Gli infiniti modi di dominare di Peter Sagan

Il 2016 è stato l'anno della maturazione dello slovacco: ha capito cosa serve per vincere, in ogni situazione.

Che Peter Sagan fosse un corridore capace di vincere «ogni volta che ne avesse avuto voglia», l’aveva previsto Ivan Basso nel 2013 e l’avrebbero intuito tutti gli altri molto presto, ma è quest’anno che l’onnipotenza ciclistica del campione slovacco ha definitivamente smesso di essere potenza e si è fatta atto. Nel 2016 Sagan ha vinto 14 corse, tra cui una classica-monumento, tre tappe al Tour de France e il secondo titolo mondiale consecutivo. Non si tratta numericamente del suo personal best (nel 2013 aveva vinto 22 volte), ma era dal 1977 – e da Freddy Maertens – che il campione iridato in carica non viveva una stagione così positiva. Un exploit di questa qualità non poteva non sfociare in tutta una serie di confronti inter-generazionali che, se in altri sport sono improbabili, nel ciclismo sono addirittura risibili.

Affermare che “Sagan è il nuovo Merckx” è un’evidente forzatura, mentre appare un po’ più sensato paragonare i numeri dello slovacco a quelli di altri campioni della storia recente del ciclismo. L’ha fatto ProCyclingStats nel corso della stagione, certificando – qualora ce ne fosse il bisogno – che Peter Sagan ha vinto più e meglio di tutti i grandi del ciclismo contemporaneo, alla sua età. Né Cavendish né Boonen, per esempio, a 26 anni avevano ottenuto quel che ha ottenuto Peter. Tuttavia, ancor più di quella del palmarès, è la crescita tout-court dello slovacco ad essere chiaramente accelerata nel corso dell’ultima stagione. Fino a non molti mesi fa, Sagan era considerato una specie di perdente; simpatico, combattivo, ma pur sempre un perdente. L’infinita serie di piazzamenti al Tour 2015, concluso senza nemmeno un successo di tappa, aveva fatto dire di lui quello che Antoine Blondin aveva detto una volta di Merckx: «Appartiene alla categoria di campioni che quando non vincono, perdono». Lo stesso Sagan a un certo punto si era lasciato scappare un «forse arrivare secondo è il mio destino». Chissà se ci credeva veramente.

UCI Road World Championships - Day Eight

Nel 2016 Sagan è maturato. È diventato più paziente e più cinico, ha imparato ad aspettare le mosse degli avversari e a non sprecare inutilmente le energie. Perdendo ha capito come vincere, e vincendo ha imparato a vincere di più. Il suo rapporto tra primi posti e podi totali è passato in un anno da 0.28 (cioè 1 vittoria 0gni 4 podi) a 0.48 (cioè 1 vittoria ogni 2 podi). Scorrere in sequenza i 14 successi che ha messo insieme durante la stagione appena conclusa rende bene l’idea della pazzesca varietà di soluzioni, tutte tremendamente efficaci, con le quali il talento di Sagan è oggi capace di esprimersi in totale disinvoltura.

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27 marzo: GENT – WEVELGEM

Una delle migliori definizioni di Peter Sagan lette quest’anno è «bellissima automobile di muscoli con un motore da fuoristrada». L’imponente massa muscolare dello slovacco, oltre a far temere per l’integrità dei telai su cui pedala, implica un tempo di rodaggio atletico mediamente più lungo di quello dei suoi colleghi. Come un centravanti di quelli che non se ne vedono più, Peter Sagan entra in forma a stagione bella che avviata. Quest’anno la sua solita serie di piazzamenti preparatori si è interrotta in Belgio a fine marzo. Alla Gent – Wevelgem, una delle sue classiche preferite (2° nel 2012, 1° nel 2013, 3° nel 2014), Sagan ha vinto nel modo che gli è più congeniale, cioè regolando in volata un gruppo ristretto di corridori, ristrettissimo in quel caso: c’erano solo Vanmarcke, Cancellara e Kuznetsov con lui. A fine gara ha dedicato la vittoria ad Antonie Demoitié, colpito in corsa da una moto.

3 aprile: GIRO DELLE FIANDRE

La vittoria al Giro delle Fiandre, la prima Classica Monumento* della carriera di Sagan, è quella che maggiormente ha propiziato la serie di paralleli con Eddy Merckx. Più che sul quanto, i proponenti del paragone insistono sul come delle sue vittorie. Al Fiandre Peter ha prima ripreso i fuggitivi insieme a Vanmarcke e Kwiatkowski, poi è rimasto con il solo Vanmarcke ed infine, sul Paterberg, si è liberato della compagnia del belga con una progressione di pura potenza. Ormai proiettato nella dimensione del perpetuo uomo da battere, Sagan si è poi lasciato andare a un commento di disarmante praticità: «Nessuno vuole più collaborare con me, perciò è meglio staccare tutti. Ma non è sempre facile». Il nome del secondo classificato del Fiandre 2016 è prova della portata anche simbolica di quella vittoria, che è parsa un ideale passaggio di consegne: Fabian Cancellara.

