Ossessione olimpica

Dopo il bronzo di quattro anni fa a Londra, l'Italvolley insegue un oro olimpico che manca nella storia della Nazionale azzurra.

Dopo “l’oro abbronzato” (copyright Gigi Mastrangelo) di Londra 2012, domenica pomeriggio è ripartita la caccia dell’Italvolley maschile a quella medaglia d’oro mai vinta nella storia olimpica. Un’ossessione che alla vigilia dei Giochi di Rio sfumava nell’utopia, considerato che l’Italia non primeggia in una manifestazione internazionale dagli europei casalinghi del 2005, nonostante poi il fragoroso 3-0 all’esordio nella fase a gironi contro la Francia campione d’Europa dia comprensibilmente possa alimentare i classici voli pindarici. Un successo che d’altro canto, leggendo tra le pieghe dell’ultima World League, che la selezione di Gianlorenzo Blengini ha chiuso al quarto posto, conferma i segnali promettenti forniti dagli azzurri nelle ultime settimane, al punto da lasciare presupporre intriganti margini di miglioramento. Abbastanza per confermare il bronzo di 4 anni fa o, perché no, salire ancora più in alto?

La stagione della Nazionale si era aperta con il ritorno di Ivan Zaytsev nel ruolo di schiacciatore. Una mossa a posteriori estemporanea, ma a maggio, a giudicare da come si erano sbilanciati gli stessi protagonisti – da Blengini allo stesso Zaytsev, il quale aveva dato la sua disponibilità ad abbandonare il ruolo di opposto dopo le rimostranze del recente passato – pareva qualcosa di più di un esperimento en passant. Del resto Osmany Juantorena era a riposo forzato causa spalla usurata, mentre Filippo Lanza era reduce da un paio di mesi a regime ridotto in seguito ai problemi di sovraccarico al ginocchio e a corto di ritmo partita; in più l’altro opposto, quel Luca Vettori Campione d’Italia con la Dhl Modena, arrivava dalla migliore annata della sua carriera (48,6% in attacco). Per cui fiducia al Vetto in posto 1-2 e lo “zar” dittotato in 4 (lo stesso scenario che si profilerà anche nel suo prossimo club, la Sir Perugia) allo scopo di alimentare l’incisività dell’attacco e del muro.

RIO DE JANEIRO, BRAZIL - AUGUST 07: Thibault Rossard #18 spikes the ball during the Men's Preliminary Pool A match between the Italy and France on Day 2 of the Rio de Janeiro Olympic Games at Maracanzinho on August 7, 2016 in Rio de Janeiro, Brazil. (Photo by Buda Mendes/Getty Images)
Gli azzurri a muro su Thibault Rossard durante i preliminari del gruppo A (Buda Mendes/Getty Images)

Il problema di fondo è che a Zaytsev non si può chiedere di essere risolutivo come può esserlo da fuori mano, in quanto si tratta di un giocatore costruito (ogni tanto è bene ricordare che è cresciuto da palleggiatore, salvo poi riciclarsi attaccante verso i 20 anni) che non può possedere quella manualità alla base del background di una banda. Il classe ’88 interpreta la pallavolo in maniera più fisica ed esplosiva, e quando alla base dell’azione non c’è una certa intensità e una buona altezza del palleggio, il suo attacco perde di efficacia. A maggior ragione quando bisogna gestire palle più scontate, più staccate da rete e soprattutto meno spinte.

Paradossalmente “Ivano” da martello ha offerto più garanzie in ricezione, piazzandosi al quarto posto nel ranking dei migliori ricettori per percentuale perfetta al termine della prima fase della World League. Il ritorno nel “suo” ruolo, al di là del rientro di Juantorena, è stato determinato dal differenziale in termini di presenza rispetto a Vettori. È vero che quest’ultimo possiede una tecnica superiore e più direzioni di attacco, però il suo è un gioco funzionale solo in contesti prettamente lineari. E quando gli scambi iniziano ad allungarsi e bisogna iniziare a giocare col muro o comunque cercare palle più sporche, ecco che il suo stile, unito ad una tenuta mentale più altalenante, perde di consistenza. Un avvicendamento che si è concretizzato all’inizio del terzo set della prima sfida delle F6 contro il Brasile (0-3), quando il Vetto è rimasto in panca dopo un modesto 5/16 in attacco, compresi 5 errori punto.

Palla impiccatissima di difficile gestione, ma il numero 9 sceglie la soluzione peggiore, chiudendo il colpo con un attacco potente e senza direzione.

Da quel momento in poi Blengini ha puntato su Zaytsev posto 2, supportato da Juantorena e Lanza di mano. Le percentuali offensive non hanno premiato il nuovo (vecchio) trio di palla alta, che nelle 4 partite delle final 6 non è andato oltre il 42,52%, contro il 50,15% della fase iniziale. Non sono mancate però le attenuanti: detto della pochezza di avversari incontrati 4 volte nella prima parte come Belgio ed Australia e che parliamo di un sistema che si fonda quasi esclusivamente sui laterali, va posto in questo senso l’accento sulla condizione deficitaria dei due schiacciatori.

