La costruzione dell’Azerbaigian

Ridare lustro a un Paese, anche se pieno di contraddizioni, attraverso lo sport: così il calcio azero sta conoscendo una competitività prima sconosciuta.

Non poteva essere altro che un moderno ponte strallato con cavi d’acciaio il simbolo che campeggia nel logo di Baku 2020, l’ufficializzazione della capitale dell’Azerbaigian come una delle 13 città sedi del primo Campionato Europeo itinerante della storia del calcio continentale. E la città in riva al Mar Caspio è destinata a ospitare tre partite della fase a gruppi e un quarto di finale: al Bakı Olimpiya Stadionu sarà riservato lo stesso trattamento di veri e propri santuari del calcio come l’Allianz Arena di Monaco di Baviera o l’Olimpico di Roma o al moderno (e già pieno di problemi) Stadio Krestovskij di San Pietroburgo, noto anche come Gazprom Arena. Un gradino sopra, come prestigio nella manifestazione, si trova solo Wembley, che vedrà disputarsi le semifinali e la finale.

Un ponte che idealmente collega il punto più estremo d’Europa e del suo calcio con il cuore del continente: 2000 km più a est dell’antica Costantinopoli, all’epoca capitale dell’Impero Romano d’Oriente, si trova Gobustan (50 km da Baku) dove è ancora possibile leggere su una roccia l’incisione “All’epoca dell’imperatore Domiziano Cesare Augusto Germanicus. Il centurione Lucio Giulio Massimo, XII Legione Fulminata” che costituisce la più orientale epigrafe latina a noi nota. L’estrema periferia dell’impero, il punto più estremo in cui si sono spinte le legioni romane per difendere il passaggio dal Caucaso settentrionale a quello meridionale, sta diventando sempre più parte integrante di un discorso europeo, di una dinamica continentale che ha allargato decisamente i suoi confini. Geopolitici e, in diretta conseguenza se non addirittura in precedenza, sportivi.

Azerbaijan's midfielder Rahid Amirguliyev (front L) vies with Norway's forward Joshua King during the WC 2018 football qualification match between Azerbaijan and Norway in Baku on October 8, 2016. / AFP / TOFIK BABAYEV (Photo credit should read TOFIK BABAYEV/AFP/Getty Images)
Il centrocampista azero Rahid Amirguliyev a contrasto con Joshua King, norvegese, durante le Qualificazioni ai Mondiali 2018 a Baku (Tofik Babayev/Afp/Getty Images)

12 giugno 2015: cerimonia di apertura della prima, storica, edizione dei Giochi Europei, con l’inaugurazione del moderno e già menzionato Olimpiya Stadionu pieno in tutti i suoi 68 mila posti. L’Azerbaigian entra di prepotenza nel jet set dello sport continentale, con un evento che può essere paragonato, come portata, a un’Olimpiade, visto che tutte le nazioni d’Europa si sfidano per 16 giorni in tutte le discipline decoubertiniane e gli stessi riti sono copiati da quelli di Olimpia, a cominciare dalla fiamma portata per il Paese e dall’ultimo tedoforo che accende il braciere nello stadio. Dal nome di quest’ultimo si capiscono molte cose sul seguito della storia: in giacca e cravatta il presidente Ilham Aliyev marcia brandendo la torcia con passo quasi militare e dà il via a un grosso flop della storia dello sport. Quasi un miliardo di dollari spesi in infrastrutture bollate dalla critica internazionale come senza futuro, una realtà nazionale fatta di violazione di diritti umani, di una guerra ormai più che ventennale con l’Armenia per la regione contesa del Nagorno-Karabakh in cui un veterano percepisce 50 dollari al mese, di stipendi da miseria, di un regime mascherato da democrazia, nascosti ai media e celate sotto la cortina del fumo del braciere. Un fumo non abbastanza denso, però, per coprire anche lo scandalo di una sola notte in cui Aliyev e i suoi ministri hanno svalutato il manat, la valuta azera, del 33,5% rispetto al dollaro e del 30% rispetto all’euro, in conseguenza al crollo del prezzo del petrolio su cui l’economia nazionale si basa in larga parte. Riducendo di altrettanto, conseguentemente, la ricchezza della popolazione.

La risposta al flop, però, non è stato un ridimensionamento da parte del presidente-dittatore, ma un rilancio in grande stile: Gran Premio di Formula Uno, Campionato del mondo di scacchi e, appunto, Europei di calcio. Il motivo? Una semplice parola, che racchiude in sé molteplici sfaccettature: propaganda. Aliyev ha deciso, ormai da anni, di puntare sullo sport come mezzo per pubblicizzare all’estero il suo Paese e, conseguentemente, la bontà del suo governo. Non importa se le strade non sono asfaltate o se il sistema scolastico e quello sanitario andrebbero risanati. Quello che conta è l’immagine.

