La nuova arte del dribbling

Marko Pjaca: 21 anni e grandi numeri. Sono bastati novanta minuti contro la Spagna a Euro 2016 per conquistare tutti.

«Marko è un giocatore fantastico con un grande potenziale, e quando è concentrato e dell’umore giusto può fare grandissime cose». «In pochi allenamenti ho visto molto di più di quanto avevo visto in Modrić alla Dinamo. Pjaca è particolarmente impressionante quando è in campo». «È uno di quei rari giocatori che possono andare in entrambe le direzioni. Se c’è qualcuno che mi ricorda lui con la palla tra i piedi, è Karim Benzema. Non sto dicendo che è il nuovo Benzema, ma lui me lo ricorda nelle situazioni di uno contro uno». Sono tre dichiarazioni che tornano utili a definire cosa sia oggi Marko Pjaca, neo-acquisto juventino e futuro craque del calcio mondiale. Sono dichiarazioni di Zoran Mamić, ex tecnico della Dinamo Zagabria, di Gordon Schildenfeld, difensore che tornato recentemente alla Dinamo e che ha diviso il campo sia con Modric che con Marko, di Tomislav Ivković, ex allenatore di Pjaca al Lokomotiva Zagabria: in tutte e tre sono contenute le verità riguardanti il Ronaldinho dei Balcani, come lo hanno definito dopo che Pjaca ha dichiarato il proprio amore per l’ex campione blugrana, di cui dice ha «sempre provato a rubargli qualche numero». In un montaggio cinematografico vedremmo scorrere sullo schermo quelle dichiarazioni, cubitali e colorate, a rappresentare la crescita vertiginosa di un fenomeno annunciato. Nato e cresciuto da una madre campionessa di judo e un padre lottatore, Pjaca, cresciuto con le due sorelle a Zagabria, si è immediatamente reso conto che non avrebbe seguito le orme dei suoi genitori. «Non sono mai stati delusi dal fatto che non abbia scelto le arti marziali, sono stati comprensivi nonostante le aspettative di molte persone intorno a me», ha rivelato. «Ho sempre voluto essere un calciatore. Nessuno sa chi è il miglior wrestler del mondo. Nel calcio le cose non stanno così, tutti sanno chi sono i migliori e mezzo mondo conosce quelli appena buoni. I miei genitori hanno capito».

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(Pierre-Philippe Marcou/Afp/Getty Images)

Marko Pjaca dimostra molto più dei 21 anni attestati dai documenti d’identità, è lo sguardo serio che lo accompagna che ci trae in inganno. Nei suoi scatti privati, rubati da un feed Instagram tutto calcio e Play Station, troviamo il Pjaca ragazzino, sorridente come dovrebbero esserlo tutti quei giovani che alla sua età subiscono la stampigliatura aurea del predestinato dal talento incendiario. Quasi nessuno scatto esce fuori dallo steccato calcistico, Marko sembra focalizzato sul suo obiettivo, e non ha tempo per perdersi in eccessi o follie. Forse per questo quasi si fatica ad associarlo agli anni che in realtà ha. Sua madre Visnja, interrogata sul futuro del figlio, ha confessato che Marko è sempre stato un grande ammiratore del calcio italiano, in particolare di Juventus e Milan: esattamente le due squadre che, dopo l’interesse di Inter e Napoli, sembravano le maggiori candidate a concupire il talento di Zagabria: «È sempre stato un ragazzo tranquillo. Marko si allena come un professionista dall’età di otto anni, anche a casa». A scuola era un ottimo studente, amante del suono dolce delle lingue europee, che anche grazie al calcio ha saputo e potuto migliorare.

