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C’è un tempo per seminare e uno per raccogliere. A volte tra i due passa un intervallo breve, altre volte, invece, bisogna attendere di più. La scherma italiana e quella mondiale hanno atteso Elisa Di Francisca molto più a lungo di quanto ci si sarebbe potuti aspettare considerato il suo talento, e lei ha aspettato i 30 anni per la sua prima Olimpiade. Ma ne è valsa la pena. Quell’oro, conquistato a Londra 2012, in un esordio ai Giochi fin troppo tardivo, è stato il culmine di un lungo percorso di crescita per la fiorettista jesina. E quella gara, rivista oggi, è un perfetto compendio della qualità della scherma espressa dalla Di Francisca. Una scherma che si poggia sulle fondamenta di una tecnica perfetta, si alza in volo grazie alle correnti ascensionali del puro istinto, trova la sua ancora in una lucidità mentale e in una freddezza che non mancano mai, nemmeno nei momenti più difficili. L’oro di Londra arriva con due assalti decisi nel minuto supplementare. Sessanta secondi, una priorità sorteggiata, il primo che tocca vince. I francesi la chiamano mort subite, il calcio ha provato a introdurla, fallendo, con il golden goal, nella scherma è una situazione piuttosto frequente, ma doverla affrontare per due volte di fila, in una semifinale e in una finale olimpica, resta comunque una sfida con se stessi oltre che con l’avversario.
A Elisa tocca prima con la Nam. Ci arriva in rimonta. A 1 minuto dalla fine il punteggio è di 9-5 per la coreana. Trentaquattro secondi dopo siamo 10-10. L’inerzia del match è dalla sua, e tocca. In finale, con Arianna Errigo, Elisa va subito avanti sul 7-3, ma a cavallo tra seconda e terza manche subisce un parziale di 8-1, e si trova sotto 11-8 a 36 secondi dal termine dell’assalto. Il 90% degli atleti, in una situazione del genere, avrebbe un crollo psicologico. Elisa no. In un’intervista che si trova sul canale YouTube dei Giochi olimpici, la jesina ripercorre quel momento: «Ero in tensione, cercavo di trovare quella via di mezzo tra la frenesia, la voglia di recuperare e la tranquillità per mettere la stoccata». Il punto è che, mentre tutto questo le frulla per la testa e lei è da sola con i suoi demoni, senza l’allenatore a poterla sostenere perché tira contro la sua compagna di stanza Arianna Errigo e nella scherma i tecnici stanno fuori dalle contese tra connazionali, il suo cervello elabora una strategia perfetta e le bastano due secondi per completare la rimonta vincendo, ancora, al minuto supplementare. Freddezza, lucidità, pure un pizzico di fortuna perché la Errigo para ma non risponde sulla botta decisiva. Oro. Il primo. A 30 anni.
Elisa Di Francisca su cosa significhi diventare campionessa olimpica
Fondamentali
La Di Francisca è un talento purissimo cresciuto nella migliore tradizione del fioretto italiano. Nella stessa intervista già citata al canale Youtube dei Giochi, spiega che la sua scherma è esattamente lo specchio della sua vita: «Vado a sensazioni, non ho strategie, sono molto istintiva. Faccio quello che mi va di fare in quel momento». La verità è che dietro alle «sensazioni» ci sono fondamentali eccezionali. Vedere Elisa tirare è come assistere a un tutorial di fioretto. L’ampiezza della sua guardia, il grado a cui sono piegate le sue ginocchia, la posizione perfettamente eretta della sua schiena, la profondità dei suoi affondi. Tutto da manuale. E in questo c’è ben poco di istintivo. È il frutto di 27 anni di scherma, di cinque giorni d’allenamento a settimana, di una preparazione atletica mirata soprattutto all’agilità di gambe e con pochissimi pesi. La Di Francisca non fa mai un movimento che non sia strettamente necessario, è l’essenzialità che si è fatta umana per salire su una pedana. Tocca spesso con azioni scolastiche che ogni maestro insegna al suo allievo fin dalle prime lezioni.
Da buona jesina ha imparato l’arte della stoccata sull’avanzata dell’avversaria, ma se dovessi scegliere la cosa che per me fa meglio, sarebbe il passo avanti e affondo. Raramente ho visto uno schermidore mandare a segno con la stessa frequenza un’azione che è semplice solo sulla carta, ma che per essere efficace con le percentuali della Di Francisca deve essere effettuata applicando alla perfezione i due principi fondamentali della scherma: tempo e misura. Se mi sforzo di pensare a un altro fuoriclasse dello sport capace di ‘fatturare’ così tanto con la stessa apparente semplicità di giocate, mi viene in mente solo Tim Duncan e il suo tiro appoggiato al tabellone dopo il giro sul piede perno. Ecco, Elisa è la Tim Duncan della scherma: poco appariscente, forse, ma tecnicamente perfetta. Se ha dovuto aspettare tanto per togliersi la soddisfazione più grande della sua vita, è solo per fattori contingenti come il fatto di aver visto coincidere la prima parte della sua carriera con gli ultimi anni di Giovanna Trillini, la fase centrale di Valentina Vezzali, le stagioni dell’esplosione di Margherita Granbassi.
