Pep Guardiola non se l’era tenuto per sé. «Attaccare il più possibile è l’unico modo che conosco per battere questo tipo di squadra», aveva detto alla vigilia del match di ritorno contro il Monaco. Nonostante il vantaggio di due gol maturato all’andata, il piano tattico che aveva in mente per il Manchester City era questo: segnare il più possibile, contro una squadra che già in Inghilterra aveva concesso più del dovuto, per mettere al sicuro la qualificazione. Guardiola ha perciò schierato una formazione iper-offensiva, lasciando il solo Fernandinho a schermo della difesa, con cinque giocatori d’attacco in campo contemporaneamente (Sané, De Bruyne, Silva, Sterling, Agüero). Si è rivelato un harakiri, perché il City ha subito un gol dopo otto minuti e un altro, quello che già sanciva la virtuale eliminazione, dopo 29. «Ho provato a convincere la mia squadra che saremmo dovuti scendere in campo, attaccare e segnare. Il mio errore è stato non essere stato capace di persuaderli», ha detto Guardiola a fine partita.
La vittoria del Monaco contro il City
Al di là della scelta condivisibile o meno di Guardiola, e del fatto che il Manchester City ha buttato via la qualificazione per il modo in cui ha approcciato il primo tempo (nemmeno un tiro nei primi 45 minuti!), gli ottavi di Champions League hanno messo in luce un denominatore comune tra la maggior parte delle squadre scese in campo: la spiccata vocazione offensiva. Chi avrebbe mai pensato che il Barcellona potesse rimontare uno 0-4, impresa mai riuscita nella storia della Champions? O che il Manchester City venisse eliminato dopo aver segnato ben cinque gol nella gara di andata, altro scenario mai avvenuto? Sono situazioni al limite dell’inverosimile, che di colpo diventano realizzabili se le consideriamo all’interno di un contesto tattico profondamente mutato.
Il dato emergente di questa prima fase a eliminazione diretta di Champions League è quello relativo ai gol: 62 gol segnati in 16 partite. Ovvero, quasi 4 gol di media a partita. Sono tantissimi e non più, come avveniva più di frequente in passato, legati esclusivamente a uno squilibrio di forze (quest’anno è successo con Bayern-Arsenal, e in misura minore con la gara tra Bayer e Atlético, dove però il match di andata è stato tenuto in vita per più di un’ora). È una questione, come dice Michael Cox su Espn, legata all’idea di gioco delle squadre protagoniste: «In una Champions che è basata tutta sull’attacco più che su una solida difesa, l’idea di un Barcellona che segna sei volte non sembra più così pazza».
Il 6-1 del Barça contro il Psg
L’inversione del trend, prosegue Cox, è figlia della nuova generazione di allenatori: «Tecnici come Sarri, Guardiola, Tuchel, Sampaoli e Simeone hanno nella pressione alta una parte fondamentale del proprio stile di gioco. Negli anni Duemila, invece, le squadre giocavano le gare a eliminazione diretta essenzialmente coprendosi, lavorando sull’errore dell’avversario. Dieci anni fa era predominante lo stile di gioco di un Rafael Benítez o di un José Mourinho, mentre ora il calcio difensivo non va più di moda». Prendiamo in esame gli ottavi della Champions 2006/07: in tutto, vennero segnati appena 29 gol, con un’emorragia di risultati come 0-0 e 1-0. Da quando il torneo ha adottato la nuova formula, non era mai stata superata la quota delle 60 reti.
A una smodata attenzione difensiva, perciò, ha fatto seguito un trend tattico molto più offensivo, basato su un calcio calibrato sul possesso palla, sul portare molti uomini in area di rigore avversaria, sulla costante ricerca del gol: ovviamente, il benchmark di questo stile di gioco è stato il Barcellona di Guardiola. Ma oggi, come dimostrato dagli ottavi appena conclusi, si è verificato un ulteriore salto in avanti: l’attitudine offensiva è stata piegata, più che al “controllo” della partita, alla velocità, all’intensità. Nel nuovo corso è stato decisivo l’imprinting di Simeone, non a caso finalista in due delle ultime tre edizioni di Champions. Pressing e ritmi alti servono in prima istanza a non lasciar ragionare l’avversario, evitando che possa esplicarsi l’azione; poi, con il recupero alto del pallone, è molto più agevole arrivare in area avversaria, soprattutto se il pressing è portato con tanti uomini che, di conseguenza, da difendenti si trasformano in attaccanti. Un piano che ha funzionato a meraviglia per due squadre, Barcellona e Monaco, che avevano un disperato bisogno di segnare.
Per questo l’idea di Guardiola è andata in fumo, e forse dice qualcosa delle mancanze del tecnico catalano: al suo calcio avvolgente e ipnotico è stato scovato l’antidoto, tanto più che il suo Manchester City è ben lontano da quell’aura di invincibilità vantata dal suo Barça, e parzialmente, dal suo Bayern. E non è un caso che la sua ultima avventura bavarese in Champions sia finita con l’incrocio contro l’Atlético Madrid, che più di tutti ha spinto in questa direzione di occupazione degli spazi e ritmi alti. Il piano di Guardiola contro il Monaco non è mai decollato e una formazione così sbilanciata, al tempo stesso, ha prodotto un effetto controproducente, lasciando ai monegaschi la libertà di attaccare negli spazi, spesso addirittura in superiorità numerica nei duelli: basta vedere come si sviluppa il 2-0 del Monaco, con il City che perde distanze e marcature e il solo Stones a fronteggiare due giocatori avversari, Lemar e Mendy (quest’ultimo autore del traversone che Fabinho sfrutterà per la rete).
È anche vero che, da qui in avanti, l’impermeabilità difensiva farà la differenza. La Juventus è stata la squadra che più ha convinto per equilibrio: i bianconeri sono stati gli unici, tra le formazioni protagoniste degli ottavi, a non subire gol. Non solo: tra le squadre qualificate ai quarti, la Juve è quella con i numeri difensivi migliori. Ha subito appena due gol in tutta la competizione, meglio di Atlético (4), Bayern e Leicester (8). Ha il primato di clean sheet, sei (solo Atlético e Leicester si avvicinano, cinque), e ha concesso meno tiri di tutti (53). Arrivati a questa fase del torneo, i troppi gol, da una parte e dall’altra, potrebbero essere un limite.