Madeleine – Renato Olive

Un nuovo capitolo della rubrica sugli amori calcistici giovanili con Renato Olive, mediano dell’era pre-Gattuso, una carriera tra Perugia e Bologna.

Nel 1998 dovevo essere un gran rompicoglioni. Ne ebbi l’ufficialità un pomeriggio di inizio agosto, seduto sul sedile posteriore della Tempra di famiglia. Tornavamo dalla campagna, e la musicassetta di Mina e Celentano mostrava i primi segni di usura facendo friggere la voce del molleggiato proprio mentre annunciava che l’atmosfera era calda e lui quella sera ci stava. Mia madre interruppe la mia solita domanda sulla natura dell’appuntamento che i due cantavano con una rivelazione che non avrei dimenticato:«Lo sai che ognuno di noi ha a disposizione una certa quantità di voce e, se uno la consuma tutta, poi ne rimane senza per il resto della vita?». Non era lei cinica, figuriamoci. Ero io che parlavo veramente troppo. Nei due mesi precedenti in campagna, per dire, avevo messo a dura prova mezzo parentado. Tra le altre cose, ricordo di aver promosso una personalissima campagna d’opinione contro lo sgozzamento dei polli operato mensilmente da mio zio e di aver stressato i miei nonni con un progetto per l’installazione di un parafulmine gigante che ci avrebbe definitivamente protetto durante i temibili temporali estivi della Murgia barese.

Dopo quella specie di avvertimento di mia madre, cambiai. Non che avessi realmente creduto alla storia della voce: avevo dodici anni, dopotutto, non ero un bambino. Tuttavia, sulle note di Brivido Felino era iniziato un lavorìo interiore che avrebbe fatalmente azzoppato il me più estroverso. Divenni progressivamente più taciturno, scelsi di bandire la logorrea e di farmi pragmatico. Promisi a me stesso che avrei cominciato a dire e a fare solo cose essenziali. La prima uscita pubblica del “nuovo” Leonardo era fissata per poche settimane dopo: terminate le vacanze, l’asta del fantacalcio incombeva.

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Renato Olive festeggia dopo una rete.

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Era la seconda edizione della nostra lega (sì, abbiamo iniziato molto presto a rovinarci le domeniche), due le grandi novità: primo, da quattro eravamo diventati sei; secondo, avremmo usato le pagelle della Gazzetta anziché quelle di Televideo. Prima di ferragosto mi ero comprato la guida ufficiale e me l’ero studiata per bene. Gli esperti consigliavano innanzitutto di puntare un big per reparto: optai per Peruzzi, Mihajlovic, Leonardo e Batistuta. Poi sarebbe stato opportuno rimpinguare la rosa con elementi interessanti, e soprattutto titolari, militanti nelle cosiddette provinciali. A parte il Bari, i cui giocatori sapevo già sarebbero stati iper-inflazionati dopo l’ottima stagione precedente, mi stuzzicava un sacco il Perugia di Attilio Castagner, tornato in serie A dopo aver vinto ai rigori un drammatico spareggio con il Torino. Avevo deciso che avrei avuto in squadra un centrocampista del Perugia. Quello che i miei avversari non sapevano era che il giorno dell’asta gli avrei pacificamente lasciato i ghirigori di Hidetoshi Nakata e avrei preferito fiondarmi, nello stupore generale, sulla concretezza fatta calciatore: Renato Olive, 1 credito.

Tutto quello che sapevo di Olive era racchiuso nella descrizione della guida al Fantacalcio:«La sua specialità è la corsa perenne a caccia del pallone. Un maratoneta del centrocampo». Mi bastò. Renato Olive, nato a Putignano ma cresciuto a Fasano (un posto dove chiamarsi Olive è un po’ come fare di cognome Pistacchi a Bronte o Ciliegini a Pachino), aveva esordito in Serie A quattro anni prima a Lecce, ma quella di Perugia era la vera, grande occasione della sua carriera. Era cresciuto come giocatore di pallamano – è quello il primo sport nel suo angolo di Puglia – e da ragazzino era stato anche piuttosto bravo. Poi si era messo di mezzo il calcio: a 17 anni aveva già esordito in C1. L’allenatore dell’epoca un giorno gli affidò la maglia numero 10 e lui rispose:«Mister, non vorrà mica offendere il calcio». Non che fosse poi così scarso con la palla tra i piedi: negli anni di Pesaro, sempre in terza serie, segnò 9 gol, tutti su azione. Ma le qualità che l’avrebbero portato ai massimi livelli del nostro calcio, prima a Lecce e poi a Perugia (con in mezzo una parentesi in B nella Fidelis Andria di Biagioni e Frezzolini) erano decisamente altre.

