L’esperimento Milik

Arkadiusz Milik è arrivato a Napoli per sostituire Gonzalo Higuaín. Un affascinante esperimento socioculturale per una città che non ama sentirsi normale.

I profili Facebook, Twitter e Instagram di Arkadiusz Milik ci dicono che Arkadiusz Milik è uno che sorride. Probabilmente è in grado di apprezzare il sé stesso che è diventato, la vita che conduce e che ha condotto. Forse è davvero una di quelle persone soddisfatte. Che, se potessero tornare indietro, rifarebbero tutto daccapo, uguale identico. Lo vedi in tante piccole cose: nelle foto pubblicate, nei tweet pieni di emoticon – roba che farebbe un qualunque ragazzo nato nel 1994 come lui -, nel modo in cui interagisce senza problemi col suo passato e con tutti quelli che entrano in contatto con il suo mondo. Ieri, ad esempio, ha pubblicato su Facebook una lettera d’addio ai tifosi dell’Ajax. Una cosa bella, scritta col cuore, che si apre con la frase a effetto “Once Ajacied = Ajacied forever”. Oppure, sempre ieri, ecco il retweet del gol di Klaassen in Paok Salonicco-Ajax. L’immagine di copertina con il crest del Napoli e sotto un post con quello del club olandese, più piccolo ma solo per ragioni di templates e link. Come definirla: integrazione, unione di appartenenze vecchie con colori e sentimenti nuovi.

Milik a Napoli è un’affascinante esperimento socioculturale, un tentativo di normalità in un luogo che ama immaginarsi e professarsi “non normale”. L’attaccante polacco, forse inconsciamente, sta provando a rispondere con l’ordinarietà alla richiesta straordinaria del Napoli e quindi di Napoli: sostituire Gonzalo Higuaín. Una roba che è facile definire impossibile, straordinaria nel senso di fuori dall’ordinario. Almeno e soprattutto ora, in questi giorni, che la città è letteralmente inondata di veleno per l’addio del Pipita. Arkadiusz è quanto di più lontano possa esistere dall’esasperazione emotiva di Napoli, eppure è stato accolto bene. Del resto, non puoi guardare male uno che, su Twitter, dialoga così con un signore che si chiama Russell Crowe.


I primi due gol di Milik con la maglia dell’Ajax nell’ultima stagione, realizzati un anno fa nella seconda e nella terza giornata di Eredivise, sono da guardare e riguardare per una prima, immediata analisi del repertorio di Arek, diminutivo e ormai nickname universalmente riconosciuto di Arkadiusz. Non tanto per la cifra stilistica delle conclusioni, che di solito rappresenta la discriminante tra una rete bella e una brutta. Qui vince un altro parametro estetico, forse meno appariscente ma più sottile: quello del movimento, della preparazione. Prima del colpo di testa vincente contro il Willem II, ad esempio, l’attaccante polacco evita a centro area il contatto fisico e la marcatura del difensore avversario (svagato e disattento, a dirla tutta) in modo da trovarsi solo, di fronte alla porta spalancata, un attimo prima della conclusione; l’azione che invece lo porta al tiro decisivo in casa del Nec Nijmegen si apre con una sua sponda di prima a centrocampo, seguita da un perfetto inserimento esterno sul lato debole della difesa avversaria. L’uno contro uno e il sinistro sul primo palo che vengono dopo, e gli valgono il gol, sono solo una conseguenza del lavoro svolto per la squadra, insieme alla squadra.

Non è un episodio isolato: una delle caratteristiche migliori di Milik è la sua capacità di ricoprire un ruolo che non è solo terminale all’interno di un contesto tattico, di interagire con il calcio che lo circonda prima e oltre una sua conclusione verso la porta. Lo leggi in un dato particolare, quello dei key passes in correlazione ai gol segnati nell’ultima stagione di Eredivise: 25 a 21. Milik, quindi, costruisce più occasioni di quante effettivamente ne finalizza con successo. A questa propensione alla manovra, il centravanti polacco aggiunge anche una buona lettura dell’ultimo passaggio: sono 7 gli assist confezionati nell’ultimo campionato, per un totale definitivo di 32 azioni offensive nate dal suo lavoro, in 31 presenze di Eredivise. Di queste, solo 20 giocate per intero.