Elisa Di Francisca celebra la vittoria sulla connazionale Arianna Errigo durante le Olimpiadi di Londra 2012 (Alberto Pizzoli/Afp/GettyImages)
A passo di danza
Passo avanti, passo indietro, passo avanti e affondo. Un-due, un-due, un-due-tre. Guardare la Di Francisca muoversi sulla pedana spostando il peso del suo corpo dal tacco alla punta è come assistere a un balletto. Salta all’occhio anche ai meno esperti di scherma. È questione di ritmo, sì, ma anche di eleganza. Senza dubbio quel fisico da étoile della Scala aiuta, ma il vero segreto va cercato nell’infanzia di Elisa. Da piccola, prima di scoprire la scherma, faceva danza classica. Ha iniziato a cinque anni per smettere a sette, ma anche quando ha cambiato il tutù con il giubbetto elettrico, e ha abbandonato le mezze punte per impugnare il fioretto, qualcosa deve esserle rimasto.
I suoi movimenti sono così precisi e composti da sembrare quasi compassati. Se si osserva una sua azione schermistica si ha l’impressione di essere davanti a una riproposizione alla moviola. Non è un problema di rapidità, quella non le manca e se non fosse così non toccherebbe tanto, semmai è questione di pulizia. Al mondo non ce n’è un’altra che dia la stessa sensazione. Quanto questo sia dovuto all’eccellenza della sua impostazione schermistica e quanto agli innumerevoli plié e rond de jambe che deve aver affrontato davanti allo specchio tra i cinque e i sette anni, non è dato saperlo. Quello che sappiamo è che nel 2013, da fresca campionessa olimpica, Elisa è tornata a danzare a Ballando con le stelle. E ha vinto pure lì.
Imparare dai migliori
Anche se ancora oggi porta i segni dell’imprinting da ballerina, Elisa si è accorta presto che il troppo rigore della danza classica non faceva per lei. Alla ricerca di una nuova sfida, ha deciso presto di cambiare sport. E data la città in cui è cresciuta, la scelta era quasi obbligata. «A Jesi o fai scherma o fai scherma» (ipse dixit tratto da un’intervista realizzata per Sky Sport prima di Londra 2012), a meno di chiamarti Roberto Mancini. Ma questa è un’altra storia. La storia che interessa a noi ha iniziato a scriverla Ezio Triccoli, sergente maggiore dell’esercito italiano durante la Seconda Guerra mondiale innamoratosi della scherma mentre era detenuto nel campo di prigionia sudafricano di Zonderwater. Prima di Triccoli, a Jesi, non c’era scherma. Dopo Triccoli, Jesi sarebbe diventata la capitale italiana del fioretto. È lui ad aver formato campioni straordinari come Stefano Cerioni, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali. Sempre lui ad aver messo in pedana Elisa Di Francisca e aver avviato la sua crescita tecnica prima di morire nel 1996 dicendo alla mamma di Elisa: «Lascio l’oro nelle mani di tua figlia». Pensate a una ragazzina di talento che si ritrova ad allenarsi, ogni giorno, al fianco di atleti che all’Italia hanno portato, complessivamente, 20 medaglie olimpiche. Con due di loro, Elisa, troverà un’intesa tale da trasformarli in suoi maestri in due diversi momenti della sua vita. Stefano Cerioni prenderà il posto di Triccoli, accompagnandola, da tecnico personale prima e ct poi, fino al titolo Mondiale di Parigi 2010 e all’oro di Londra 2012. Giovanna Trillini l’ha seguita nella preparazione a Rio 2016, dopo l’addio di Cerioni, passato alla guida del fioretto russo in cambio di un ingaggio insostenibile per la Federscherma italiana.
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Con la terza, Valentina Vezzali, c’è sempre stato rispetto agonistico e un’accesa rivalità, ma l’amore non è mai scoppiato. Troppo diverse. Quando la Vezzali è tornata dall’ultima maternità, ai Mondiali di Budapest 2013, si è ritrovata in una squadra che aveva uno spirito diverso dal suo, molto più vicina al carattere istrionico di Elisa, e si è dovuta adeguare a essere una protagonista dei balletti rituali che la concittadina si inventa prima di ogni assalto. Su YouTube si trova un’intervista a Datasport in cui a Elisa viene fatta una lista di colleghi schermidori e le viene chiesto cosa le piacerebbe fare con loro. Una serata in discoteca con Aldo Montano, una bella cena con Arianna Errigo, una partita a pallavolo con Andrea Baldini, un karaoke con Andrea Cassarà. Quando il giornalista arriva a Valentina Vezzali, Elisa si ferma, ci pensa un po’, ridacchia imbarazzata. Poi dice: «Un assalto. Assolutamente». Ha parato, poi ha sospeso l’azione prima di piazzare la risposta giusta: sincera e diplomatica al tempo stesso. Il messaggio è chiaro: fuori dal contesto agonistico, con la Vezzali, non ci si vede proprio. Ci ha vissuto accanto per gran parte della sua vita, ma non ci si vuole vedere. Sull’atleta, però, niente da eccepire. La Di Francisca ha imparato qualcosa da ognuno di questi straordinari atleti e tecnici con cui è cresciuta. Ed è andata oltre, creando la sua scherma istintiva e lucida, elegante e astuta, semplice e praticamente incontrastabile.
