Le città sportive: Los Angeles

Laghi che non esistono, rivalità spostate dalla East Coast, famosi rigori sbagliati: la storia dello sport nella città degli angeli.

Il punto di svolta nella storia della Città di Los Angeles si trova nei primi anni Dieci del Novecento, quando l’industria cinematografica si sposta dalla costa est, da New York, a Hollywood. Fino a quel momento la città era abitata da un migliaio di cittadini, e da quel momento, seguendo il sogno del cinema e tutto quello che lo circondava, si espanse sempre di più. Il cinema negli Stati Uniti era stato inventato da Edison a New York e lì aveva incominciato a ingrandirsi, ma presto si intuì come le terre della California, sempre soleggiate, perfette per le riprese in esterno, erano il luogo ideale dove far crescere questa industria. Così come il cinema partì dall’est per arrivare in California, anche la maggior parte della storia sportiva della Città degli Angeli è partita dall’altra costa per poi approdare in questa enorme distesa dal diametro di 90 chilometri. Ma entrambi, una volta arrivati a Los Angeles, non se ne sono andati più: lo sport a traino (anche) del glamour, della fama che il cinema ha portato in questa terra.

 

Capitolo 1: 1934

Il primo grande evento sportivo a coinvolgere Los Angeles sono le X Olimpiadi dell’era moderna. È il 1932, Los Angeles è l’unica città candidata e si aggiudica la possibilità di ospitare i Giochi. Uno dei simboli di quelle Olimpiadi fu il Los Angeles Memorial Coliseum, l’enorme stadio costruito nel 1923 e protagonista dello sport di Los Angeles durante tutta la sua storia. L’italiano Romeo Neri vince tre ori, l’Italia si classifica seconda nel medagliere a fine competizione.

Capitolo 2: Dan Reeves

La storia sportiva di Los Angeles nell’ambito delle Leghe sportive americane, degli sport di squadra, inizia a Cleveland, dall’altra parte degli Stati Uniti, nel 1946, grazie a un giovane imprenditore: Dan Reeves, un pioniere nello sport americano, il primo ad andare sulla costa ovest con una franchigia nonché il primo a far firmare un contratto di Nfl a un giocatore afroamericano, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1936 l’avvocato Homer Marshman fonda i Cleveland Rams e li affida a Damon “Buzz” Wetzel, una ex stella di Ohio State con apparizioni per i Chicago Bears e i Pittsburgh Pirates (ora Steelers, il nome Pirates ce l’ha la squadra di baseball). Il nome, Rams, deriva dal soprannome della squadra di football americano di Fordham University, la preferita dell’allora general manager. A Marshman semplicemente piaceva come suonava.

 David Hill, Mike Barber e Preston Dennard, Los Angeles Rams, 1983 (George Rose/Getty Images)
David Hill, Mike Barber e Preston Dennard, Los Angeles Rams, 1983 (George Rose/Getty Images)

Il 13 febbraio del 1937 i Rams entrano a far parte della National Football League e vengono assegnati alla Western Division. Nel 1942 Dan Reeves, a soli 29 anni e grazie al capitale di famiglia, compra i Rams da Marshman insieme a Fred Levy Jr. per 135 mila dollari. Il 16 dicembre del 1945 vincono il loro primo titolo contro i Washington Redskins. Il 12 febbraio 1946 Reeves manda una richiesta alla Nfl per spostare la franchigia a Los Angeles, gli altri proprietari gliela negano, lui minaccia di lasciare la Lega e dopo un accordo gli viene dato il permesso di spostare la franchigia in California. Grazie a un altro accordo con la Los Angeles Coliseum Commission, Reeves conquista la possibilità di giocare le partite di casa sotto gli occhi di 103mila spettatori, nel Colosseo californiano.

Reeves è stato il primo a intuire le potenzialità della costa ovest e di Los Angeles in particolare per lo sport, muovendosi prima dei San Francisco 49ers (1949) e di O’Malley e i Dodgers nel 1957. Quest’anno i Rams sono tornati a Los Angeles, dov’erano stati fino al 1994 (un periodo con sede ad Anheim, dall’80 al ’94) prima di trasferirsi a St. Louis nel Missouri, dove vinsero il loro terzo titolo nel 1999.

