La nuova fantasia portoghese

Tre giocatori che stanno emergendo nel centrocampo campione d'Europa e in tre top club d'Europa: André Gomes, Renato Sanches, Joao Mario.

A meno di un anno dalla conclusione dell’ultimo Europeo francese sono due gli aspetti sui quali occorre soffermarsi. Il primo è relativo all’evoluzione delle gerarchie nel mondo del calcio. Spesso, queste appaiono ben definite: il Portogallo di Fernando Santos, per esempio, è riuscito a ridurre il gap con le cosiddette Nazionali top del vecchio continente, complice, tra le cose, anche l’evidente fase di flessione di paesi come l’Inghilterra e l’Olanda. Il secondo aspetto è, di fatto, una conseguenza del primo, e ci consente di stringere la lente d’ingrandimento sul cambio generazionale del calcio lusitano. La selezione portoghese ha vissuto per anni dentro un alone di incompiutezza, sostantivo da sempre utilizzato dai media per etichettare la Nazionale di Figo prima e di Ronaldo poi. Ebbene, nell’Europeo con la media gol più bassa (2,12 a partita) delle ultime cinque edizioni, a beneficiarne è proprio il calcio lusitano, galvanizzato da un’esplosione di talento nella zona nevralgica del campo. A riguardo, è lecito sottolineare un cambio di tendenza da parte di un Paese che, negli ultimi 25 anni, ha prodotto un esiguo numero di esterni d’attacco e/o  di fantasisti, non sufficienti però per portare A Seleçao de Quinas nell’élite del calcio mondiale. I protagonisti della seconda “rivoluzione portoghese” della storia sono essenzialmente tre: André Gomes, Renato Sanches e Joao Mario. Chi più, chi meno, ha inciso in maniera nitida ad Euro 2016, e il successivo approdo in top club quali Barcellona, Bayern Monaco e Inter è la conseguenza naturale di un Europeo vinto in gran parte grazie alla fioritura della nuova generazione di crack lusitani.

Wales v Portugal - Semi Final: UEFA Euro 2016

The new man in charge

In una sessione di calciomercato che sarà ricordata soprattutto per i 105 milioni sborsati dal Manchester United per Paul Pogba, vi è un inevitabile rischio: quello di considerare passivamente la grande mole di investimenti da parte di Barça, Bayern ed Inter per i tre atleti sopra menzionati. André Gomes, con i suoi 35 milioni di euro più 20 di bonus (legati agli obiettivi di squadra), con tanto di clausola rescissoria fissata a 100 milioni, è l’acquisto più oneroso dell’ultimo calciomercato spagnolo. La punta di diamante di una sessione estiva che ha regalato a Luis Enrique ben quattro classe ’93 (Gomes, Alcacer, Umtiti e Digne) e un ’94, Denis Suarez. Semplici ricambi dei titolarissimi oggi, protagonisti del Barça del futuro in un domani sempre più alle porte. L’inserimento di Andrè Gomes nel contesto blaugrana sta seguendo un percorso lineare. Ad oggi, è la prima alternativa al trittico Busquets-Iniesta-Rakitic, e nella classifica dei calciatori del Barcellona con più minutaggio si colloca al 12° posto.

L’elemento che risalta maggiormente all’occhio, osservando le movenze del portoghese sul rettangolo verde, è la freddezza con la quale esegue la giocata. Elemento indispensabile, specie in Catalogna. Al Camp Nou ne erano già consapevoli avendo monitorato il portoghese nei due anni a Valencia, il quale ha immediatamente confermato la propria indole nell’adattarsi ad un nuovo contesto, sin dalla prima presenza ufficiale in maglia blaugrana. 17 agosto 2016, finale di ritorno di Supercoppa spagnola. Luis Enrique schiera André Gomes alla sinistra di Busquets nel centrocampo a tre completato da Denis Suarez. Il primo gol della serata è di Arda Turan, il quale capitalizza un passaggio filtrante di Messi nato a sua volta da un triangolo nello stretto con André Gomes. Lo scambio ravvicinato con il più bravo della classe fa quasi da battesimo per il numero 21, che strapperà  i primi veri applausi del Camp Nou al minuto 54 della medesima partita, al termine di un’azione inaugurata proprio dal portoghese. Gomes riceve la sfera nel cerchio di centrocampo da Umtiti e fa partire col mancino un filtrante che taglia letteralmente a metà i due reparti del Siviglia: il passaggio favorisce il traversone di Digne, il quale ha tutto il tempo per controllare il pallone, alzare la testa ed effettuare il cross vincente per Messi.

