C’è stata una parola che più di ogni altra ha accompagnato gli atleti che hanno partecipato all’ultima edizione delle Paralimpiadi di Rio. La parola in questione è ispirazione. Molti atleti si sono però sentiti offesi da questo termine, visto come un mezzo per rimarcare la loro condizione di disabile e, di conseguenza, la loro diversità rispetto ai normodotati.
«È una parola che non ci piace sentire» ha dichiarato al New York Times la nuotatrice americana Jessica Long, vincitrice di 23 medaglie d’oro in quattro Olimpiadi e priva di entrambe le gambe sin dall’età di 18 mesi: «Sto solo facendo quello che mi piace. Ho subito una duplice amputazione alla nascita e non ricordo nient’altro. Non intendo stare chiusa in casa e nascondermi».
Il suo punto di vista è condiviso da molti atleti, che da anni si battono per convincere la gente che non c’è differenza tra Olimpiadi e Paralimpiadi: entrambe le competizioni richiedono anni di duri allenamenti e spirito di sacrificio. Un altro nuotatore, l’italiano Vincenzo Boni, sostiene che «la stupidità delle persone consiste nel giudicare gli altri. Noi siamo atleti alla pari di quelli olimpici».
Il judoka canadese Tony Walby, cieco dal 2006, ha ammesso di non apprezzare la parola ispirazione: «Mi fa sentire danneggiato rispetto ai normodotati. Molti disabili non vedono un limite nella loro condizione». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il pallavolista americano Eric Duda, che però riconosce come molte volte quell’espressione va interpretata con un significato positivo: «Ringrazio sempre le persone, ma vorrei essere ricordato per prima cosa come un normale atleta, non come un disabile».
C’è anche chi ha scelto di affrontare la questione a suo modo: è il caso di Kory Puderbaugh, giocatore statunitense di rugby in carrozzina, che ha adottatato una strategia particolare per rispondere a coloro che lo etichettano come fonte d’ispirazione: «Chiedo alle persone come loro potrebbero un giorno ispirare qualcun altro. Penso che se la gente capisse un po’ di più la nostra situazione, non userebbe necessariamente la parola ispirazione. Preferibilmente, potrebbero esclamare Wow».