 

Capitolo 3: O’Malley

O’Malley è conosciuto per essere uno dei più influenti owner della storia del baseball, e questa sua fama è legata soprattutto alla decisione di spostare i Dodgers da una costa all’altra, da Brooklyn a Los Angeles, in un momento in cui non esisteva una squadra di Major League oltre Kansas City. C’è chi lo vede come un luminare, chi come l’uomo giusto nel posto giusto al momento giusto, fatto sta che da lui in poi la Major League of Baseball e la National Basketball League si espansero anche oltre il Mississippi e che i Dodgers, l’anno del loro spostamento, registrarono il record di affluenza (e nel giro di sei anni conquistarono le World Series).

Palme e i Los Angeles Dodgers  Allen Steele  /Allsport
Palme e i Los Angeles Dodgers (Allen Steele /Allsport)

O’Malley voleva, nella Grande Mela, la possibilità di costruire una nuova struttura in cui la sua squadra potesse giocare, sostituendo così il vecchio Ebbets Field con un nuovo stadio disegnato da Buckminster Fuller. Ma la città di New York e in particolare il city planner Robert Moses rifiutarono i documenti che avrebbero permesso la costruzione della nuova casa dei Dodgers. Appena O’Malley sentì che Los Angeles era in cerca di una franchigia contattò la città che gli diede quello che New York non voleva dargli. O’Malley fece su la squadra e nel 1957 si spostò in California.

La grande mossa di O’Malley fu però un’altra: convincere Horace Stoneham – l’allora proprietario dei New York Giants – a trasferire i Giants da New York a San Francisco. Quella tra i Dodgers e i Giants è una delle rivalità più sentite nel mondo del baseball, e questo sentimento è nato quando le due squadre si trovavano da una e dall’altra parte dell’East River e si scontravano nella stessa division; O’Malley, essendone consapevole, cercò di persuadere Horace Stoneham a spostare come lui la franchigia in California, in modo che la rivalità tra le due squadre rimanesse intatta. L’intenzione iniziale di Stoneham era quella di trasferire la franchigia in Minnesota, ma dopo diversi colloqui con il sindaco di San Francisco organizzati proprio da O’Malley, anche Stoneham si convinse e insieme si trasferirono in California. I contrasti culturali ed economici che già esistevano tra L.A. e San Francisco hanno aiutato a portare avanti una rivalità che dura fino a oggi. Da allora i Dodgers hanno vinto 5 World Series e dal 1962 vivono nel Dodger Stadium, spesso chiamato Chavez Ravine dal nome della via in cui si trova, costruito in tre anni con 24 milioni di dollari. I Giants hanno vinto 3 titoli, tutti negli ultimi 6 anni.

 

Capitolo 4: Laghi

Le leghe sportive professionistiche americane si basano sul sistema delle franchigie, franchises, che hanno diritti territoriali in modo da raccogliere tifo e incassi in una specifica zona. È un sistema iniziato con il baseball nel 1876, poi usato da tutte le altre leghe: National Hockey League, National Football League e National Basketball Association. Le franchigie non retrocedono, o vengono promosse, ma rimangono sempre all’interno della Lega (per accettarne un’altra c’è bisogno del consenso degli attuali possessori di franchigia o dell’acquisto di una delle franchigie esistenti). Le franchigie, oltre ad essere squadre, sono anche, se non prima di tutto, società con lo scopo di fare profitto, e può capitare che per fare più profitto o per ricominciare a farlo la franchigia si sposti da una città a un’altra, e con essa la squadra, i giocatori, l’azienda.