 

Freddezza, dicevamo. Emersa, seppur in minima parte, in una sera entrata di diritto nella storia del calcio: 8 marzo 2017, data dell’incredibile remuntada del Barça sul Psg. Gomes ha vissuto gli attimi topici di quella gara, entrando al posto di Rakitic a quattro minuti dalla punizione fantascientifica di Neymar che ha dato il là alla realizzazione del 6-1 finale.  Un’esperienza che lascia inevitabilmente un solco lungo il cammino di un calciatore che, a soli 23 anni, ha vinto un Europeo disputando cinque gare su sette. In Francia, Gomes è uno degli inamovibili dello starting XI del Portogallo, specie nelle prime quattro gare del torneo. Nella fase conclusiva il minutaggio si riduce soprattutto a causa dei problemi fisici riscontrati in seguito al match contro la Croazia. Ad ogni modo, l’apporto del classe ’93 è stato determinante sin dalla prima partita, quella contro l’Islanda, pareggiata dal Portogallo per 1-1. I lusitani disputano una gara d’esordio al di sotto delle aspettative (sulla falsariga di un’edizione tutt’altro che esaltante), e l’unico spunto degno di nota lo offre proprio André Gomes, assistman nel goal del vantaggio firmato da Nani. Il classe ’93 riceve un pallone a ridosso della trequarti avversaria, e senza controllare la sfera decide di allargare sulla corsia di destra per Vieirinha, il quale chiude il triangolo scaricando nuovamente verso Gomes, rapido nell’attaccare la profondità e servire nuovamente di prima un pallone al bacio per Nani. Due giocate dalle quali è possibile intravedere due aspetti sui quali il classe ’93 sta lavorando molto nella stagione attualmente in corso, ovvero il movimento senza palla e il servizio per il compagno posizionato meglio. A conferma di ciò vi sono le statistiche Squawka, dalla quali si evince come, tra i calciatori di movimento del Barça, André Gomes sia il quarto in classifica per quanto concerne la pass accuracy (89%), nonché il primo tra i centrocampisti di Luis Enrique.

 

Non sapere di essere il più forte

Se nella prima parte di Euro 2016 André Gomes è stato uno dei punti fermi dello scacchiere tattico di Fernando Santos, dagli ottavi di finale contro la Croazia sino alla finalissima il testimone passa nelle mani di Renato Sanches: una vera e propria forza della natura al servizio del popolo lusitano. Il Bayern ha l’occhio lungo e ha evitato quella che sarebbe diventata un’asta di mercato senza esclusioni colpi, ufficializzando l’acquisto del classe ’97 lo scorso maggio, nel mese antecedente la partenza della kermesse in Francia. Anche qui, come per Gomes, occorre rimarcare un aspetto: i 35 milioni di euro (più bonus) sborsati dai bavaresi nelle casse del Benfica rendono Sanches l’acquisto più oneroso dell’ultima sessione estiva del calciomercato tedesco, al pari di Hummels. Tuttavia, a differenza del connazionale in forza al Camp Nou, l’ex centrocampista del Benfica sta vivendo una stagione leggermente al di sotto delle aspettative in terra bavarese. Il perché è da ricondurre alla parola “adattamento”: ad un nuovo calcio, ad un nuovo Paese, ad una lingua, a dei nuovi compagni di reparto. Lo scorso 10 febbraio, nella conferenza stampa antecedente al match di Bundesliga contro l’Ingolstadt, Carlo Ancelotti ha parlato di Sanches tirando in ballo esattamente questi temi, completando però il discorso con un elogio volto ad alimentare ulteriormente l’aura attorno alla figura di Renato Sanches: «Nella mia carriera non ho mai visto un centrocampista con così tanta forza».

È lecito sottolineare però che dal giorno in cui l’ex tecnico rossonero ha pronunciato tale frase, Sanches ha racimolato 85 minuti nei successivi undici incontri tra campionato, Coppa di Germania e Champions. Soltanto pochi giochi fa, a distanza di quattro mesi dall’ultima volta, Ancelotti ha deciso di schierare dal primo minuto Sanches in mediana al fianco di Xabi Alonso, nella partita di campionato contro l’Hoffenheim. I bavaresi  perdono 1-0 e sul goal di vittoria di Kramaric l’errore in fase di marcatura da parte di Renato Sanches è evidente. L’azione si sviluppa sulla fascia sinistra, dalla quale Zuber effettua un traversone al centro. In quel preciso istante, Sanches perde di vista l’attaccante croato, abile nell’anticipare lo stesso portoghese nel successivo rimpallo dal quale scaturirà il goal vittoria dell’Hoffenheim. In poche parole, una chance sfruttata non nel migliore dei modi da parte di un calciatore nato per guardare la porta avversaria, e non propriamente per difendere la propria. Nei tanti scampoli di partita in cui Ancelotti ha lanciato nella mischia Sanches, abbiamo avuto modo di notare l’indole offensiva dell’ex calciatore del Benfica. L’ultimo match di Champions League contro l’Arsenal costituisce l’esempio migliore: il portoghese entra in campo al minuto 81, a qualificazione ormai in cassaforte per i bavaresi. Giusto il tempo per lanciare a rete Douglas Costa – sfruttando le clamorose lacune difensive dei Gunners – a sua volta generoso nel mandare in gol Vidal.