Pjaca ha rappresentato l’asteroide di bellezza caduto sui campi grigi di Euro 2016, un concentrato di classe, genio e regolatezza che ha impressionato tanto per la granitica qualità nel dribbling, quanto per l’applicazione e la dedizione al lavoro in fase difensiva. Nell’unica gara disputata dall’inizio durante il torneo francese – la vittoria nell’ultimo match del girone contro la Spagna – Pjaca ha mostrato ciò che in potenza potrebbe diventare. Figlio spurio dei fantasisti balcanici del passato, Marko coniuga l’esasperazione di un gesto di rottura come il dribbling alla consapevolezza che prima di un’entità singola, è parte di un gruppo, anche se sembra avere ancora qualche problema con la capacità di centellinare il gesto tecnico per antonomasia, che lo porta alle volte a sfiorare il limite dell’egoismo. Nella gara vinta per 2 a 1 contro gli ex campioni iberici Pjaca è risultato uno dei migliori in campo, sette dribbling tentati e un impatto impressionante sulla gara.

In un Europeo da 81% di duelli vinti, Marko riesce nella gara contro la Nazionale di Del Bosque a tenere basso l’esterno avversario di riferimento, non permettendo alla Spagna di giocare con i terzini alti come da copione. Partito inizialmente a sinistra, Ante Čačić ne scambia abbastanza presto la posizione con Perisic, sulla fascia opposta, per contenere e limitare Jordi Alba, difficilmente così passivo come in quella gara. Al termine del match ha toccato 34 palloni, portato a termine ben 7 dribbling ma con un 64% di passaggi riusciti (lontano dai dati riscontrati durante la Champions 2015/16: 0,7 occasioni create e 75,2 % di precisione nei passaggi), un dato estremamente basso che, forse, rappresenta uno dei limiti attuali del ragazzo di Zagabria. Sono due i momenti particolarmente impressionanti, entrambi mostrano la levità di Pjaca, quel suo incedere così leggero eppure incessante con la palla tra i piedi: in uno riceve il pallone dai piedi di Srna e salta prima Nolito e poi Iniesta con un’irriverenza sfacciata che ricorda il concetto stesso di giovinezza; mentre nell’altro volteggia armonioso e rapido tra 5 avversari della Roja. È la notte in cui l’Europa più disattenta si innamora di questo acrobata posato che del saltare un avversario ha fatto e farà un’arte unica. In patria ha suscitato qualche malumore l’ingresso tardivo di Marko negli ottavi contro il Portogallo, una gara che segna la fine dell’Europeo croato. Alla fine della competizione Pjaca sarà il giocatore con il maggior numero di dribbling in rapporto ai minuti giocati: 1 ogni 10.1 minuti. Cosa sarebbe potuto essere della Croazia se Pjaca fosse partito dall’inizio nel 4-2-3-1 di Cacic anche contro i lusitani campioni d’Europa?

TuttoPjaca contro la Spagna

Non possiamo ancora considerare pienamente Marko Pjaca l’emblema dell’ala moderna: è rapido, strutturato fisicamente, con una progressione al limite del normale. Ha grande attenzione per l’aspetto tattico, ma la capacità di ripiegamento e sostegno alla fase difensiva va migliorata, così come la gestione dell’irruenza nel cercare di sradicare la palla dai piedi degli avversari. Se è vero che in Francia i riflettori abbaglianti del calcio europeo ne hanno massimizzato l’aspetto spettacolare, rendendolo appetibile a mezza Europa, i più attenti tra gli uomini di calcio erano già sulle sue tracce. Potremmo parlare di cecità, di scarsa lungimiranza da parte di alcuni club europei che hanno atteso così tanto per cominciare a trattarlo. Uno dei più attenti in Italia era stato Pantaleo Corvino che, con la consueta passione per i ritmi balcanici che lo aveva mosso durante gli acquisti di Vucinic, Nastasic e Jovetic, già nello scorso gennaio aveva provato a trattarlo per il Bologna.

