Il puzzle dell’Inter

Come cambia il centrocampo di Pioli, in base a giocatori e caratteristiche: tante possibilità per adattarsi di volta in volta all'avversario.

Quando Pioli ha preso in mano l‘Inter, la squadra era una creatura molle, senza forma, e sull’orlo dell’implosione. Per questo fa ancora più impressione pensare che tra i suoi indiscutibili meriti rientri a pieno titolo anche quello di aver dato un’identità tattica all’Inter, a prescindere dal modulo utilizzato. Il tecnico parmigiano è riuscito a convincere i giocatori che le sue idee sono le migliori per conseguire risultati e sviluppare al contempo il potenziale della rosa, e questo trascurando il «prefisso telefonico» (cit. Guardiola). Non ci si sofferma mai abbastanza sull’ecletticità dell’Inter, cioè quella capacità di cambiare pelle per adattarsi al contesto tattico e all’avversario di turno, plasmando la squadra secondo le necessità. Ancor di più, se si pensa che i giocatori mettono in campo tutti i principi di gioco del proprio allenatore con qualsiasi abito. Se ad oggi Pioli può permettersi di cambiare sull’avversario, è perché può contare su giocatori dalle qualità spiccate e differenti, tali da potergli permettere di adattarsi di volta in volta senza rinunciare alle linee guida da lui tracciate. Soprattutto sembra esser riuscito a tirare fuori il meglio da ogni giocatore, togliendo ognuno dei suoi uomini dall’ombra in cui erano caduti.

Il centrocampo a tre

Sin dall’inizio della sua avventura ad Appiano Gentile, Stefano Pioli ha cercato e ricercato l’assetto perfetto per l’Inter. A maggior ragione dopo i confusi 83 giorni di Frank de Boer, la squadra sembrava aver smarrito la bussola, tanto da lasciare il nuovo tecnico con il dilemma del modulo migliore. Così, Pioli ha pensato di affidarsi al 4-3-3 che tante soddisfazioni gli aveva tolto tra Lazio e Bologna, anche in ragione della semplicità di comprensione e applicazione dei movimenti richiesti, soprattutto in fascia. I triangoli per risalire il terreno vengono a crearsi naturalmente sia sulle catene laterali sia in mezzo al campo, illuminando con un faro le posizioni che i giocatori devono mantenere. Manna dal cielo per una squadra che di sovrastrutture tattiche ne aveva fin sopra i capelli.

FBL-ITA-SERIEA-INTERMILAN-EMPOLI

Per il gioco veloce e verticale di Pioli non serve un regista vecchio stampo in mezzo al campo. Poiché l’uscita del pallone dalla difesa è demandata verso le fasce, non avrebbe (avuto) senso chiedere o mettere un Pirlo nel ruolo di mediano davanti la difesa. Al contrario, siccome l’Inter tende ad allargare il campo in ampiezza, c’è piuttosto bisogno di un frangiflutti in grado di schermare la difesa in fase di transizione, o abile a tenere le linee strette in fase di difesa posizionale. Da qui l’impiego di Medel come mediano. Il cileno ha sempre offerto prestazioni generose in stagione, al limite dell’umana sopportazione, e ha dato il suo contributo alla fase difensiva realizzando 1.5 intercetti e 1.8 tackle a partita. Prevedibilmente, invece, il suo apporto alla fase offensiva è stato trascurabile, potendo contare solamente su 0.3 key passes (tutte le statistiche sono parametrate sui 90 minuti). Poiché Medel tende a passare principalmente in orizzontale o a rifugiarsi verso un approdo sicuro all’indietro, la sua precisione nei passaggi va oltre il 90% delle giocate (pur scolastiche nel complesso).

Il problema semmai è stato conciliare mezz’ali che potessero mantenere il palleggio in fascia e offrire copertura allo stesso tempo. Inizialmente, Brozović ha ricoperto un ruolo importante per la sua capacità tecniche: il croato ama svariare in orizzontale, ha un piede educato, sa fa correre l’esterno di riferimento e verticalizzare al momento giusto. Kondogbia sull’altro lato assicurava gestione e ha assunto così il ruolo di passatore in fase di possesso e di supporto proattivo nel recupero palla (senza dimenticare le qualità di distruttore di gioco). Tuttavia, l’assortimento degli interni presentava diverse criticità, forse irrisolvibili nel breve periodo. Brozović ha mostrato gravi limiti di difesa posizionale, accorciando la coperta sul centrocampo con uscite in avanti poco armoniose e fuori dal ritmo imposto dagli avanti. A Kondogbia invece, nel ruolo di mezz’ala, veniva richiesto un lavoro di trasmissione con il reparto avanzato che non è nelle corde del francese, soprattutto dinanzi a spazi stretti come quelli in Italia. Conseguenza naturale di questi difetti era una squadra troppo lunga, spezzata in tronconi che la costruzione bassa non sapeva collegare.

