La tradizione orale in Africa è stato un vero e proprio sistema di trasmissione del sapere in quanto mezzo diffuso, rapido e immediato da usare per tramandare storie, usi e costumi. Nell’intensità della voce, dalle piccole o grandi sfumature della stessa, i protagonisti dell’epica, delle fiabe e delle storie rurali hanno fatto giungere fino a noi le leggende di un intero continente. Mwindo e la sua epica sono da considerare come uno dei più importanti racconti orali delle popolazioni dell’Africa centrale in quello spazio geografico ascrivibile allo Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo. Mwindo è un ragazzo dotato di poteri sovrannaturali che sfuggirà alla morte e agli agguati del suo malvagio padre, diventando re, governando il suo popolo in pace e armonia. Un predestinato. Chissà se Roger Lukaku ha mai raccontato queste storie a suo figlio Romelu e chissà se Romelu ha mai fantasticato di diventare un eroe con poteri sovrannaturali, proprio come Mwindo. Di sicuro anche Romelu Lukaku ha dovuto superare molte prove nella sua vita.
Per capire Lukaku e la sua importanza nel desolato panorama calcistico belga, confinato per anni nei bassifondi dell’élite internazionale, bisogna attraversare un Paese attanagliato da una lunga crisi politica, minacciato dalle spinte secessioniste dei Fiamminghi e da una mai del tutto risolta spinosa questione coloniale. Per comprendere il fenomeno Lukaku bisogna recuperare dagli archivi della tv belga un docufilm in 10 puntate dal paradigmatico titolo La scuola di Lukaku, in cui si documenta la vita della più grande scuola secondaria multiculturale di Bruxelles, il Sint-Guido Instituut e in particolar modo la classe del giovane talento di origini congolesi. È qui che l’Anderlecht manda a studiare i suoi giovani anche grazie a piani di studio flessibili che contemplano e garantiscono l’attività sportiva. La scuola di Lukaku racconta la vita di questi ragazzi, le loro aspettative, i loro sogni: all’interno del programma si parla sinceramente e anche animatamente di amicizia, amore, sessualità, fede e religione, sicurezza e criminalità. Si parla del futuro, delle paure, dei fallimenti in aula e poi nella vita al di fuori della scuola.
Quello che colpisce di Lukaku è la sua maturità. Deve difendersi dai paragoni scomodi che lo vedono accostato al suo mentore, Didier Drogba, e se Mwindo deve scontare una pena per aver ucciso il drago amico del fulmine, Romelu accetta di fare gavetta nei bassifondi del calcio inglese, al West Bromwich Albion, dove a suon di gol ritorna a lottare per il suo sogno: tornare al Chelsea. Lukaku è cresciuto in fretta. Glielo hanno imposto i ritmi con cui si è imposto all’attenzione del grande calcio mostrando un carattere e una coerenza ascrivibile più ad un adulto che ad un ragazzino. Quando afferma che la Champions del 2012 non è sua e si rifiuta di posare con il trofeo e con i suoi compagni, oppure quando affronta Mourinho e chiede la cessione, non ha nessun tipo di rimorso o di rimpianto. Come l’eroe epico, costretto a scontare una pena nel regno dei Morti, per riguadagnare il regno dei Vivi, Lukaku per inseguire il suo sogno deve, a malincuore, rinunciare al suo club del cuore, sapendo che quell’addio si rende necessario per spiccare definitivamente il volo. «Non ho rimpianti, sono felice delle scelte che ho fatto. Il Chelsea è una grande squadra, avevo 18 anni quando sono arrivato. Ero molto ambizioso. Mi hanno insegnato a essere un professionista, ho imparato l’etica del lavoro e la mentalità vincente. Non dirò mai nulla di male di quella squadra, ma non volevo stare in panchina per 10 anni».
Nell’anno dei Mondiali passa all’Everton e si presenta all’intero pianeta come il gigantesco eroe che trascinerà il piccolo Belgio all’inseguimento di un risultato di prestigio. Non è stato brillantissimo durante le qualificazioni, ma è grazie a due suoi gol che il Belgio batte la Croazia e stacca il biglietto per il Brasile. Lukaku si trasfigura di nuovo in Mwindo deve diventare eponimo usando i suoi poteri, deve sconfiggere i suoi nemici per sperare di ritornare a casa da trionfatore.