Portugal's midfielder Renato Sanches (L) vies with Poland's forward Arkadiusz Milik during the Euro 2016 quarter-final football match between Poland and Portugal at the Stade Velodrome in Marseille on June 30, 2016. / AFP / BORIS HORVAT (Photo credit should read BORIS HORVAT/AFP/Getty Images)
Milik affronta Renato Sanches durante i quarti di finale di Euro 2016 (Boris Horvat/Afp/Getty Images)

Milik ottimo uomo di raccordo, dunque. Tanto da essere definito “The Perfect Foil for the Poland’s Potent Attack” da Ben McAteer di Whoscored. Ma Milik è anche e soprattutto un attaccante, un centravanti. Uno che sta in campo per fare gol. Anche in questi casi, i numeri sono positivi: 21, come detto, sono le reti messe a segno, ma è buonissima anche la shot accuracy, pari al 50% scarso. Se Milik tira due volte, almeno per una di queste centra la porta. Volessimo scendere ancora di più nel dettaglio, potremmo dire che sulle 45 conclusioni nello specchio messe insieme nell’ultima annata di Eredivise, poco meno della metà si sono trasformate in gol.  La percentuale di conversione, pari al 19%, è esattamente la stessa tenuta nell’ultima stagione da Gonzalo Higuaín con la maglia del Napoli. Niente male, quindi.

La prima narrazione del Milik italiano ha posto l’accento sul suo passato da bad boy, sulla storia delle sigarette e dei furtarelli nei negozi alla tenera età di sei anni. Una vicenda raccontata dallo stesso Milik in un’intervista a Mecz Sport. Poi, subito dopo, è stata la volta delle prestazioni non esaltanti durante l’ultimo Europeo. Una manifestazione che Milik ha vissuto da secondo violino accanto a Robert Lewnadowski. Arek è stato un comprimario consapevole: nella conferenza stampa di presentazione di Polonia-Portogallo, è lui stesso a spiegare ai giornalisti come il suo compito nella Nazionale polacca vada poco al di là del «rispetto delle consegne tattiche dell’allenatore».

Goal collection 2015/2016.

Per Arek, quella contro il Portogallo è una partita diversa da tutte le altre: più volte, anche e proprio in quella conferenza, il centravanti polacco ha confessato e sottolineato l’innamoramento adolescenziale per Cristiano Ronaldo. Una roba vera, importante, radicata. Talmente profonda da fargli dichiarare, appena dopo aver accettato il trasferimento al Bayer Leverkusen nel 2012, che il Manchester United è la sua squadra del cuore. E che un giorno, comunque lontano, gli piacerebbe giocare con i Red Devils.

Il match contro la selezione lusitana metterà la parola fine alla prima grande manifestazione giocata da Milik, che chiude l’esperienza francese con un solo gol segnato, contro l’Irlanda del Nord nella prima partita della fase a gironi. È una realizzazione che potremmo definire à la Milik: palla giocata sulla destra da Błaszczykowski, che va sul fondo mentre al centro Lewandowski e Kapustka puntano la porta. Milik, invece, segue l’azione più lentamente, non cerca l’inserimento ma resta intelligentemente defilato, qualche metro indietro, all’altezza della linea dei 16 metri. L’esterno ex Borussia Dortmund e Fiorentina legge perché sente il posizionamento del compagno, allora lo cerca e lo trova con un cross basso. Un tocco per aggiustarsi la palla, poi il tiro. Tutto di sinistro. E tutto buono, che però è una cosa diversa da “bello”. Lo stesso principio di cui abbiamo già parlato prima: il primato estetico di questo gol è quello del movimento, non quello della conclusione verso la porta. Che in realtà è un po’ centrale e viene pure sporcata dal portiere. È un tiro comunque in linea con un Europeo non proprio scintillante (in fase conclusiva) per Milik, una roba da 16 tentativi verso la porta e una sola rete. Il suo rendimento in terra di Francia racconta però di un altro primato, stavolta postivo: con 11 occasioni costruite tra assist (uno) e key passes, Milik è stato il migliore creatore di gioco offensivo dell’organico a disposizione del ct Nawałka. Lo stesso commissario tecnico, in un’intervista, ha detto di apprezzare «la capacità di muoversi sul campo e la consapevolezza tattica di Milik». Tutto torna.

