Per raggiungere tutte le località della Val di Sole, è possibile utilizzare un mezzo alternativo all’automobile: esiste infatti un servizio su ferro che parte da Trento, in un tronco esterno della stazione centrale. Utilizza treni comodi, funzionali e moderni, con aria condizionata e wi-fi. A bordo ci sono tanti padri e figli intenti a raccontarsi preventivamente le passeggiate che stanno per fare insieme, e gli orari sono rispettati al secondo. I finestrini incorniciano scenari incantati, meravigliosi. Montagna che d’inverno è bianca e d’estate diventa verde. Laghi, valli e paesini piccoli, di quelli che si vedono giusto un campanile e poche case.
Nei trenini, ogni mese di luglio, non ci trovi solo la gente del posto. Ci sono pure i tifosi di calcio, che arrivano da tutta Italia. Perché il Trentino e l’Alto Adige diventano una succursale in montagna del campionato di Serie A: dei venti club iscritti al torneo edizione 2016/2017, otto sono stati ospitati nella quintultima regione per popolazione del Paese. Uno squilibrio forte, che si conferma per la Serie B: otto squadre della cadetteria hanno scelto queste montagne per preparare la loro stagione. Potremmo definirla come una vera e propria supremazia: solo Piemonte e Veneto possono vantare di aver ospitato più di una squadra di Serie A nell’estate 2016.
Il ritiro precampionato è un momento sacro e iconico per il calcio. Sembra che esista da sempre, e in effetti è più o meno così. Solo che ci sono delle differenze troppo grandi perché si possa in qualche modo avvicinare quello che si fa oggi con quello che si faceva anni fa. Lo capisci da alcune quotes trovate in rete, vecchi racconti di allenamenti e viaggi nati senza troppa organizzazione. E di montagne, ovviamente. Giacomo Losi, capitano della Roma anni Sessanta, ricorda così una delle prime esperienze del club giallorosso in una “preparazione estiva”: «Tra le squadre del massimo campionato iniziò ad andare di moda l’altura. Noi cominciammo dal vicino Terminillo. Siccome non volevamo scendere a Rieti per le partitelle, ci accontentavamo dei prati montani, dove allestivamo campi improvvisati in cui non era semplice evitare gli escrementi di vacca. L’esordio sulle Dolomiti me lo ricordo bene. Partimmo allegri da Roma in pullman cantando ‘Quel mazzolin di fiori’, ma dopo più di otto ore di viaggio eravamo tutti stanchissimi tanto che sbagliammo percorso e ci ritrovammo su una mulattiera. Il bus finì presto fuori strada e il nostro primo allenamento fu la rimessa in carreggiata del pesante veicolo».
Nell’immaginario collettivo, la preparazione estiva è piena di immagini come queste. Rustiche, per questo poetiche: corse nei boschi, calciatori a rinfrescare i muscoli nel ruscello. Salite, ripetute e discese sui sentieri, torsi nudi e volti tirati dal sudore. Quella roba, oggi, non esiste più. Oppure esiste ancora, ma è tutta inscatolata all’interno di un pacchetto meno esclusivo, più ampio e completo. Che non comprende o contempla il solo lavoro fisico, ma sposa pure altre logiche. Preparazione tattica e con la palla, una vaga offerta di spettacolo e intrattenimento per i tifosi. Organizzazione, pianificazione, in campo e fuori. Ovviamente esistono le eccezioni, come ad esempio i sacchi da 20 kg d’acqua che Zeman, a Brunico nel 2012, faceva sollevare ai calciatori della Roma. A Totti, a Verre, al primo Pjanic. Una roba quasi lirica.
Al di là delle suggestioni, abbiamo voluto approfondire la questione. Capirla meglio. Per farlo, abbiamo chiacchierato un po’ con Alberto Bartali, ex preparatore atletico di Sampdoria, Zenit San Pietroburgo e Catania. Che spiega subito la sua (nuova) versione del “ritiro precampionato” partendo da un criterio innanzitutto etimologico: «Questa definizione è superata: io preferirei usare una denominazione diversa, ‘periodo pre-agonistico’. Un momento di preparazione in cui la squadra si allena senza sostenere partite ufficiali». Il resto della nostra intervista è diviso per punti. Un po’ parla Bartali, un po’ parla la narrazione di questa estate 2016 tra le montagne. Alla fine, forse, ne sapremo un po’ di più.