Shq e Kobe nel 2000 Scott Nelson/AFP/Getty Images)
Shq e Kobe nel 2000 (Scott Nelson/Afp/Getty Images)

Quasi sempre le franchigie, spostandosi da una città all’altra si portano dietro il nome della squadra da cui provengono, andando a creare situazioni strane come accaduto con i Los Angeles Lakers: di laghi in California se ne vedono pochi; la franchigia prima di passare sulla costa ovest aveva casa a Minneapolis, Minnesota, dove invece ce ne sono parecchi. Cinque dei diciassette titoli che i Lakers appendono allo Staples Center sono stati vinti a Minneapolis, grazie soprattutto al primo grande centro giallo-viola: George Mikan, un enorme bianco con gli occhiali che portò la squadra a creare la prima dinastia della storia della pallacanestro.

Quando Mikan si ritirò i Lakers subirono un grande declino di vittorie e pubblico. La scelta di Elgin Baylor come numero uno del Draft nel 1958 portò la squadra alle finali perse con i Celtics (le prime di una lunga striscia), ma l’anno successivo i Lakers subirono di nuovo una pericolosa flessione. Vedendo il successo che i Dodgers avevano ricevuto spostandosi da Brooklyn a Los Angeles, Bob Short, proprietario dei Lakers, con in mano Jerry West, seconda scelta assoluta dell’anno 1960, spostò la franchigia a Los Angeles: diventò la prima squadra di pallacanestro professionistico della costa ovest. Passarono 12 anni, sei finali perse, l’arrivo di Wilt the stilt Chamberlain, prima che i Lakers di Mister Logo, prima che lui e la squadra, riuscissero a portare a casa il primo sofferto titolo. Ma i Lakers in compenso erano diventati già la squadra più glamour della Lega se non di tutte le leghe sportive americane: grazie alla vicinanza con Hollywood, il mondo del cinema e della pallacanestro incominciarono a incontrarsi al Forum. Da lì in poi, undici titoli, Abdul Jabbar, Magic Jonhson, Shaquille O’Neal, Kobe Bryant.

 

Capitolo 5: Win one for the cowboy

Dalla sua fondazione nel 1905 la Mlb aveva sempre avuto 16 squadre. Dopo aver perso due squadre la città di New York chiese la possibilità di poter riempire queste lacune e venne quindi creata una commissione di espansione. La commissione non volle premiare New York, che già aveva due franchigie di baseball in città (che tutt’oggi sono ancora lì: i Mets e gli Yankees), ma pensò comunque che quella dell’espansione fosse un buona idea. Vennero così creati i Washington Senators e i Los Angeles Angels.

Il pitcher Jim Abbot con Gene Autry nel 1990 (Ken Levine/Getty Images)
Il pitcher Jim Abbot con Gene Autry nel 1990 (Ken Levine/Getty Images)

A dir la verità una squadra di baseball dal nome Angels c’era già, anzi la prima vera squadra professionistica della città di Los Angeles erano proprio gli Angels, che giocavano però in una minor league. Il fondatore degli Angels fu Gene Autry, cantante e attore americano, diventato famoso per parti di cowboy cantante già dagli anni ‘30. All’inizio Autry, che gestiva una televisione e diverse stazioni radio, si candidò per acquistare i diritti radiofonici della squadra, ma fu persuaso dalla Lega a diventarne il proprietario visto il suo enorme carisma. La squadra rimase sua per 36 anni, ma lui non la vide mai vincere un titolo. Tra i fans degli Angels, uno dei motti è Win one for the cowboy, proprio per lui. L’unico titolo vinto dagli Angels arrivò nel 2002, quando Autry era già morto. La squadra ha ritirato la maglia numero 26 in suo onore, il 26esimo uomo in campo. Nella loro storia gli Angels hanno cambiato il nome varie volte: prima in California Angels, poi in Anaheim Angeles (quando furono comprati da Disney) e infine nel suo nome attuale: Los Angeles Angels of Anaheim.