Il gol contro l’Irlanda del Nord.

Da queste premesse parte la discussione su Milik come (primo, finora) sostituto, nel Napoli, di Gonzalo Higuaín. Wim Kieft, che negli anni Ottanta ha messo insieme un centinaio di partite tra Pisa e Torino, ha definito il polacco come «un calciatore con un potenziale pari a quello di Ibrahimovic, Suarez, Huntelaar». Ha ovviamente esagerato, anche se l’hype intorno a questo giocatore sembra(va) essere quello che normalmente viene destinato a una superstar futuribile del pallone. Poi, all’improvviso, ecco questa investitura che pare essere davvero prematura, oltreché poco assimilabile alle caratteristiche narrative del calciatore. Per capire cosa intendiamo, basta cambiare i nomi di Higuaín e Milik con la suggestione riferita alla loro nazionalità: fuori un argentino, dentro un polacco. Non è questione di razzismo, ma proprio di una diversa suggestione.

Eppure, l’esperimento Milik-Napoli può funzionare. Anche partendo così, in maniera tanto improvvisata. Certo, quasi sicuramente non porterà alle cifre sotto porta garantite dall’ultimo Higuaín, ma l’approccio sembra essere positivo. Ed ha un nome e un cognome. Parliamo ovviamente, di Maurizio Sarri, che pare abbia accolto con un certo entusiasmo l’arrivo a Napoli del centravanti polacco, definito «unico», un anno e mezzo fa, da uno che di attaccanti se ne intende. Ovvero, Dennis Bergkamp. Già dal primo giorno di ritiro a Dimaro, l’allenatore toscano ha impostato una squadra capace di interpretare in maniera diversa, rispetto allo scorso anno, la fase offensiva: non più una dipendenza irrimediabile e incorruttibile dal lavoro conclusivo di un solo uomo, ma un vero e proprio menu di soluzioni d’attacco che “poggiano” sul centravanti, che partono da lui senza doversi per forza concludere con lui. Le combinazioni studiate in Trentino tra i componenti del tridente e i centrocampisti, infatti, prevedono che la prima punta venga indietro a giocare il pallone spalle alla porta per poi smistarlo subito, attraverso giocate elementari ma rapide, sui compagni che intanto si inseriscono in verticale. Un lavoro che sembra cucito addosso a un ragazzo alto e forte (1,86 per 78 kg), bravissimo a difendere il pallone in ogni situazione (agli Europei ha vinto il 52% dei duelli individuali) e comunque “portato” alla distribuzione del gioco (il dato incoraggiante dei key passes di cui abbiamo già scritto, ma anche un 72% di accuratezza totale negli appoggi nell’ultima stagione in Olanda).