La tedesca Carolin Golubytskyi contro Elisa Di Francisca alle Olimpiadi di Londra 2012 (Hannah Peters/Getty Images)
Gioventù bruciata
E pensare che abbiamo rischiato di perdere un talento così grande. A 18 anni, guidata dallo stesso istinto che oggi le permette di essere tra le prime al mondo, Elisa ha mollato la scherma. Non ne aveva più voglia, la divisa bianca cominciava a starle troppo stretta, preferiva i jeans, le minigonne e le uscite con gli amici. Sopportare il peso delle aspettative su se stessi può essere difficile. Ci vogliono sacrificio e impegno, a volte troppo. Quando ha smesso, la Di Francisca era già una promessa della scherma italiana. Aveva già vinto diversi titoli nazionali giovanili e si affacciava alle gare internazionali di categoria. Ma questo non le ha impedito di lasciare. Colpa anche di un fidanzato decisamente troppo geloso, pressante, persino violento. Per stare con lui, Elisa ha rinunciato a un anno di scherma, poi durante un litigio, lui l’ha colpita e lei ha deciso che così non poteva continuare. L’ha lasciato, non l’ha denunciato solo perché «ho alzato le mani anche io», ma ha capito che quello non era amore. L’amore, quello vero, continuava a provarlo per la scherma. C’è voluto un po’ per tornare a ingranare, qualche anno. Ha praticamente buttato via le stagioni nelle categorie under 20, e se si scorre il suo curriculum è impossibile non notare il contrasto tra quei brutti piazzamenti giovanili e i successi di oggi. A 23 anni, comunque, era già in Nazionale di fioretto. Oro ai Mondiali di New York 2004, argento a Torino 2006, oro ad Antalia 2009. Facendo dentro e fuori dal quartetto azzurro, alternandosi con Margherita Granbassi e Ilaria Salvatori, finendo per prendere poi il posto in pianta stabile di Giovanna Trillini. Fino all’esplosione individuale col titolo iridato a Parigi 2010, imponendosi definitivamente nelle prime posizioni del ranking mondiale.
Sweet home Jesi
«Nessun posto è bello come casa mia», diceva Dorothy Gale battendo tre volte i tacchi delle sue scarpette rosse per lasciare Oz e tornare a Kansas City. Elisa Di Francisca la pensa esattamente allo stesso modo. Basta guardare il nick che ha scelto per il suo account Twitter, @ElisaLovesJesi, per capire quanto sia legata alla città in cui è nata. Il suo mondo è tutto là, in quel piccolo centro di 40 mila abitanti nella provincia di Ancona. Con gli amici di sempre, mamma e papà, i fratelli Michele e Martina (lui con un presente, lei con un passato da fiorettista), con la palestra del Club Scherma, che continua a chiamare «casa mia». Quando nell’intervista del canale olimpico di Youtube le chiedono cosa ricorda con più affetto di Londra 2012, lei risponde: «La faccia di Stefano (Cerioni, ndr), il mio maestro, di mio fratello, mia sorella mio padre e mia madre». Era a Londra, la regina dei Giochi, ma il suo cuore non si era mai allontanato da Jesi.
L’ultima Olimpiade
Rio 2016 è una tappa fondamentale nella carriera di Elisa Di Francisca. Quasi sicuramente l’ultima così importante. Ha 34 anni e non ha mai avuto intenzione di andare avanti oltre i 40 come Valentina Vezzali o Giovanna Trillini. Anche in questo è diversa da loro. Non ha ancora annunciato il suo ritiro, ma i segnali sono chiari. Il ct Andrea Cipressa ha iniziato a preparare il progetto Tokyo 2020 con una squadra che non conta più su di lei. Non avrebbe mai rinunciato alla Di Francisca se non fosse stata lei a tirarsi indietro. Nessuno lo farebbe mai. In Brasile, quindi, sarà la sua ultima Olimpiade. E allo stesso tempo la prima con un titolo da difendere e la seconda in totale. Con un altro oro avrebbe il 100% di vittorie ai Giochi e chiuderebbe alla grande, ripagandosi quella lunga attesa per diventare la più forte.