Zeman, i gradoni e la Roma 2012
I luoghi.
Giacomo Bulgarelli visitò col suo Bologna l’altopiano di Asiago. Se cerchi su Google ti viene fuori “Altopiano dei Sette Comuni”, con una pagina Wikipedia che ti spiega dove ci troviamo e ti accoglie con una splendida immagine panoramica, catturata proprio ad Asiago. Il calciatore a cui sarebbe poi stata intitolata una curva del Dall’Ara si trovò talmente bene, sulle montagne al confine tra Veneto e Trentino, da cercare e comprarsi una casa proprio lì.
Le squadre di calcio, ancora oggi, preparano la loro stagione in posti così. Ma le motivazioni della scelta sono ben lontane dalla narrazione dell’ossigenazione e del suo beneficio sui muscoli. Lo stesso Bartali, infatti, individua altrove i perché della montagna: «È una questione di clima e logistica, in quest’ordine. Non individuerei la montagna come luogo in cui la diversa ossigenazione permetta o inneschi particolari meccanismi fisici nei calciatori. Direi più che alcune regioni offrono temperature perfette per poter riposare bene la sera e allenarsi il giorno dopo con un clima caldo ma non eccessivamente umido. La qualità dell’aria, poi, fa il resto. Tutto, però, dipende dagli obiettivi posti dalla società e dalle contingenze. Ho lavorato con lo Zenit, e il periodo pre-agonistico era previsto per gennaio. In quel caso, abbiamo scelto il Medio Oriente, gli Emirati Arabi per prepararci alla nuova stagione calcistica. Un clima diverso a quello russo, per cercare di allenarci meglio, unito a strutture veramente fantastiche. Più o meno, lo stesso concetto che guida le squadre di serie A nella scelta di luoghi di montagna, ideali per qualità atmosferiche e anche per accogliere al meglio i calciatori e i tifosi».
La durata
Al netto di tournée internazionali varie, la squadra di Serie A che ha svolto il ritiro precampionato più lungo rimanendo nella stessa località è il Napoli di Maurizio Sarri: 21 giorni consecutivi per gli azzurri a Dimaro Folgarida, tre amichevoli con difficoltà crescente (i dilettanti dell’Anaune, il Trento e la Virtus Entella) e una serie di doppie sedute mattina-pomeriggio. Tra il 3 e il 5 agosto, tutte le squadre avranno terminato la preparazione, con Pescara e Bologna ultime a chiudere la fase del ritiro “classico”. La squadra di Oddo è stata ospite a Rivisondoli e Palena, località abruzzesi; per i rossoblu di Donadoni, ultima sessione a Kitzbuhel, in Austria, dopo un mese intero di preparazione. Le prime due fasi a Castiadas, in Sardegna, e a Castelrotto, in provincia di Bolzano.
Per gli azzurri partenopei, poi, altre tre settimane di preparazione nel centro sportivo di Castel Volturno. Totale, sei settimane: una cifra vicinissima ai 40 giorni raccomandati in un forum dedicato da Ferretto Ferretti, docente di Metodologia dell’allenamento alla Scuola allenatori della Figc; un numero perfetto secondo Bartali, che però sottolinea ancora come siano sempre e comunque gli impegni del club a indicare la strada da seguire: «L’ideale sarebbe concentrare il lavoro pre-agonistico in sei settimane, propedeutiche alla preparazione di altrettante amichevoli con avversari sempre più forti. Una doppia scelta che permetterebbe ai calciatori di mettere insieme il lavoro specifico in allenamento e il minutaggio giusto per avvicinarsi alla stagione. Tutto, ovviamente, può cambiare se la squadra deve giocare un preliminare europeo. L’anno scorso, alla Sampdoria, avevamo il turno estivo di Europa League come primo impegno ufficiale, e per questo motivo abbiamo iniziato il primo luglio a mercato ancora aperto. Abbiamo ridotto il tempo della preparazione, e questo ci ha causato dei problemi. Anche perché i calciatori, sommando tutte le situazioni, si godono più o meno un mese di vacanza. Hanno dei piccoli programmi fisici da rispettare, ma alla fine passano 30 giorni in infradito. Non è facile ritrovare subito la condizione, ecco perché è importante distribuire i carichi di lavoro sul maggior numero possibile di giorni e sedute».