La doppietta contro la Croazia
In questi due gol ritroviamo tutta l’essenza del centravanti belga. Lanciato a rete da un pregevole filtrante di Defour, Lukaku mostra un ottimo controllo palla e grande freddezza nel saltare Pletikosa e depositare a porta vuota. Il secondo gol ricorda i centravanti vecchio stile che travolgono tutto quello che trovano sulla loro strada verso la gloria: un caterpillar, un po’ Vieri, un po’ Weah, ma soprattutto un ragazzo che vuole correre veloce verso una carriera importante. La Croazia sta spingendo alla vana ricerca del pareggio, il Belgio si difende a spada tratta. Lovren, imbeccato in area da una punizione battuta furbescamente da Rakitic, prova una conclusione che viene ribattuta dalla difesa dei Diavoli Rossi. La palla arriva a De Bruyne che la passa a Witsel. Il pallone rimbalza e Witsel è costretto a lanciarlo in profondità con uno strano piattone. Lukaku entra in possesso del pallone qualche metro prima della linea centrale del campo, salta Corluka proteso alla ricerca del pallone, e ingaggia un duello in velocità con Kovacic, un duello impari. Lukaku corre per metà campo con Kovacic che non lo molla, poi, mentre sta per entrare in area, lo sposta, ripetendo il duello con Pletikosa: tiro di sinistro, l’estremo croato respinge, ma la palla rimbalza proprio sulla coscia del belga che entra in porta per il momentaneo 2-0. Al Mondiale le cose non vanno come dovrebbero e la prima grande prova non viene superata. Il Belgio si ferma ai quarti, Romelu sigla una sola rete e l’eroe ritorna a casa con qualche ferita di troppo.
La grande capacità degli eroi è quella di rinascere, e Lukaku brucia le tappe diventando il quinto giocatore a raggiungere quota 50 goal nel massimo campionato inglese prima di aver compiuto 23 anni. È il quarto calciatore in ordine di età e aggiunge il suo nome ad un poker di nomi altisonanti come Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney, Robbie Fowler e Michael Owen. Eppure, nonostante la sua prolificità, il futuro radioso (stiamo parlando pur sempre di un classe 1993), una solida carriera internazionale, record demoliti, Romelu Lukaku non è ancora considerato come si dovrebbe: un calciatore che a 23 anni ha segnato 110 reti in 246 presenze tra Jupiler League e Premier, nonché capace di segnare nelle coppe europee 16 gol in 33 presenze e di realizzare 22 segnature in 56 apparizioni con la maglia della sua Nazionale.
I gol e lo strapotere fisico del giocatore appaiono veri e propri atout che sparigliano il campo da ogni dubbio: un metro e novantatré per 94 kg di peso, misure che pochi attaccanti possono vantare e che non gli impediscono di essere piuttosto rapido. Un centravanti in grado di calciare sia di sinistro, suo piede naturale, ma anche di destro, abile nel gioco aereo; un attaccante che ama stazionare in area di rigore ma che risulta devastante se lanciato in profondità negli spazi aperti. Lukaku continua a segnare anche in questa Premier: sono già 17 le reti in 25 presenze, ovvero il 40% delle reti dell’Everton (meglio di lui per incidenza, Jermain Defoe con il 58%). Statistiche alla mano, con il 67% di precisione al tiro si colloca tra i migliori frombolieri della Premier: il dato distribuito consente di apprezzare la grande qualità delle conclusioni portate verso la rete avversaria. Dei 63 tiri di Lukaku, ben 33 terminano la loro corsa nello specchio (e quasi uno su due si trasforma in gol), 18 sono fuori dallo specchio e 12 sono i cosiddetti shots blocked, i tiri respinti da un avversario. Dei 63 tiri totali, 39 arrivano da dentro l’area di rigore, 7 dall’area piccola e 17 da fuori area.