La quadratura del cerchio: il 4-2-3-1

La soluzione a molti problemi è avvenuta contestualmente al cambio modulo. Il rovesciamento del triangolo di centrocampo ha restituito a Pioli due tipi di vantaggi. Da un lato, ha aggiunto un uomo in zona palla quando la squadra deve pressare, senza rischiare di scoprire ampie porzioni di terreno in quanto costringeva una mezz’ala ad uscire sui mediani avversari; dall’altro invece ha assicurato la presenza di un uomo di qualità in avanti, per facilitare i collegamenti tra centrocampo e attacco. Evidentemente, questo cambio di modulo dev’essere avvenuto in concomitanza con la definitiva conferma del ruolo di João Mário. La squadra ha beneficiato enormemente del lavoro del portoghese, in tutte le fasi. In fase di possesso João Mário si abbassa a prendere la palla per pulire la circolazione, facilitando così il compito dei due mediani. Con il pallone tra i piedi è dotato di un’ottima visione di gioco, che gli permette di cercare sempre la prima soluzione avanzata disponibile: e se questa è Icardi son dolori per gli avversari, dato che sforna 2.1 key passes a partita.

Qui aiuta la pressione, riconquista palla e trova un pertugio per verticalizzare in un corridoio talmente stretto che non ci batte nemmeno la luce

Con lui in campo – e in quella casella – l’Inter ha trovato uno sfogo al possesso consolidato, una massa in grado di far gravitare attorno a sé tutti i palloni morti che sarebbero stati altrimenti riciclati all’indietro. Soprattutto, poiché dotato di tecnica di base superiore alla media, sa gestire, velocizzare e rallentare a piacimento i tempi della manovra, addomesticando al momento della partita l’enfasi di squadra e avversari. Sa anche strappare palla al piede, che in un contesto tendente allo sfruttamento degli spazi non guasta affatto.

In una partita dove, nominalmente, partiva da mediano destro…

Anche in fase di non possesso il contributo di João Mário si è rivelato fondamentale. Il gioco di Pioli viaggia sui binari esterni con la palla, ma vive anche di difesa in avanti. Questa si sostanzia in un pressing portato orientando gli avanti sull’uomo, e il classe ‘93 portoghese ha mostrato grande spirito di sacrificio nelle uscite, e una sorprendente intelligenza calcistica nella schermatura dei mediani avversari quando Icardi pressa alto su difensori e portiere. Inoltre, 1.3 intercetti a gara costituiscono un asset importante per la manovra nerazzurra, che predilige una riconquista alta del pallone. La cosa migliore del portoghese è che si intravedono ulteriori margini di crescita. Pioli di lui dice che dovrebbe impararare a segnare un po’ di più, ma il fatto di svariare molto lo costringe a spendere energie e perdere così di lucidità nelle zone calde. Al di là di questo aspetto, con João Mário in campo l’Inter ha guadagnato in tutti gli ambiti: fantasia, gestione, assist.

Dietro al campione d’Europa, Kondogbia ha (ri)trovato la sua dimensione. Libero sia da compiti di impostazione che da quelli di raccordo, il francese ha potuto concentrarsi su quello che fa meglio: il passatore e l’incontrista. L’ex Monaco e Siviglia è forse l’uomo che più ha beneficiato della venuta di Pioli, ritornando ad essere un giocatore affidabile: piano piano, sta maturando anche nella gestione del pallone e in quella dell’aggressività sull’uomo. Accanto a lui, Brozović ha occupato la casella di mediano per il primo mese. Offriva buoni duetti con João Mário, ma esponeva la squadra e pericolose ripartenze se la prima pressione non andava a buon fine, data la sua criticità cronica nello scoprire lo spazio alle proprie spalle. Poi è arrivato Gagliardini. L’ex Atalanta ha fatto evolvere di un ulteriore livello la creatura di Pioli. Gagliardini è un giocatore estremamente intelligente, dotato di ottimo passo (nonostante arrivi al metro e ottantotto), con piedi educati e mente acuta. Abituato alle marcature a uomo e ai meccanismi di un centrocampo a due, il classe ’94 si è integrato da subito nel nuovo schema di Pioli e soprattutto ha continuato quella crescita personale già palesata a Bergamo.