Tra i due, Lanza al termine delle finali è apparso quello più indietro, anche perché, non avendo la fisicità dalla sua (è alto “solo” 194 centimetri), sopperisce a questo gap con quell’esplosività che gli permette di attaccare palle molto spinte, grazie alle quali anticipa il muro, e di proporsi come una validissima opzione in pipe come in difesa, specie su situazioni dinamiche. Giannelli ha cercato di assecondarlo, ma vuoi le sue alzate non sempre precise, vuoi appunto una reattività non ancora performante da parte del martello classe ‘91 (vedi qui  e qui), i due hanno faticato a ritrovare l’intesa instauratasi nel biennio a Trento, tanto che Lanza in questa F6 non è andato oltre il 42,11% stampato contro gli Usa (36,5% di media).

Quando invece il timing è ideale, vengono fuori cambi palla come questo. Da notare la finta di pipe ad opera di Juantorena e di 7 ad opera di Birarelli, in una sorta di rivisitazione del cambio palla alla brasiliana.

Decisamente più incoraggiante l’epilogo di World League dell’italo cubano: dopo essere rientrato il primo luglio contro l’Argentina e aver disputato sostanzialmente 3 partite di rodaggio per ritrovare spaziature e altezze accettabili (per la cronaca, è in grado di colpire la palla a 3 metri e 70!), le sue prestazioni sono lievitate, sfoggiando una volta di più la profondità del suo repertorio, frutto anche della sua capacità di lettura del muro-difesa avversario. Non siamo ancora ai livelli dell’ Osmany che si è caricato la Lube sulle spalle nell’ultima stagione (53,4% su 601 attacchi e 35,7% di ricezione perfetta), ma il 45,01% nelle finali di Cracovia su 102 palloni è un dato più che lusinghiero, che non racconta però la quantità di palle obbligate che è stato costretto a gestire e che spesso ha risolto passando indifferentemente sopra, a fianco al muro o comunque limitando gli errori (14 totali) grazie alla sua abilità tecnico-analitica. Uno score che, usufruendo di quella ventina di giorni di “stacco” tra WL e Giochi, al debutto contro i francesi è incrementato ulteriormente, con un buonissimo 57,9 % (11/19) per la “pantera” di Santiago. Che ha deciso di sposare la causa azzurra un anno fa proprio per andare a quelle Olimpiadi che non avrebbe mai potuto disputare per la sua Cuba, visto che la sua patria non rilascia il nulla osta agli atleti emigrati all’estero.

Pipe e “diago” stretta, alcune carte di una delle bande più forti in circolazione.

Zaytsev invece ha chiuso il torneo con un grigio 40%, la cui efficienza scende addirittura al 16,9% (per farsi un’idea, il top scorer dell’ultimo campionato di A1, Atanasijevic, viaggiava sul 29%). Numeri ben distanti dal 54,52% di squadra ottenuto nella World Cup di un anno fa, in cui gli stessi 3 laterali si erano sobbarcati l’82,02% dei palloni. Quest’estate in realtà ne hanno attaccati addirittura l’85,53%, ma senza una condizione fisica e una ricezione adeguate (33,3% di rice ++, contro il 35,9 della Serbia vincitrice, il 40,9 del Brasile e il 43,2 della Francia) il sistema rischia di tramutarsi in un circolo vizioso che finisce con l’estromettere i centrali dai giochi offensivi e logorare ulteriormente il trio di palla alta contro un muro nemico che può farsi più aggressivo su determinate opzioni escludendone altre a priori.

Ammesso e non concesso che la percentuale di ricezione doppio positiva migliori di 3-4 punti, allo stato dell’arte attuale l’unica soluzione plausibile è quella di provare a coinvolgere maggiormente i centrali. Certo, non possiamo contare su specialisti dei primi tempi – Matteo Piano, Simone Buti ed Emanuele Birarelli nei rispettivi club attaccano meno di 7,5 palloni a partita, con un rendimento inferiore al 58% – però se nell’arco di una partita riuscissimo a servire loro mediamente 4-5 palloni in più a gara (nelle finali di World League 13,25) con una percentuale da parte dei posti 3 almeno del 60%, potremmo creare un gioco leggermente più vario, che smarca con più continuità gli esterni. Cosa che domenica si è verificata parzialmente: 13 palloni su 72 complessivi per Piano e Birarelli, che hanno schiacciato il 18% delle alzate di Giannelli, firmando 8 punti.

La gif dell’estate: Zaytsev che prova invano a contenere il suo disappunto.