 

La perfezioni di assist e tiro al volo in questo gol di Olive

Olive era arrivato nel capoluogo umbro nel gennaio del ’98, giusto in tempo per iscrivere il proprio nome in una delle colorate pagine di ordinaria follia dell’Associazione Calcio Perugia gestione Gaucci: tre allenatori cambiati in cinque mesi, 6 punti rimontati al Torino, promozione in A dopo lo spareggio. La compatta silhouette del pugliese (176 cm per quasi 80 chili, caschetto riccio e arioso) si rese subito imprescindibile nel 4-4-1-1 con cui Ilario Castagner schierava i grifoni in serie A. La difesa a quattro era piuttosto bloccata, ma gli esterni di centrocampo (Petrachi e Rapaić) decisamente offensivi per una neopromossa che si permetteva pure il lusso di un fantasista giapponese libero di dare spettacolo tra le linee: con un’idea di gioco così, la coppia di centrocampo doveva essere energia pura. Uno dei due incontristi era Sergio Quinto Campolo (sostituito a stagione in corso dal più elettrico Giovanni Tedesco); l’altro, per l’appunto, era Renato Olive.

Nelle cronache del sorprendente Perugia di inizio stagione che in casa dà filo da torcere anche a Juve e Lazio, si ritrovano affibbiati al numero 4 umbro quasi tutti gli stratagemmi linguistici partoriti dal giornalismo sportivo italiano per descrivere i mediani dell’era pre-Gattuso: gregario, incontrista, comprimario, soldato semplice, mastino, macinatore di chilometri, frangiflutti, uomo-cardine, martello, giocatore tagliato nella roccia (!), esaltatore della classe media. (Dopo Gattuso, tutti questi epiteti sarebbero confluiti nella più tecnica definizione di “centrocampista alla Gattuso” oppure, per gli adepti del fu Championship Manager, nella iconica “instancabile motorino di centrocampo”).

Ma Renato Olive era anche gol da 35 metri, con un tocco semplice di piatto, di prima, come nel calcetto del martedì sera

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Nel mio piccolo, cominciai a vantarmi e a leccarmi i baffi. Non solo ottimi voti, Olive cominciò anche a fare gol. Il 20 settembre, a Genova, trasforma una sponda di Erceg in un morbido gol dal limite dell’area, guadagnandosi il replay di 90° minuto.

Un mese dopo il bis, in casa contro il Venezia: cross dalla destra di Zé Maria, Olive («che gigante non è», sottolinea Mario Mattioli) prende il tempo a tutti e di testa batte Taibi. Un quotidiano locale gli dedica lodi sperticate, lui chiama l’autore del pezzo e gli consiglia:«Piano con questi accenti da presunto fenomeno, perché altrimenti va a finire che quando torno sui miei livelli mi sbattono sulla copertina di Mai dire gol». Anche i cronisti che gli danno insufficienze in pagella ricevono qualche sua telefonata:«Mi seccano i 5, perché io do sempre tutto».

Fabrizio Failla rivela che Olive in Serie A non aveva mai segnato, lui si mette le mani tra i capelli.

Ma i 5 rimasero rarissimi, e Olive diventò inamovibile anche nella mia fantasquadra. A metà campionato, Ilario Castagner venne “dimissionato” da Gaucci dopo un diverbio sulla posizione in campo di Rapaić, ma il Perugia riuscì in ogni caso a rimanere in A. Gli uomini di Boskov si salvarono all’ultima giornata, nonostante la sconfitta casalinga che consegnò lo scudetto al Milan di Zaccheroni: la Salernitana, quart’ultima, non era stata in grado di battere in casa un Piacenza già salvo.

La stagione 1999/2000, con Carlo Mazzone in panchina, sarebbe stata la migliore della carriera di Olive, promosso nel frattempo capitano dal nuovo allenatore. Andò a segno 6 volte, come Pirlo, Chiesa e Morfeo: la prima, all’esordio, con un pallonetto da fuori area a scavalcare Buffon. A febbraio arrivò la prima doppietta in A, alla Roma. Mazzone gongolava:«Renato è micidiale negli inserimenti senza palla. Ha una capacità innata di accompagnare gli sviluppi dell’azione». Il Perugia si salvò ancora, stavolta con largo anticipo, facendo sbizzarrire i titolisti (“Olive e il Perugia aperitivo”, scrisse a primavera la Gazzetta) e togliendosi pure lo sfizio di far perdere lo scudetto alla Juventus. Il 14 maggio fu la delegazione composta da Calori, Materazzi e Olive a insistere presso Collina affinché si giocasse. Tre mesi dopo, nella prima amichevole stagionale, Ferrara e Tacchinardi dimostrarono ottima memoria recente: recentemente Olive ha descritto quella partita come una caccia all’uomo.