Nella prima partita in maglia nerazzurra ha lasciato tutti gli spettatori con l’idea che fosse un veterano della squadra

Gagliardini è un giocatore completo sia tecnicamente che tatticamente, e con lui in campo Pioli ha saputo porre rimedio a due crucci storici dell’Inter: il primo è stato la difesa dello spazio dietro al centrocampo, e il secondo quello di riuscire a collegare i reparti in fase di possesso. Gagliardini sa anche difendere l’uomo come pochi, e sta anche maturando il senso di posizione necessario per tenere strette le linee quando c’è da rimettere i remi in barca. Non sa (ancora) difendere benissimo gli spazi, ma è già un maestro nell’occluderli prima che si materializzino. In fase di possesso non ha la stessa verticalità o il palleggio di Brozović, ma le sue qualità in interdizione (3 tackle e 2.4 intercetti a partita) lo rendono imprescindibile nel contesto di questa Inter. In più, abbina alle qualità di recupero palla un dinamismo fuori dal comune che – complice forse la preparazione atletica con l’Atalanta di Gasperini – lo porta a coprire ampie porzioni di terreno con grande naturalezza. La sua pressione obbliga gli avversari a forzare la giocata con il rischio di errori tecnici, pena la perdita del pallone.

Qui la sua heatmap contro il Cagliari, ma avrei potuto prendere una partita qualsiasi. Si nota la tendenza a uscire largo e partecipare alle catene laterali, testimoniata dall’occupazione di una zona più esterna
Qui la sua heatmap contro il Cagliari, ma avrei potuto prendere una partita qualsiasi. Si nota la tendenza a uscire largo e partecipare alle catene laterali, testimoniata dall’occupazione di una zona più esterna

Ma sarebbe sbagliato etichettarlo come centrocampista difensivo: le qualità di Gagliardini sono quelle che (anche nel 2017) non sappiamo cogliere appieno con le statistiche. Pur senza essere un creatore di contesto, è un giocatore che sa far bene e si trova a suo agio praticamente ovunque. L’ex Atalanta sembra quasi un giocatore di futsal: riceve, passa, e scatta subito ad occupare una nuova posizione. Le sue abilità nel posizionamento, nelle letture, nel seguire e assecondare la pressione degli attaccanti, lo rendono imprescindibile per il gioco di Pioli. Gagliardini ha portato il controllo della zona nevralgica.

Le cose importanti Gagliardini le fa senza palla. Qui contro l’Atalanta: accompagna il pressing, si guarda le spalle, e a palla persa ha già recuperato la casella dove deve stare per ricevere il passaggio in orizzontale da Kondogbia (che però non se ne avvede e cerca uno sciagurato retropassaggio)

Chi invece sembrava esser finito nel dimenticatoio è Éver Banega. Già ai margini nel 4-3-3 d’ordinanza oranje, Banega ha saputo pian piano ritagliarsi uno spazio come alternativa a João Mário. Con il portoghese condivide una non immediata collocazione tattica, l’ottimo bagaglio tecnico, e il gusto per il gioco tra le linee. Banega ha dalla sua giocate più imprevedibili, da vero e proprio manifesto dell’enganche. Al tempo stesso, presenta una certa indolenza in fase negativa, delegando spesso ai compagni non solo le transizioni difensive, ma anche la pressione. L’applicazione anche senza il pallone dev’essere una caratteristica che ha spinto Pioli a preferirgli João Mário. Banega è il tipo di giocatore splendidamente anarchico, che deve essere lasciato libero di poter cercare il miglior galleggiamento in campo per poi far piovere key passes (2.3 a partita) ai compagni. Anche dovesse metterci 60 minuti. La ritrovata forma fisica gli ha permesso di segnare 4 gol e fornire 2 assist nelle due uscite contro Cagliari e Atalanta, e c’è da scommettere che il suo peso (tecnico e tattico) possa aumentare. Bisogna comunque dire che in entrambe le partite gli spazi lasciati dagli avversari hanno favorito enormemente il gioco di Banega, il quale vive di half space e imbucate per le punte.