 

La precisione nel passaggio, e più in generale nella gestione del pallone, è uno degli aspetti sul quale punta maggiormente dirigenza del Bayern. Nell’anno dell’addio al calcio giocato di Xabi Alonso, Rummenigge ha più volte sottolineato che la zona centrale del rettangolo di gioco sarà l’eredità di cui potrà godere nelle stagioni successive Renato Sanches. A riguardo, l’88% di pass accuracy registrata in questa annata da parte del classe ’97 è un buon punto di partenza, soprattutto se consideriamo che il tandem in testa a tale classifica è formato da Thiago Alcantara (91%) e Xabi Alonso (90%), due palleggiatori puri. Altro fattore che sembra incidere sul rendimento al di sotto delle aspettative di Renato Sanches è la collocazione tattica. Il 4-2-3-1, modulo di riferimento del Bayern soprattutto in campionato, non esalta le caratteristiche di un calciatore nato da ala pura, e oggi più vicino ad essere una mezzala di spinta che un play basso. Esempio lampante è la partita persa dal Bayern contro il Rostov nella fase a gironi dell’attuale Champions League. In quell’occasione Ancellotti schiera i suoi con un 4-3-3, piazzando Sanches alla sinistra di Alcantara, nel tridente di centrocampo completato da Lahm. Entrambi i gol dei tedeschi nascono da due spunti dell’ex Benfica, il quale, una volta esentato dai compiti difensivi, è in grado di rubare la scena con le due specialità della casa: la cavalcata palla al piede e la lucidità di passaggio tra le linee.

 

Grosse responsabilità

Higuain ha negato al Portogallo un curioso primato: vantare, nella medesima sessione di calciomercato, ben tre calciatori al vertice della lista dei top acquisti dei principali campionati europei. A riguardo, Joao Mario deve “accontentarsi” del secondo posto nella Serie A italiana. Una responsabilità comunque di rilievo, che ha dato il la alle argomentazioni relative all’effettivo valore del centrocampista portoghese. A ridosso della fase conclusiva della sua prima stagione italiana, arriva il momento di tirare le prime somme, soprattutto in virtù dell’investimento di 40 milioni da parte dell’Inter. L’impatto di Joao Mario nel massimo campionato italiano è noto a tutti. L’assist per Icardi al Castellani di Empoli, alla terza presenza con la maglia nerazzurra, ha palesato immediatamente l’elevata precisione nel dettare l’ultimo passaggio da parte dell’ex Sporting Lisbona. Al termine di quella partita, Paolo Condò non risparmia complimenti, paragonando Joao Mario a Xavi. Accostamento  giustificato dal giornalista di Sky, il quale ha rimarcato l’importanza di essere a 23 anni il faro del centrocampo lusitano e vincere da leader indiscusso il primo titolo continentale del Portogallo. Competizione nella quale Joao Mario gioca tutte le gare da titolare, chiudendo al quinto posto nella classifica dei più presenti della selezione lusitana, dietro al portiere Rui Patricio, e a tre senatori come Nani, Pepe e Cristiano Ronaldo.

 

Il backgroung del regista/fantasista è ricco di sfaccettature. Su tutte, si è spesso tornati sull’intelligenza tattica del centrocampista di Pioli. Aspetto che si concilia alla perfezione con l’adattamento ai nuovi contesti di gioco. Il rapporto tra l’Inter e Joao Mario nell’attuale stagione è divisibile essenzialmente in tre fasi. La prima è relativa alle 9 partite della gestione De Boer e alle prime gare con Pioli in panchina. Joao Mario, a prescindere dal modulo utilizzato (4-2-3-1 o 4-3-3) è chiamato di fatto a compiere ciò per cui è stato chiamato: dare fosforo al centrocampo dell’Inter. Un’ordinaria amministrazione che, sino ai primi di dicembre, al netto di un cambio di guida in panchina, procede bene. Tuttavia, la partita dello scorso 11 dicembre tra Inter e Genoa cambia le carte in tavola. Il 2-0 contro il Grifone sarà la prima delle sette vittorie consecutive dell’Inter in Serie A (record stagionale per i nerazzurri), ma soprattutto darà un input a Pioli che si rivelerà determinante nel corso delle gare a seguire. Il goal del 2-0 dei nerazzurri è frutto di un virtuosismo solitario di Joao Mario, schierato in quell’occasione da mezzala sinistra. Il portoghese riceve palla poco dopo la linea di metà campo. Una volta stoppato il pallone, rigorosamente con l’esterno, effettua una finta di corpo con immediato cambio di direzione che lascia sul posto Izzo. Il successivo sprint palla al piede aiuta il numero 6 nerazzurro a superare Lazovic nel duello fisico, per poi entrare in area e scaricare per Brozovic, abile nell’aprire l’azione ma soprattutto nel seguire passo dopo passo la giocata del compagno.

 

Osservando le successive dieci gare disputate nel ruolo di trequartista puro, un dato salta immediatamente all’occhio. Considerando l’arco di tempo che va dalla partita contro il Genoa a quella contro il Cagliari dello scorso 5 marzo (che sancirà l’inizio della terza e attuale fase del portoghese a Milano), Joao Mario è il secondo miglior giocatore della Serie A per numero di key passes (fonte Squawka). Per ben 28 volte in dieci incontri il lusitano ha messo “davanti alla porta” un proprio compagno di squadra. L’ultima fase coincide con l’improvvisa ascesa di Banega, divenuto la prima scelta in seguito al ko dell’Inter contro la Roma.