BAKU, AZERBAIJAN - JUNE 12: A general view of the stadium as a giant Pomegranate representing abundance, rebirth, love and good luck splits open to release its seeds during the Opening Ceremony for the Baku 2015 European Games at the Olympic Stadium on June 12, 2015 in Baku, Azerbaijan. (Photo by Harry Engels/Getty Images for BEGOC)
Lo stadio Olimpico di Baku durante la cerimonia d’apertura dei Giochi Europei (Harry Engels/Getty Images for BEGOC)

E quale mezzo è più immediato per rafforzarla e trasmetterla in grande stile e spolvero sui media di tutta Europa se non lo sport e il calcio in particolare? Come insegnano Assad e la sua Siria dei miracoli, la squadra più in vista di una nazione, dal pubblico locale, ma soprattutto all’estero, è la Nazionale. Non si può prescindere da questa premessa per spiegare i successi clamorosi che sta ottenendo l’Azerbaigian nelle qualificazioni al mondiale di Russia 2018. Tre partite disputate, due vittorie e un pareggio con sette punti in classifica: già eguagliato il precedente massimo punteggio ottenuto nelle qualificazioni al Mondiale 2014, ma dopo dieci partite disputate. La squadra allenata dalla stella della grande Stella Rossa, Robert Prosinecki, si trova al momento al secondo posto, quindi in piena zona qualificazione, nel girone C a due lunghezze dalla Germania campione del mondo e davanti a Irlanda del Nord, Norvegia, Repubblica Ceca e San Marino. Gli azeri hanno vinto con il minimo scarto a Serravalle per poi superare, sempre per 1-0, i norvegesi a Baku e pareggiare a reti inviolate a Praga.

Risultati del genere, però, non sono spiegabili solo con la geopolitica, ma devono avere anche una giustificazione sul campo: le scelte politiche hanno certamente dirottato più fondi e investimenti sul calcio, con costruzione di numerosi nuovi impianti in tutto il Paese, e l’innalzamento del tasso tecnico del massimo campionato locale, la Topaz Premyer Liqası, grazie anche all’acquisto di calciatori stranieri di livello. I proprietari delle 12 squadre della Premier League sono tutti legati al mercato del petrolio e del gas, connessi a doppio filo con lo Stato centrale e, quindi, col governo: gli investimenti nel calcio non sono casuali, come i risultati ottenuti nelle competizioni europee negli ultimi anni da formazioni come il Qarabag, che due anni fa arrivò a un passo dal superare i gironi di Europa League e pareggiò 0-0 con l’Inter, o il Gabala. Non dimentichiamo che il Qarabag è oltretutto una squadra in esilio: la sua sede originale, la sua casa, è la città di Agdam, ormai ridotta a un cumulo di macerie nel territorio conteso (e dichiaratosi da più di vent’anni indipendente) del Nagorno-Karabakh, dove ancora è in atto un conflitto bellico. La formazione di Agdam è stata costretta, dal 1993, a trasferirsi a Baku.

La vittoria dell’Azerbaigian sulla Norvegia, gara valida per le qualificazioni al Mondiale 2018

Non si può parlare della crescita della Nazionale azera prescindendo da quanto accaduto con Berti Vogts. Il tedesco era stato messo sulla panchina dell’Azerbaigian per una scelta di Aliyev, che voleva una figura dall’elevato profilo internazionale proprio per le ragioni già spiegate sulla sua visione del calcio come mezzo di notorietà globale; ma ha insistito su un allenatore visto nel Caucaso come uno dalla mentalità e dalle metodologie antiquate e che non ha mai dato alla squadra un modo di giocare chiaro e riconoscibile. Dopo aver perso tre partite su tre nelle qualificazioni a Euro 2016, con il sonoro 6-0 patito dalla Croazia, è stato costretto da una vera e propria sommossa popolare a dimettersi; la scelta, a quel punto, è andata su un tecnico dalla visione più moderna e la scelta è caduta su Prosinecki. Da lì è stato un vero e proprio crescendo per la squadra, passata negli ultimi due ani dalla posizione 135 del ranking mondiale della Fifa alla numero 88, punto più alto raggiunto, con una prospettiva di ulteriore crescita, visto l’attuale stato di forma e alcune partite del girone decisamente alla sua portata (sfida in casa contro San Marino su tutte).

Soldi investiti, infrastrutture, appoggio presidenziale, allenatore moderno: solo questa la ricetta dell’Azerbaigian che punta in alto? No, nel calcio non si va da nessuna parte senza i calciatori. E quella che ora costituisce l’ossatura della Nazionale può essere davvero definita la zlatna generacija (generazione d’oro), per usare un’espressione cara a Prosinecki, del calcio azero: il portiere Kamran Aghayev è uno dei veterani della formazione e difende i pali del Boavista nella massima serie portoghese; i titolari della difesa sono Mirzabekov (o il capitano Sadygov), Medvedev, Guseynov e Dashdemirov: tre su quattro militano nel Qarabag. A centrocampo, in un modulo che spesso è il 4-1-4-1, il vertice basso è Gara Garayev, 24 anni, anch’egli del Qarabag: davanti a lui, Alasgarov, Amirguliyev, Nazarov e Gurbanov. Nazarov è uno dei giocatori di maggior talento del calcio azero e milita in Germania nel Erzgebirge Aue in II Bundesliga. Il peso dell’attacco è tutto sulle spalle del ventenne Ramil Sheydayev, centravanti del Trabzonspor. Una squadra evidentemente fondata sull’ossatura dei giocatori della squadra più forte del Paese, con alcuni altri del Gabala e qualche elemento che milita all’estero: una ricetta semplice che, per il momento, sta dando ottimi frutti. E la trasferta in Irlanda del Nord potrà dire molto sulle reali possibilità e ambizioni di una squadra che poi, alla ripresa delle qualificazioni mondiali a marzo 2017, si troverà ad affrontare i campioni del mondo della Germania. Una partita del genere, comunque vada, sarà comunque un successo per Aliyev e per la sua geopolitica del calcio.