Come contro il Cagliari

Con l’argentino nel ruolo di trequartista, l’Inter abbandonerebbe le velleità di reazione che hanno caratterizzato il pressing di Pioli, per sposare un gioco più teso alla posizione, fatto di pause e di movimenti a liberare l’uomo tra le linee. Il rischio è che le caratteristiche poco inclini al palleggio dei mediani possano castrare questa volontà di potenza, ma – se in forma – Banega è un giocatore che può cambiare la squadra. Soluzione puntualmente adottata nelle ultime tre partite contro Cagliari, Atalanta e Torino, con il provvisorio accantonamento di João Mário.

Variazioni sul tema

Il 4-2-3-1 è un modulo che si presta a molteplici interpretazioni e adattamenti. Quest’anno i primi a dargli una forma diversa in fase di possesso o in quella di difesa posizionale sono stati (con le dovute ed enormi differenze) Spalletti e Montella, ma ci aveva già insegnato qualcosa Sousa l’anno scorso. Pioli ha potuto sperimentare la difesa a tre in condizioni di emergenza (vs Juve) o per spalmarsi a specchio (vs Roma): il modulo diventa un 3-4-2-1 con lo scalare di Candreva sulla linea dei centrocampisti e di un terzino (Ansaldi, D’Ambrosio) dall’altro lato. Si tratta anche una soluzione da adottare in corso d’opera. Questo modulo permette di avere: 1) un giocatore in più in fase di costruzione bassa e 2) un doppio appoggio per i centrocampisti davanti a sé, che formano così un quadrato di costruzione avanzata.

In questo contesto hanno trovato nuova applicazione le qualità di João Mário e Brozović. A piacimento, entrambi sono liberi di scendere a prendere il pallone sui piedi, o di entrare tra le linee e cercare una zona di ricezione pericolosa. Entrambi sono in grado di portare più palleggio alla squadra, in partite in cui ce n’è bisogno. Un’altra variazione Pioli l’ha messa in atto portando Perisić più centrale, assieme al portoghese e alle spalle di Icardi. Il croato però non è abituato a scendere per prendersi il pallone, ma piuttosto a vederselo recapitare sui piedi o in corsa. Il pericolo qui è quello che ci si schiacci troppo sulla linea difensiva avversaria, vanificando i vantaggi di un doppio trequartista.

Le posizioni medie in fase di possesso contro la Juventus, nella gara di ritorno. Fino all’ingresso di Kondogbia, centrocampo e attacco erano troppo scollegati
Le posizioni medie in fase di possesso contro la Juventus, nella gara di ritorno. Fino all’ingresso di Kondogbia, centrocampo e attacco erano troppo scollegati

Un‘applicazione di Banega in questo contesto renderebbe certamente più spettacolare la manovra della squadra e produrrebbe hockey pass come se piovesse. I dubbi sulla tenuta di un centrocampo in inferiorità posizionale però perdurerebbero, in ragione delle scarse capacità di difendere posizionalmente dei due trequarti. Per questo quando ha voluto giocare con il quadrato a centrocampo (mediani + mezze punte), Pioli ha spesso adoperato Brozović sulla stessa linea di João Mário.

Chi ha invece dovuto traslocare dal centrocampo è stato Gary Medel, che dapprima in ragione delle assenze dei titolari e in seguito per le buone prestazioni offerte, è stato lanciato in difesa. «Oggi considero Medel un difensore», ha detto Pioli, accontentando l’opinione pubblica cilena che vede el Pitbull rendere meglio quando gioca in posizione più arretrata come con la maglia della Roja. Peraltro, con la difesa a tre, l’Inter ha nelle corde anche il 3-4-3 visto contro il (fu) Genoa di Jurić, ancora una volta per mettersi a specchio e portare il match sui binari imposti dai duelli individuali.

In definitiva, l’Inter ha veramente trovato il modo di far rendere al meglio i propri centrocampisti, e gran parte del merito è di Pioli. Il tecnico ha individuato le qualità migliori dei suoi e li ha messi nelle condizioni di esaltarle nascondendo al tempo stesso i difetti. Oramai tutti saprebbero interpretare le direttive dalla panchina, perché tutti le hanno recepite. L’abbondanza di soluzioni permette a Pioli di scegliere con assoluta fiducia nei suoi uomini gli ingredienti che più gli occorrono. Come uno chef, l’allenatore è in grado di soddisfare gli appetiti della giornata puntando ora su un piatto, ora su un altro, ma sempre con la certezza che quello che uscirà dalla cucina sarà sempre un pasto di qualità.