accordo tutti. “Don Julio” si è spento a fine luglio 2014, due settimane dopo la finale persa contro la Germania, mettendo fine a un lungo regno durato 35 anni, iniziato quando a Buenos Aires c’erano i militari. Grondona controllava tutto, sapeva come far cadere questo o quel presidente di club, come gestire i rapporti con gli sponsor, con la politica, come dividere i soldi, tanti, dei diritti televisivi. Dopo un primo periodo di relativa calma, la lotta per la successione si è scatenata senza esclusione di colpi.

L'amore per Grondona travalica i confini e arriva fino alla Colombia, dove si disputò la Copa América del 2001 a cui l'Argentina si rifiuta di partecipare, per "motivi di sicurezza" (Rodrigo Arangua/Afp/Getty Images)
L’amore per Grondona travalica i confini e arriva fino alla Colombia, dove si disputò la Copa América del 2001 a cui l’Argentina si rifiuta di partecipare, per “motivi di sicurezza” (Rodrigo Arangua/Afp/Getty Images)

 

Tre le cordate principali: quella del sindacalista Hugo Moyano, vicino inizialmente al governo dei Kirchner, quella del presidente del Boca Daniel Angelici, vicino al leader dell’opposizione che è poi diventato presidente Mauricio Macri e infine quella del popolare conduttore e imprenditore televisivo Marcelo Tinelli, vicepresidente del San Lorenzo. Politica, affari, soldi, influenze; tra i corridoi dell’Afa si parla solo di quello, mentre negli stadi dilaga la violenza delle barras bravas, mentre le Nazionali giovanili si sfaldano e il livello del campionato, complice l’esodo sempre più precoce di giocatori verso il calcio europeo, cala vistosamente. Per placare gli animi delle squadre di seconda divisione si crea un maxi torneo a 30 squadre – un record mondiale – infinito e con enormi differenze fra i “5 grandi”, Boca, River, San Lorenzo, Racing e Independiente e i nuovi arrivati. Il 2015 scivola via con la sfortunata avventura nella Copa América cilena della Nazionale e la disputa per la presidenza fino alle elezioni di dicembre. I candidati, alla fine, sono due; Luis Segura, espressione della vecchia guardia, e Tinelli. Con 75 votanti presenti lo spoglio finisce con 38 voti ciascuno: c’è una scheda in più nell’urna e tutto viene annullato, tra l’imbarazzo generale. La farsa è consumata, volano accuse pesanti e si arriva a uno stallo che continua praticamente fino a oggi.

A supporter of Argentina holds a sign reading "Messi, I come from your planet" outside the Metlife stadium before the Copa America Centenario final match against Chile in East Rutherford, New Jersey, United States, on June 26, 2016. / AFP / Daniel SLIM (Photo credit should read DANIEL SLIM/AFP/Getty Images)
A un altro alieno, trent’anni fa, chiedevano «¿de qué planeta viniste?» (Daniel Slim/Afp/Getty Images)

Nel frattempo gli allenatori in forza alla federazione non ricevono lo stipendio per mesi. Martino resiste, ma gli altri (Under 20, Under 17 e Under 15) se ne vanno lasciando la casa praticamente deserta. La Fifa, consumata la fine di Blatter, decide di creare una “commissione normalizzatrice” assieme alla Conmebol, la confederazione sudamericana. L’idea è arrivare a una soluzione nel giro di due mesi, in tempo per la ripresa delle qualificazioni ai Mondiali russi. Al momento, non si sa che formato avrà il prossimo campionato, né, a questo punto, chi guiderà la Nazionale dopo le Olimpiadi. I nomi più quotati sono quelli di Diego Simeone, che però ha appena rinnovato con l’Atlético Madrid, Jorge Sampaoli, che ha appena firmato con il Siviglia con un’importante clausola di rescissone, del tecnico del River Plate Marcelo Gallardo e di Mauricio Pochettino, oggi al Tottenham.  Il Cholo è in cima alle preferenze dei tifosi, ma chi lo segue da vicino sostiene che non avrebbe intenzione di mettersi in gioco in questa fase così delicata.

Per la giornalista Veronica Brunati, che segue da vicino le vicende della Nazionale, il panorama è tutto da definire. «Siamo di fronte al peggior momento nella storia istituzionale del calcio argentino. C’è chi crede che si sia toccato il fondo, ma in realtà potrà andrà ancora peggio. Ci sono a breve cinque giornate delle qualificazioni; senza Messi e altri nomi importanti, con un allenatore da definire che potrebbe anche non trovare l’appoggio necessario della squadra e dei dirigenti, la Nazionale rischia di perdere la bussola e complicarsi non poco la vita in vista dei Mondiali». L’altra possibilità è quella di una sospensione da parte della Fifa. «Sulla carta è possibile, se si considera che da sette mesi non abbiamo una guida e un presidente federale. In pratica, però, la vedo difficile; l’Argentina è una Nazionale importante con un forte richiamo per sponsor e pubblico». E poi c’è Messi. Ora si gode le vacanze, a fine luglio tornerà a Barcellona per iniziare l’ennesima stagione a caccia di Liga, Champions e Pallone d’oro. Nessuno sa quanto durerà la voglia di stare lontano dal caos argentino.

L’elaborazione del lutto

Tra i vari dirigenti in guerra fra di loro, l’unico con cui ha un certo feeling è Marcelo Tinelli, che potrebbe usare proprio questa carta per vincere la battaglia finale. Lionel prende distanze, ma se il cammino della Nazionale nelle qualificazioni si complicherà, è possibile che l’operazione-rientro diventi una ragion di Stato, un po’ come avvenne col ritorno di Maradona prima dei Mondiali 1994. A quel punto difficilmente Messi potrà restare a guardare.

 

Nell’immagine in evidenza, scontri a Buenos Aires dopo la finale mondiale del 2014