Cosa si fa in ritiro: ieri, oggi, domani
La cosa che è cambiata di più rispetto al passato, che caratterizza il lavoro sempre diverso di ogni allenatore e quindi di ogni squadra. Giacomo Bulgarelli, nell’intervista in cui racconta di aver acquistato casa ad Asiago dopo essersi innamorato di quei luoghi, racconta delle differenze tra i calciatori e gli atleti di altri sport negli anni Sessanta: «Durante quei giorni in altura capimmo quanto i calciatori fossero diversi dagli altri atleti. Ad Asiago, infatti, si allenavano anche i fondisti dello sci e dell’atletica e noi non potevamo neanche pensare di fare qualche corsetta con loro perché ci avrebbero distaccato subito. E dire che il nostro programma non era certo leggero. Facevamo anche 10-15 chilometri al giorno ed effettivamente se riuscivi a svolgere una buona preparazione rimanevi in forma per tutto il campionato. Ma gli “altri” sportivi avevano comunque avevano un altro passo».
Nello stesso pezzo, che è possibile leggere grazie all’archivio online de l’Unità, il giornalista Massimo Billi racconta di come, in quegli anni Sessanta, ci fossero degli innovatori che «lavoravano per colmare il gap». Uno di questi era Helenio Herrera, che nella preparazione estiva della Grande Inter «iniziava a cimentarsi negli allenamenti specifici sulla velocità, sugli scatti ripetuti e sul contatto fisco. Tutta roba che don Helenio aveva mutuato dal rugby durante il suo periodo francese. Un giorno questi concetti, riveduti e corretti secondo i dettami del calcio totale, si sarebbero riuniti sotto il termine intensità».
I giocatori del Palermo in azione durante il ritiro di Bad Kleinkirchheim, Austria (M. Puglia/Getty Images)
Il lavoro fisico, dunque, caratterizzava il ritiro di una volta. Oggi, invece, la situazione è cambiata. Le sedute della Roma a Pinzolo, dopo una prima sessione effettivamente dedicata alla parte atletica, si sono concentrate soprattutto sulla preparazione tattica; il Napoli di Dimaro, invece, ha sorpreso tutti dal primo giorno: riscaldamento pure blando, quasi sempre col pallone. E poi esercitazioni di gioco e partitelle, ogni giorno diverse e sempre orientate alla cura di ogni variazione situazionale. Prima la difesa, poi l’attacco: i due reparti si sono calati ogni giorno, per ogni esercizio, in simulazioni sempre diverse adattate a tutti i momenti di gioco. Stessa cosa per il Cagliari, a Pejo e poi ad Aritzo, comune della Barbagia di Belvì (provincia di Nuoro); e per la Sampdoria affidata da quest’anno a Marco Giampaolo, anche se il tecnico marchigiano ha dato una direzione precisa e leggermente diversa alle due fasi del ritiro: «Abbiamo lavorato molto – ha spiegato al Secolo XIX il preparatore atletico Stefano Rapetti -, con allenamenti svolti sempre ad alta intensità sia negli aspetti tecnico-tattici che nei lavori specifici. E l’alta intensità produce tossine. In accordo con l’allenatore è stato deciso di dare maggiore importanza al lavoro atletico nelle prime quattro settimane (Bogliasco, Temù, Acqui), visto che poi si partirà per la Spagna e da quel momento ci sarà una possibilità ridotta di farlo».