*Sono considerate Classiche Monumento le cinque corse di un giorno più importanti della stagione. In ordine temporale: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia.

15 maggio: GIRO DELLA CALIFORNIA (Tappa 1)

Peter Sagan adora l’America, e puntualmente a maggio salta il Giro d’Italia per godersi 10 giorni di bici e surf in California. L’America, d’altra parte, adora Peter Sagan, tant’è che a fine giugno il campione del mondo si è guadagnato persino le attenzioni del Wall Street Journal. In “The rock star of cycling”, Jason Gay osservava che se fossero stati Steph Curry e moglie a realizzare una cosa simile a quella che hanno fatto Sagan e consorte con il remake di Grease, il web sarebbe letteralmente esploso. «Sagan is just perfect», concludeva l’autore. Sulla strada, in California Peter si è cimentato in un’altra variante del suo personalissimo 100 Ways to Win: la vittoria in una volata di gruppo compatto.

18 maggio: GIRO DELLA CALIFORNIA (Tappa 4)

Tappa mossa, a Sagan tocca muoversi in prima persona per stoppare gli attacchi negli ultimi chilometri ed apparecchiare il solito sprint prepotente. Volata a 15 in leggera discesa, indovinate il risultato.

12 giugno: GIRO DI SVIZZERA (Tappa 2)

Si avvicina il Tour de France, l’evento pivotale di ogni sua stagione, e la forma fisica di Sagan si affina. Nella seconda tappa del Giro di Svizzera si mantiene nelle primissime posizioni anche dopo che il gruppo si spezza in vista della volata. Con il rivale Gaviria caduto (ah: Sagan è talmente abile sul mezzo che non cade praticamente mai), alzare le braccia per Peter è poco più che una formalità.

13 giugno: GIRO DI SVIZZERA (Tappa 3)

Sagan si inventa una delle vittorie più impressionanti della sua stagione sul circuito conclusivo della terza tappa della corsa elvetica. A 15 dall’arrivo, in salita, l’idolo di casa Albasini attacca e resta in compagnia del solo Dillier, ma appena inizia la discesa – perché Sagan va fortissimo anche in discesa – la maglia verde attacca dal gruppo e si riporta sui fuggitivi. Che lo vedono prendere l’ultima curva all’esterno, poi non lo vedono più.

3 luglio: TOUR DE FRANCE (Tappa 2)

Tappa mossa di inizio Tour. Piove, Contador cade e tutti i velocisti puri sono tagliati fuori. Kreuziger tira la volata a Sagan, lui spunta sornione alle spalle di Alaphilippe e Valverde, vince ma non esulta. «Non sapevo di avercela fatta, pensavo fossero arrivati i due in fuga», dice ai microfoni.

13 luglio: TOUR DE FRANCE (Tappa 11)

C’è vento forte tra Carcassonne e Montpellier, il gruppo è nervoso e allungatissimo, i grandi della classifica si controllano a vicenda. A 13 dal traguardo, nell’ultimo tratto esposto al vento, Sagan accelera dalla testa del gruppo insieme all’amico Bodnar. Solo un’altra coppia fa in tempo ad accordarsi all’impetuoso trenino slovacco, sono Thomas e Froome della Sky. I quattro tengono fino all’arrivo, poi la maglia verde batte la maglia gialla in una volata improbabile, per una delle vittorie più intimamente saganiane della stagione.

18 luglio: TOUR DE FRANCE (Tappa 16)

A Berna aspettano tutti Cancellara, ma Sagan batte Kristoff al fotofinish e ipoteca la sua quinta maglia verde consecutiva: Hulk è uno dei suoi soprannomi più ricorrenti. Qualcuno ipotizza possa diventare il primo della storia a vincere la classifica a punti in ogni singolo Tour cui abbia preso parte.

9 settembre: GP QUEBEC

Il Gran Premio Ciclistico del Quebec è una corsa che tende a premiare corridori scattanti o corridori veloci, oppure corridori scattanti e veloci. Giacché Peter Sagan è la sintesi kantiana del meglio dei corridori da corse di un giorno disponibili attualmente su piazza, quest’anno ha vinto lui.

18 settembre: CAMPIONATO EUROPEO SU STRADA

Per la prima volta i Campionati Europei di ciclismo si aprono ai professionisti, e Sagan fiuta la possibilità di diventare il primo corridore di sempre a fregiarsi contemporaneamente del titolo continentale e di quello mondiale. Sull’impegnativo circuito di Plumelec ci provano in molti, ma nessuno riesce ad evitare una volata che Sagan puntualmente domina. Negli ultimi 100 metri trova il tempo di voltarsi e godersi lo sprint dei battuti.

21 settembre: ENECO TOUR (Tappa 3)

Sagan decide di prepararsi al Mondiale di Doha correndo l’Eneco Tour, corsa a tappe nata nel 2005 per rimpiazzare il vecchio Giro dei Paesi Bassi. Nella volata di gruppo di Ardooie, riesce a infilarsi in uno spazio invisibile a centro strada, e a quel punto a Van Poppel e Bouhanni non è che restino troppe speranze.