I gol con la maglia dell’Everton
Le sue realizzazioni nascono dal grande senso della posizione e dallo spiccato fiuto del gol, doti riconosciute ai grandi bomber. Un tratto distintivo dei suoi gol è che Lukaku segna molti gol tirando di prima intenzione: ovviamente questa scelta, rischiosa e atipica, è fondamentale per anticipare i difensori e per rubare il tempo ai portieri. L’ultimo Lukaku sembra cambiato rispetto al centravanti mobile di cui eravamo a conoscenza. Se i numeri non mentono, la sua media di 26 passaggi tentati a partita (una delle peggiori nell’Everton) lo allontana dalla figura di centravanti di manovra tout court, ma non gli impedisce di coinvolgere gli esterni con ariose aperture e le mezzali con sponde all’indietro. Sembra quasi un’evoluzione più che una trasformazione.
Dove può migliorare Lukaku? Chiedere ad un bomber di fare meglio vuol dire, sostanzialmente, chiedergli di segnare di più. In Premier, in una selezione tra i migliori attaccanti che tiene conto di almeno 15 presenze, Lukaku è solo quattordicesimo per passaggi completati con 16.75 a partita con una precisione del 65%. Ibrahimovic, Diego Costa, Benteke (suo alter ego in nazionale), Llorente, Arnautovic e Negredo (tutti assimilabili come caratteristiche) lo precedono in questa speciale classifica. Le cose migliorano quando si parla di key passes, i passaggi che non diventano gol ma che portano alla conclusione di un compagno: Lukaku è quarto con 29 passaggi (1.2 a partita) e si conferma un ottimo assistman piazzandosi al sesto posto della speciale classifica (considerando solo gli attaccanti) con 4 assist.
Perché non è già arrivato in una big? Fisicamente è devastante, ha già una certa esperienza internazionale avendo disputato un Mondiale e un Europeo, ha vinto una classifica dei cannonieri (in Belgio, ma aveva appena 16 anni) e segna con regolarità in Premier. Forse perché la sua trasformazione lo sta emarginando da quel ruolo di attaccante universale che tanto piace a molti allenatori in giro per l’Europa. Pensiamo a giocatori nati come finalizzatori duri e puri come Eto’o, Mandzukic e Diego Costa, trasformatisi in faticatori a tutto campo. Lukaku sta andando nella direzione opposta, rendendosi più simile alla figura del centravanti-finalizzatore che in questo momento storico risulta appetibile solo se abbinata a numeri da capogiro. Inoltre, Lukaku paga una sostanziale calma piatta nel mercato degli attaccanti. I club che lo potrebbero acquistare sembrano sufficientemente coperti: a detta di Raiola, in Italia nessuno si potrebbe permettere l’esborso di circa 80 milioni di euro. La Juventus, a cui il giocatore è stato accostato, con l’acquisto di Higuain ha scelto un bomber più rodato. Il Real, altra squadra che poteva arrivare al belga, ha ancora in Benzema un giocatore più che affidabile. Il Chelsea di Conte potrebbe essere appetibile, se non fosse per quel satanasso di Diego Costa e per la sua stagione da urlo.
Lukaku ha un contratto che scade nel 2019 e, proprio in questi giorni, da Liverpool giungono voci di un rinnovo. Da un lato c’è la volontà del club di volere legare a sé un calciatore così giovane e così decisivo mettendolo al centro del progetto tecnico grazie alle idee (e ai soldi) del nuovo azionista di maggioranza del club, l’iraniano Farhad Moshiri, disposto ad affidare nelle mani di Ronald Koeman oltre 100 milioni di sterline per rinnovare la rosa. Dall’altro, il sospetto che la dimensione Everton sia la migliore possibile per un calciatore come Lukaku. Centrale nel progetto, amato dai tifosi, cannoniere e uomo squadra, Lukaku sembrerebbe a suo agio nella parte di eroe eponimo: non uno dei tanti in una grande ma uno, e unico, in una squadra di medio livello. Del resto, anche Mwindo, dopo essere scampato alla morte, agli agguati e alle trappole dei suoi tanti nemici, si è accontentato di portare la pace e l’armonia al suo popolo, limitandosi a governarlo.