6 Jan 2000: Clarence Seedorf of Inter Milan battles with Renato Olive of Perugia during the Serie A match played at the San Siro in Milan, Italy. Inter won the game 5-0. Mandatory Credit: Claudio Villa /Allsport
Olive contro Clarence Seedorf durante un Inter – Perugia perso dagli umbri 5-0 (Claudio Villa/Allsport)

Ma il 1999/2000 di Olive è legato soprattutto all’episodio che meglio tratteggia la provincialità della Serie A anni ’90. Né un tackle né un gol, si tratta di una litigata. La litigata. È proprio Renato Olive il calciatore trasportato in ospedale al termine di Perugia-Bari del 6 novembre 1999; è a lui che Innocenti ha rotto uno zigomo, ed è di lui che Gaucci parla rivolgendosi inviperito all’arbitro Pellegrino:«Complimenti. Il giocatore è in ospedale, ha la frattura. E lei non ha… Lei non ha fatto nulla!». Sotto la pioggia battente, la voce e la mano sinistra di Vincenzo Matarrese si affacciano sull’uscio di un pullman bianco con richiami arcobaleno:«Gaucci, noi siamo di serie A, Gaucci!». Il patron del Perugia, da par suo, viene trattenuto a fatica: “Lasciami, gliene devo dire quattro». Il resto lo conosciamo bene: è il video più visto della storia di TeleMonteCarlo, e questa è un’ottima occasione per ripassarne le battute.

L’estate seguente, un po’ a sorpresa, Olive lasciò il rivoluzionato Perugia di Serse Cosmi e si trasferì a Bologna, dove riuscì nell’arduo compito di non far rimpiangere Klas Ingesson. Delle tre stagioni emiliane si ricordano 13 gol, il motto dello spogliatoio rossoblù («Correre e menare», rivelato da egli stesso in un’intervista), una qualificazione alla Champions sfiorata nel 2002 e un ottimistico striscione mostrato dai tifosi dell’Inter al Dall’Ara: “Oggi paté di Olive”.

Un momento di nostalgia calcistica

Dopo Bologna, la carriera dell’ormai 32enne Olive scollinò. L’anno a Napoli, in B, fu disastroso: il pugliese, accusato di scarso impegno e considerato capro espiatorio del fallimento sportivo ed economico della società, a febbraio fu minacciato da cinque uomini incappucciati armati di coltello. Svincolatosi a fine stagione, l’anno successivo contribuì alla salvezza del Parma. Ancora uno spareggio, e proprio contro il Bologna. Quando gli chiesero cosa servisse alla sua squadra per farcela, Olive tirò fuori una risposta-testamento:«Ci serve tutto. Soprattutto calciare palloni in tribuna”. Il 2011/12, a Ravenna, fu il suo ultimo anno da calciatore». All’inizio della scorsa stagione, Renato Olive è tornato per la terza volta a Bologna, da collaboratore, nello staff di Roberto Donadoni. Sta sempre in campo, riguarda le partite e studia gli avversari. Ha preso casa alla Meridiana, ma quando torna a Fasano ha ancora molti amici che lo chiamano per una partita di pallamano.

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Non credo che nello sport contemporaneo – men che meno nel calcio – ci sia ancora spazio per una concezione manichea delle cose, con il talento da una parte e l’abnegazione dall’altra. Le storie di chi si afferma sopperendo con cuore debordante e polmoni capienti a una tecnica di base limitata sono buone più che altro per semplificare, non senza rischiare la retorica, dinamiche di successo sportivo che sono molto più complesse di così. Tuttavia è innegabile che, messo il fiato da un lato e il talento dall’altro, nessuno di noi, costretto a scegliere, avrebbe troppi dubbi sulla sua parte di dicotomia preferita. Aveva le idee abbastanza chiare in proposito il me dodicenne che, mentre Max Pezzali preferiva Alessia Merz ad Angelina Jolie per una parte in Jolly Blu, aveva preferito Renato Olive a Hidetoshi Nakata per la propria squadra di fantacalcio. Ora non so dire se quella prima scelta di concretezza, piccola vittoria dei fatti sulle parole, sia effettivamente scaturita come reazione all’esasperazione di mia madre rispetto alla mia loquacità o se sia solo suggestione costruita a posteriori per imbellettare un improbabile articolo su Olive. Né so bene se poi quell’apparentemente insignificante decisione abbia avuto qualche tipo di effetto sul seguito della mia metamorfosi adolescenziale. Certo è che, quasi vent’anni dopo, al fantacalcio punto su Rincón e mia madre ogni tanto mi bacchetta ancora. Perché parlo troppo poco.

05 May 2001: Renato Olive of Bologna and Sosa of Udinese in action during the Serie A 29th Round League match between Bologna and Udinese played at the Renato Dall''Ara Stadium Bologna. DIGITAL CAMERA Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT
Renato Olive contro Sosa dell’Udinese (Grazia Neri/AllSport)

Ah, con Renato Olive in squadra vinsi due campionati consecutivi. A dire il vero li vinsi soprattutto perché in attacco a Batistuta ero riuscito ad affiancare anche Crespo, ma a me piace ricordare che fu merito di Olive. Il progetto del parafulmine gigante invece non andò mai in porto, difatti continuo ad avere una fottuta paura dei temporali.