Nonostante abbia solo 21 anni, Pjaca ha già esperienza internazionale maturata in questi anni alla Dinamo; in particolare in Europa League 2014/15 si è presentato da protagonista, con tanto di hat-trick realizzato nella gara casalinga contro i Celtic di Glasgow. Pur non avendo grandi statistiche in fatto di tiri verso la porta avversaria, ha realizzato 14 e 12 reti nelle ultime due stagioni. Una media realizzativa interessante per un giovane della sua età. Ha già raccolto 145 presenze in gare ufficiali, superato le 90 presenze con la maglia della Dinamo dopo il periodo alla Lokomotiva Zagabria, ed è stato uno dei cardini di tutte le rappresentative Under croate, bruciando spesso le tappe. Pochi giorni dopo aver annunciato che quella contro il Vardar sarebbe stata la sua ultima gara con la maglia dei Modri, è sceso in campo per un ultimo saluto alla gente del Maksimir. Due reti su rigore hanno aiutato la Dinamo nella rimonta che qualifica la suo oramai ex squadra al terzo turno preliminare di Champions League, al momento dell’uscita dal campo il pubblico gli ha tributato un addio di quelli che si riservano alle passioni sincere che ritornano ciclicamente dopo giri lunghissimi.

Dopo il corteggiamento di Milan, Inter, Napoli e Liverpool, in un inizio di luglio in cui Pjaca è stato ogni giorno l’amante di un miliardario differente, Marko ha scelto la Juve. Una scelta che non gli assicura continuità e minuti, ma un ambiente performante e la possibilità di giocare la Champions League in una squadra di livello. Nell’ultima stagione in forza alla Dinamo Pjaca si è destreggiato da esterno sinistro o destro del 4-2-3-1 o, all’occorrenza, come vertice centrale dei tre di centrocampo a ridosso della prima punta. Trequartista o ala, ambidestro, il che permette di schierarlo indipendentemente su entrambe le fasce, il ventunenne è una carta che mancava tra i jolly di Massimiliano Allegri. Con l’arrivo di Pjaca, l’allenatore livornese potrà sperimentare un’ulteriore variante tattica adottando, in determinate occasioni, un 4-3-3 in cui il croato può esprimersi ai livelli migliori. Scevro da compiti e difensivi sarà interessante capire in che modo Allegri ne gestirà l’impeto giovane. Rispetto a una Juventus che lo scorso anno lamentava l’assenza di un giocatore che potesse agire da trequartista puro, con l’arrivo di Pjaca e Pjanic anche quel tassello è coperto abbondantemente.

Vederlo partire largo a sinistra per venirsi ad accentrare, dialogare con il gestore del ritmo dei tre di centrocampo (alla Dinamo lo ha fatto spesso con l’altro fenomeno in potenza, Coric) e agire all’occorrenza da 10, liberando lo spazio per la discesa del terzino, potrebbe essere un’esperienza di puro piacere. Come detto, il dribbling è l’arte in cui Pjaca eccelle: ogni controllo di palla sembra già orientato ad accompagnare la sfera in attesa di una decisione, della via attraverso cui addormentare l’avversario.

Pjaca in Italia è una manna: il fatto che abbia scelto la Juve rende ancor più incredibile il lavoro che Marotta e Paratici stanno portando avanti in fatto di giovani e prospettive future. La sua struttura fisica, il suo incidere sicuro e dinoccolato ne fanno un piccolo Avenger che può decidere come e quando battere gli avversari in qualsiasi situazione. Caratteristiche che hanno aiutato la Dinamo a conquistare due campionati croati e due Coppe nazionali in due anni. Resta da capire quale sarà il suo adattamento ad un contesto tattico meno fluido e malleabile rispetto al 4-2-3-1 della Dinamo, ma se Allegri riuscirà a lenirne la voluttà che prova ogni volta che salta l’uomo, incanalando, invece, quella genialità all’interno di un dialogo con i compagni, la Juve avrà trovato un’ ennesima arma con cui granire le flebili resistenze delle avversarie italiane.

 

Nell’immagine in evidenza, Pjaca con la maglia croata in un’amichevole prima di Euro 2016 (Str/Afp/Getty Images)