Poland's forward Arkadiusz Milik scores a goal during the Euro 2016 group C football match between Poland and Northern Ireland at the Stade de Nice in Nice on June 12, 2016. / AFP / BORIS HORVAT (Photo credit should read BORIS HORVAT/AFP/Getty Images)
Arkadiusz Milik va in rete durante il match di the Euro 2016 tra Polania e Irlanda del Nord (Boris Horvat/Afp/Getty Images)

Tutta un’altra cosa, tutta un’altra storia rispetto allo spartito di gioco eseguito durante lo scorso campionato, che lo stesso Sarri definì con una frase significativa: «Higuaín è il centro del nostro mondo». Il Napoli 2015/2016 costruiva la sua manovra in modo da assecondare il suo attaccante e miglior interprete, bravissimo e sempre propenso a rientrare a centrocampo per giocare il pallone e allungare la difesa avversaria, ma comunque unico destinatario designato per i servizi dei compagni. Passare da uno stile esclusivista a uno più partecipativo, e parliamo ovviamente e in primis di fase conclusiva, potrebbe in qualche modo rendere meno doloroso il distacco da Higuaín e il passaggio a un centravanti più normale, perché meno accentratore e non “protagonista per forza”, come Arkadiusz Milik. Potrebbe agevolarne l’inserimento, potrebbe aiutare il pubblico napoletano a capire che il cambio non è stato ovviamente vantaggioso in termini di qualità assoluta, ma potrebbe portare a un Napoli diverso, ancora più spettacolare perché più vario al momento di concretizzare la sua (enorme) produzione di gioco.

Il Maestro e l’Apprendista. Milik in Nazionale (insieme a Lewandowski).

Quella che abbiamo (de)scritto finora è ovviamente la previsione più ottimistica in merito sul futuro rendimento di Milik al Napoli. La squadra si adatta e si trasforma un po’, Milik gioca bene, segna pure qualche gol e il pubblico è contento. Ma potrebbe anche non andare così. E nutrire dei dubbi, quando si tratta di sostituire Higuaín, è un atteggiamento non solo legittimo, ma pure comprensibile. Anche perché le incognite sono tante, in effetti: se per Alejandro Moreno di Espnfc l’acquisto del polacco da parte del club partenopeo è semplicemente «deludente», Michael Yokhin scrive di come Milik «non sia ancora un prodotto finito», di come «il giocare col solo piede sinistro lo renda talvolta prevedibile».

Non ci sarà molto da attendere per sapere come andrà a finire questa nuova storia. O meglio, per sapere come comincerà. Tra 17 giorni è già tempo di campionato, e Milik sembra già pronto. Nella testa, perché in campo non si è ancora visto. Ma è già qualcosa. Nell’unica intervista concessa a cavallo del suo arrivo in Italia, a calciomercato.it, ha deciso di prendere di petto la questione, dichiarando lapidariamente: «Io non sono Gonzalo Higuaín». Una frase normale. Che in questo momento, a Napoli e per Napoli, è la medicina più giusta per iniziare a scacciare dalle teste il fantasma del Pipita. Poi sarà la volta di farlo in campo, magari attraverso la forza di quella stessa normalità. La forza di Milik, la stessa forza che l’ha portato da Tichy, piccolo centro della Slesa, pieno entroterra polacco, fino al top del calcio europeo. E che, appena cinque anni fa, gli ha suggerito di rifiutare offerte dalla Premier League, da Tottenham e Reading, perché «era ancora troppo presto».

NAPLES, ITALY - AUGUST 01: Arkadiusz Milik smiles during the pre-season friendly match between SSC Napoli and OGC Nice at Stadio San Paolo on August 1, 2016 in Naples, Italy. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
Milik viene presentato allo stadio San Paolo durante l’amichevole pre-stagione tra Napoli e Nizza (Francesco Pecoraro/Getty Images)

A volte, normalità vuol dire anche e soprattutto conoscenza di sé. Dei propri limiti, che non è ancora tempo di giocare in Inghilterra oppure che “io non sono Gonzalo Higuaín”. Ma può anche essere sicurezza, consapevolezza delle proprie capacità, di quanto le scelte fatte siano sempre state giuste. Arkadiusz Milik, evidentemente, è davvero una di quelle persone soddisfatte. Che, se potessero tornare indietro, rifarebbero tutto daccapo. Uguale identico. Ecco perché sorride, forse.