Pur in uno scenario variopinto, la direzione è comune. Alberto Bartali spiega che non si sfugge a questo tipo di lavoro, anche se l’esasperazione è sempre negativa: «Non si può più prescindere dall’uso della palla, anche nella fase pre-agonistica. È chiaro che adesso l’andazzo vada in questa direzione, un po’ tutti gli allenatori tendono a uniformarsi. È così, e mi sembra giusto. Però non sarebbe male recuperare alcuni concetti che erano considerati molto importanti fino a qualche anno fa. Percorrere un po’ di chilometri, in fondo, non comporterebbe un grosso sacrificio per quanto riguarda il lavoro tattico. Basti pensare a quello che accadeva negli anni Settanta e Ottanta, quando in questa fase di preparazione la palla non esisteva nemmeno. Adesso è giusto utilizzarla fin da subito, ma è necessario integrare il lavoro tecnico-tattico con quello atletico. Gli sviluppi metodologici non possono prescindere dal parallelismo tra questi due momenti fondamentali di preparazione».
Il Napoli si prepara alla nuova stagione a Dimaro
La fase pre-agonistica come preparazione, dunque, secondo il significato etimologico del termine: attività volta ad acquisire o a far acquisire le cognizioni o l’addestramento necessarî in vista di una prova. Va vista e pensata e vissuta così, non come accumulo di allenamento ed energie in vista della stagione che verrà: «La narrazione del ritiro precampionato come “deposito di forza” – spiega ancora Bartali – è sbagliata in partenza: pensare di aumentare l’intensità durante l’estate per potersene giovare durante l’inverno, magari diminuendo gli allenamenti, è un grave errore. Il lavoro di luglio va visto come un momento di ingresso importante, da riempire con i contenuti giusti. I carichi vanno ridistribuiti con attenzione durante la stagione, quello che deve caratterizzare questa prima fase è la personalizzazione».
Questo punto, insieme allo sviluppo delle professionalità e delle tecnologie, è quello su cui Bartali insiste di più. Lo declina utilizzando molti vocaboli: individualizzazione dei programmi, specificità del lavoro, caratterizzazione delle sessioni ad personam. Un flusso continuo di termini per spiegare come il ritiro di un preparatore atletico, nel 2016, debba essere orientato a far sì che tutti rendano al meglio partendo dalle proprie caratteristiche: «I calciatori necessitano di lavori personalizzati. Lo staff tecnico ha il compito, direi anche il dovere, di far sì che ogni atleta possa svolgere un lavoro basato sui propri parametri fisici e tecnici e sul proprio storico degli infortuni. Tutto deve essere calcolato, l’integrazione tra lavoro tecnico-tattico e atletico deve avvenire nel pieno rispetto del fisico del calciatore. Ecco perché oggi uno staff di preparazione atletica si compone di un responsabile e di molte figure di supporto, fondamentali per la divisione dei compiti e per monitorare tutti i dati. Il futuro si baserà anche sull’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici, anzi abbiamo già iniziato: i rilevatori gps che indossano i giocatori sono fondamentali per capire velocità e intensità del lavoro, parametri importanti per costruire il giusto programma di recupero, allenamento o potenziamento per ogni giocatore. Tutto è diverso da quando ho cominciato io: lavoravo da solo, oggi ho uno staff di cinque-sei collaboratori. Inutile dire o aggiungere che i risultati sono senza dubbio migliori rispetto a quelli di una volta».
Finale
Giacomo Losi era soprannominato Core de Roma. Del resto, quindici anni in giallorosso sono roba da Totti ante litteram, da mito assoluto. Ha raccontato così i suoi ritiri precampionato: «In effetti, passavamo la prima settimana con le scarpe da ginnastica ai piedi. Il contatto con il pallone ci era precluso e noi lo aspettavamo con una certa ansia». Qualcosa è cambiato, da allora. Ora che ne sappiamo un po’ di più, possiamo dirlo con certezza. E possiamo dire pure che questo qualcosa è cambiato in meglio, decisamente. Pure se il luogo è rimasto lo stesso, pure se le montagne sono ancora lo scenario preferito. È andata esattamente come per i treni che partono da Trento e arrivano in Val di Sole: hanno il wi-fi e l’aria condizionata, ma permettono di arrivare negli stessi posti di sempre. Oggi ci si arriva meglio perché si viaggia meglio: a volte, sono i modi a fare la differenza.