22 settembre: ENECO TOUR (Tappa 4)

A Sint-Pieters-Leeuw, piccola variazione sul tema: Sagan non cerca uno spazio d’astuzia, ma se lo costruisce di forza. Negli ultimi 300 metri fa a spallate con Démare, si prende il centro della carreggiata, supera Kristoff e resiste al ritorno di Greipel. Una vittoria da velocista fatto e finito.

16 ottobre: CAMPIONATO DEL MONDO

Nel deserto di Doha, quando la Nazionale belga si allea con il vento per selezionare il gruppo a 160 chilometri dal traguardo, il campione del mondo in carica rischia di rimanere tagliato fuori. E invece Sagan riesce con una progressione bruta ad accodarsi, per ultimo, al plotone dei 25 destinati a giocarsi il titolo. Da lì in poi, corre con un’intelligenza tattica che ancora non gli si conosceva del tutto: si nasconde, valuta, risparmia le energie. Lo si rivede solo nel finale, quando sfrutta il lavoro di Italia e Belgio per lanciarsi lungo le transenne e progredire fino allo striscione. Secondo Cavendish, terzo Boonen: tre campioni del mondo in fila, non era mai successo. Sagan fa doppietta di iridi, non accadeva dai tempi di Bettini. Sul podio avrebbe voglia di regalare uno show dei suoi ai tifosi, se solo ce ne fossero.

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Ripercorrere il trionfale crescendo che è stato il 2016 di Peter Sagan serve soprattutto ad immaginare i possibili approdi futuri di un atleta che, 27enne, non ha ancora raggiunto l’apice della sua maturità fisica e può di certo perfezionare il suo bagaglio di esperienza ciclistica. Sagan a partire dalla prossima stagione correrà in una squadra – la Bora-Hansgrohe – costruita in sua funzione, e appare destinato a vincere moltissimo: è questione di tempo prima che riesca a imporsi in una Milano-Sanremo e in una Parigi-Roubaix (più difficile, ma non impossibile, che si dimostri competitivo anche in una Liegi-Bastogne-Liegi e in un Giro di Lombardia); vincerà le sue prime tappe al Giro d’Italia (quando si deciderà a correrlo); continuerà a collezionare maglie verdi al Tour; avrà la concreta possibilità di diventare il primo corridore della storia a vincere più di tre titoli di campione del mondo. Infortuni a parte, sembrano essere tre le possibili complicazioni in grado di intromettersi tra Sagan e il suo destino da leggenda assoluta del ciclismo:

1. Adeguarsi all’evoluzione del suo sport. Sagan potrebbe essere sedotto da un approccio più strettamente scientifico alla disciplina ciclistica. Potrebbe imparare a gestire con estrema oculatezza i watt sprigionati e a dosare con precisione gli sforzi, massimizzando il rapporto tra tentativi e successi. Perderebbe molto meno e diventerebbe uno dei ciclisti più vincenti della storia, il più letale dell’era moderna, sacrificando sull’altare del cannibalismo un pezzo consistente di affetto del pubblico. Probabilità che accada: molto bassa.

2. Diventare un corridore noioso. Sagan potrebbe correre il rischio di diventare prigioniero della sua grandezza, schiavo dei record da battere e delle attese da realizzare. Potrebbe riscoprirsi più ufficiale nelle interviste e impostato nei cerimoniali, travestendo da presunta maturità il suo inevitabile, triste imborghesimento. Probabilità che accada: estremamente bassa.

3. Soffrire il peso della rappresentatività. Sean Kelly ha detto che Sagan è tutto quanto di buono esiste nel ciclismo; Jens Voigt ha dichiarato che se un giorno rinascesse vorrebbe essere lui. Insomma, Peter è a buon diritto considerato il messia del ciclismo moderno, semidio in grado di condurre le biciclette nell’era di internet, trasformando qualsiasi corsa in una gif virale. Sagan potrebbe allora finire col recitare in eterno la parte di un Peter Pan impenitente, esasperare a favore dei media la sua estroversione, trasformarsi tragicamente nella caricatura di se stesso. Probabilità che accada: quasi impossibile.

A ben vedere, il successo più grande del 2016 di Peter Sagan, che è insieme ottima garanzia contro i tre rischi di cui sopra, è stato l’aver attraversato il passaggio da fenomeno potenziale a fenomeno attuale riuscendo a rimanere fedele fino in fondo alla sua natura. Ad oggi, non c’è nulla di costruito nell’eclettico corridore che si appresta a dominare il prossimo decennio di ciclismo internazionale. «La vita è vita», ha detto l’estate scorsa dopo aver annunciato che alle Olimpiadi avrebbe rinunciato alla corsa su strada per dedicarsi alla più naïve mountain bike, il suo primo amore. «Ognuno ha il suo destino. Io esisto qui e adesso, e mi sto divertendo un mondo». Sapessi quanto ci stiamo divertendo noi, caro Peter.