 

Capitolo 6: I re

Immaginare del ghiaccio in mezzo alla California risulta sempre difficile, ma nella città del cinema tutto è possibile. Nel 1965 il canadese naturalizzato americano Jack Kent Cooke, già possessore del 25% dei Washington Redskins, compra per 5 milioni di dollari i Lakers da Bob Short. I Lakers cambiano colori, passano dal blu al viola e sotto la sua guida vincono 7 titoli. Da canadese, però, la grande passione di Cooke era l’hockey. Quando nel 1966 la Nhl apre all’espansione di sei nuove franchigie Cooke riesce a conquistare per 2 milioni uno di quei posti e fondare, il 5 giugno 1967, la prima squadra di hockey su ghiaccio della città: i Los Angeles Kings. Dopo un sondaggio Cooke sceglie quel nome perché vuole dare «an idea of royalty»; i colori sono gli stessi dei Lakers. All’inizio Cooke vuole che i Kings giochino nella Los Angeles Memorial Sports Arena, ma la Los Angeles Coliseum Commission, che gestisce l’impianto e il Coliseum, ha già stretto un accordo con i Los Angeles Blades, una squadra di hockey di minor league. Cooke dice che si sarebbe costruito la sua arena personale e così fa: è la nascita del Forum. Cooke vuole farla diventare la più bella arena sportiva del mondo e la soprannomina “The Fabulous Forum”. Trasferisce lì dalla Memorial Sports Arena anche i Lakers, e mette dei camerieri a servire le star a bordo campo. I Kings, sotto la sua proprietà, non vincono nemmeno una Stanley Cup. Nel 1979 il Jerry Buss compra da Cooke i Lakers, i Kings, il Forum e un ranch.

Il ghiaccio allo Staples Center  Sean M. Haffey/Getty Images)
Il ghiaccio allo Staples Center (Sean M. Haffey/Getty Images)

 

Capitolo 7: Dogtown

La Route 66, la famosa strada che percorre in orizzontale gli Stati Uniti che unisce l’est all’ovest, quella percorsa da Kerouac, e da lui resa famosa, parte da Chicago e arriva a Santa Monica, direttamente sul pontile, nel mare. Venice Beach è una piccola cittadina, accumunata a Venezia per la presenza di qualche canale, ma che con Venezia non ha nient’altro in comune. Il punto di interesse più alto è il walkboard che affianca la spiaggia, con negozi di dottori che prescrivono ricette per comprare marijuana. I quartieri Downtown, e Ocean park di Santa Monica, assieme a Venice Beach, all’interno della Contea di Los Angeles, formano quella che viene denominata Dogtown, dove, una quarantina di anni fa, è nato veramente lo skateboard come lo conosciamo adesso e la sua cultura.

Veramente perché l’invenzione risale a molto prima, non è certo l’anno preciso e nemmeno chi l’abbia inventato, si pensa tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta; era stato pensato per essere usato dai surfisti quando nel mare non c’erano onde, ma alla metà degli anni ‘60 lo skateboard era considerato una moda già alla fine della sua vita. Poi ci fu una svolta.

A young man jumps with his skateboard at Venice Beach Skateboard Park on July 4, 2011 in Venice, California. The first skateboards to reach public notice came out of the surfing craze of the early 1960s, developed to help surfers practice when waves were unfavorable. The first prototypes were simple wooden boards with roller-skate wheels attached, and the practice was sometimes referred to as "sidewalk surfing." The surfing group Jan and Dean even had a minor hit called "Sidewalk Surfing" in 1964. By the mid-1980s skateboards were mass produced and sold throughout the United States. AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
Lo skate park di Venice Beach (Gabriel Bouys/Afp/Getty Images)

È il 1975 quando un’enorme siccità colpisce lo Stato d’oro. Viene dichiarata allerta per gli incendi nei deserti e il sindaco bandisce gli sprechi d’acqua: migliaia di piscine rimangono vuote e diventano ideali onde d’asfalto dove poter viaggiare con gli skateboard. Parallelamente un negozio per surfisti di Venice Beach, Zephyr, si procura le prime ruote in poliuretano e, intuendo il potenziale di questo sport e dei ragazzini che per primi lo stavano praticando, decide di sponsorizzarli. Loro diventano gli Z-Boys, coloro che hanno esplorato e superato i limiti dello skateboard e che ne hanno esportato lo stile. I loro nomi sono: Allen Sarlo, Jay Adams, Tony Alva, Chris Cahill e Stacy Peralta. Come disse Craig Stecyk: Duecento anni di tecnologia americana hanno involontariamente creato un gigantesco playground di cemento di infinite possibilità, ma ci volle la mente di un bambino di undici anni per poterne vedere il potenziale.