Per un cambio palla che è andato deteriorandosi, c’è una fase punto che, al netto dei limiti “storici” che l’attanagliano da almeno un paio d’anni a questa parte, è cresciuta nelle 3 sfide conclusive di World League, per poi tramutarsi addirittura in un fattore incidente contro la nazionale di Tillie senior. Il punto di rottura va ricercato nel secondo set del match contro gli Stati Uniti, l’unico vinto dagli uomini di Blengini nelle F6. Da quel 3-1 gli azzurri hanno fatto segnare una media muri/set pari a 2,67, superiore a quella delle tre squadre che l’hanno preceduta nel torneo.

Nella prima parte Giannelli e soci, appena 2,14 muri/set, hanno sofferto da un lato gli attacchi centrali (soprattutto le pipe, di lettura particolarmente complessa), dall’altro le spaziature rivedibili dei centrali negli spostamenti laterali, associate ad un orientamento spesso errato delle mani dei muratori esterni e ad un’insufficiente invadenza. Per un Birarelli che si è disimpegnato piuttosto bene, confermandosi un solido punto di riferimento in entrambe le fasi, c’è stato invece un Buti che, oltre a non essere riuscito a trovare con Giannelli una palla ideale (un 7/20 macchiato pure da alcuni errori grossolani figli di un braccio non sempre preciso), ha stentato a leggere le mani del palleggiatore avversario, risultando spesso in ritardo nelle traslocazioni. Blengini nel corso della semifinale persa al tie break con la Serbia ha sostituito il centrale di Perugia con Matteo Piano, il quale pare essersi messo alle spalle l’intervento alla schiena: neppure i primi tempi del posto 3 di Modena possono garantire un’ampia gamma di direzioni (predilige attacchi verticali e profondi in zona 6), tuttavia la maggiore presenza a muro del classe ‘90 in questo momento potrebbe rappresentare un buon argomento in favore della sua titolarità.

Finale per il terzo posto: Piano marca a uomo Le Roux e lo stampa. Domenica nel terzo set la replica in carta carbone.

Cos’è cambiato quindi negli ultimi match? Di base il servizio, pur ottenendo pochi punti diretti (0,99 a set, in A1 peggio solo Piacenza) ha costretto l’avversario di turno ad attacchi più staccati (e dunque più lenti e prevedibili), che ha favorito a sua volta la formazione di un muro mediamente più compatto ed invadente, capace di effettuare 7,53 tocchi utili a set, secondo solo a quello serbo (7,9). In più il già menzionato spostamento di Zaytsev ha generato in posto 2 una coppia con Giannelli decisamente efficace, capace di restringere le traiettorie d’attacco avversarie. In realtà anche nelle sfide della fase eliminatoria l’Italia ha proposto una battuta interessante, ma spesso è stata vanificata da un orientamento fallace delle mani o da un salto da parte dei muratori troppo anticipato.

Nonostante invece contro Usa, Serbia e Francia – mi riferisco naturalmente alla finale per il terzo posto di World League – la prima linea sia stata in grado di fermare, sporcare o per lo meno orientare con una certa frequenza le iniziative avversarie, talvolta la seconda linea non ha prestato la necessaria attenzione, sbagliando ora il posizionamento, ora correlandosi male con i muratori nelle traiettorie da coprire. E vanificando i presupposti per il contrattacco.

Alcune topiche in difesa. Nell’ordine: malinteso tra Lanza e Colaci, ancora Colaci che non difende zona 6-3, Zaytsev non copre la sua zona competenza e Kovacevic buca con una palletta il muro a 3.

Il quadro della situazione, leggendo queste righe e sovrapponendolo all’eccellente 3-0 dei ragazzi di Blengini contro i transalpini, potrebbe apparire come anacronistico. In realtà, come scritto sopra, questa è una squadra che costruisce le proprie fortune sul rendimento del trio di palla alta. E se quindi Juantorena e Lanza  confermano queste prestazioni e questa tenuta fisica pure nel proseguo del torneo olimpico, il primo a beneficiarne è il palleggio del classe ’96 Giannelli – superlativo nella distribuzione per scelte e precisione come al servizio – e di riflesso pure Zaytsev, non più costretto a sobbarcarsi una mole di palloni sporchi. Anche perché il cambio palla è forse la peculiarità principale di questa selezione, nonché uno dei più efficaci del panorama internazionale per velocità d’esecuzione.

Analogamente se il muro sarà in grado anche solo di avvicinarsi agli standard monstre offerti domenica – impensabile del resto bissare gli 11 block in e i 22 tocchi positivi in 3 set contro l’equipe de France, specie contro attacchi meno scontati allora il gap con le altre big – oltre alla stessa Francia, il Brasile padrone di casa e gli Stati Uniti vincitori della WL 2014 – potrebbe assottigliarsi ulteriormente. Avversari che gli azzurri incroceranno nel girone eliminatorio, comprendente anche i più abbordabili Messico e Canada. La buona notizia è che accedono ai quarti le prime 4, per cui “basterà” vincere un’altra delle prossime 5 gare da 3 punti per qualificarsi alle fase ad eliminazione diretta. Dopodiché scopriremo se l’ossessione olimpica si prolungherà per un altro quadriennio.

Se siamo questi, allora si può andare lontano.