 

Capitolo 8: 1984

Le Olimpiadi ritornano a Los Angeles per la loro XXIII edizione e anche questa volta si svolgono nel Coliseum. Oltre a Carl Lewis che conquista quattro ori nei 100 metri, 200 metri, salto in lungo e staffetta 4×100, la seconda Olimpiade di L.A. è ricordata principalmente per il controboicottaggio operato dall’Unione Sovietica. Quattro anni prima a Mosca, nel 1980, gli Usa avevano disertato l’edizione per protesta contro l’invasione sovietica in Afghanistan, e allo stesso modo l’Unione Sovietica boicottò l’edizione californiana e con lei altre tredici nazioni. Senza i potenti rivali, gli Stati Uniti dominano le Olimpiadi. Le Nazioni che non partecipano alle Olimpiadi organizzano i Giochi dell’Amicizia, una manifestazione parallela.

28 JUL 1984:  SAM THE EAGLE THE MASCOT OF THE 1984 LOS ANGELES OLYMPICS MARCHES AROUND THE STADIUM DURING THE OPENING CEREMONY.
Sam the Eagle, la mascotte delle Olimpiadi del 1984 (Tony Duffy/Getty Images)

 

Capitolo 9: Quack Quack Quack

Per quanto Anaheim non sia Los Angeles e nemmeno faccia parte della sua Contea, le squadre di questa città vengono comunque considerate losangeline. C’è un’altra squadra che ha sede ad Aneheim e che ancora di più degli Angels è stata toccata da Disney: gli Anaheim Ducks, in origine Mighty Ducks of Anaheim.

Ron WilsonJed Jacobson/ALLSPORT
Ron Wilson, primo allenatore dei Mighty Ducks (Jed Jacobson/Allsport)

Nel 1992 Stephen Herek gira un film per bambini con protagonista Emilio Estevez dal titolo The Mighty Ducks (in italiano Stoffa da Campioni): Gordon Bombay (Estevez) è un avvocato fermato in stato di ebbrezza e obbligato ad allenare una squadra di hockey formata da scapestrati ragazzini. Il film è un grande successo negli Stati Uniti, così grande che la Walt Disney Company decide di creare una franchigia con sede ad Anaheim prendendo il nome proprio dalla squadra del film, così come il logo e i colori: Mighy Ducks of Anaheim. Un evento hollywoodiano, anche se la storia reale della squadra non è bella come quella di un film: durante gli anni in cui i Mighty Ducks sono una squadra Disney non vincono mai una Stanley Cup, mentre l’anno dopo aver venduto le proprie quote ad altri azionisti, con nome ridotto (solo “Ducks”), un nuovo logo e nuovi colori, arriva la prima e finora unica vittoria in Nhl, nel 2007.

Fin CHRIS WILKINS/AFP/Getty Images)
Fin (Chris Wilkins/Afp/Getty Images)

 

Capitolo 10: Rose Bowl

Molti sono gli stadi che ripercorrono la storia di L.A.: il Memorial, il Coliseum, oggi lo Staples Center, la casa dei Kings, dei Lakers e dei Clippers, e tra tutti ce n’è uno, collocato a Pasadena, nella Contea di Los Angeles, che non si può non citare: il Rose Bowl. Costruito nel 1923, è conosciuto nel mondo americano soprattutto per essere la sede dove viene giocato l’annuale Rose Bowl Game, giocato tra i vincitori delle conference di football americano collegiale, Big Ten e Pac-12; nel resto del mondo è più conosciuto per essere stato il luogo della finale dei Mondiali di Calcio del 1994, quelli persi dall’Italia con il rigore sbagliato di Baggio.