C’è il sole all’inferno

Vince Van Avermaet, si ritira Tom Boonen: cronaca della gara più dura tra le classiche monumento del ciclismo.

«Sometimes you don’t need a plan, you just need big balls». Tom Boonen per la sua ultima corsa, la sua ultima Roubaix, si è scritto questa citazione motivazionale sulla bici. E per farsi trovare pronto, si era preparato entrambe: il piano e le palle. Anzi, un piano che fosse incentrato esattamente su quelle big balls: attaccare ad ogni settore di pavè negli ultimi cento chilometri, ogni qualvolta la situazione di corsa lo permettesse, lo consigliasse, lo incoraggiasse. Una strategia più che azzardata, in una corsa come la Roubaix, l’Inferno del Nord.

Un circo di clown, una porcheria, una prova di ciclocross, una corsa infernale, un mucchio di merda. La gara più bella da vedere da casa, la più brutta per chi la corre. A raccogliere i commenti dei protagonisti sulla Parigi-Roubaix ci si potrebbe ormai riempire un’enciclopedia, lasciando parecchie pagine bianche in fondo, perché per quanto sia essenzialmente qualcosa di anti-storico, la Roubaix continua a raccontare cadute e vicende ancora oggi. Lo fa dal 1896, con pochissime interruzioni. Continuerà a farlo per anni a venire, anche con un protagonista in meno.

Belgium's Tom Boonen (R) rides on the cobblestones past supporters during the 115th edition of the Paris-Roubaix one-day classic cycling race, between Compiegne and Roubaix, on April 9, 2017. / AFP PHOTO / Philippe LOPEZ (Photo credit should read PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images)

Tom Boonen ha salutato i primi guardandoli dalle spalle, li ha visti andar via tra Bourghelles e Camphin-en-Pévèle, quando mancavano poco più di 20 chilometri al traguardo. Fin lì aveva fatto collezione di polvere nei polmoni e boati nelle orecchie, ondeggiando sulla partecipazione popolare come si fa surf sul pavè, per restare in piedi e spingere la bici oltre la sofferenza. Boonen ha aperto il gas verso Wallers, a 102 chilometri da Roubaix, per cominciare a sfrondare il gruppo prima della Foresta di Arenberg. Il motivo qui si chiamava Greg Van Avermaet, campione olimpico di ciclismo ed ambizione, ritrovatosi appiedato da un guaio meccanico e rallentato da una caduta, mentre risaliva un gruppo a brandelli partendo dalla coda.

E’ il posto peggiore dove trovarsi, perché finché la Roubaix pedala sull’asfalto è quasi tutto controllabile, ma quando cominciano i tratti di pavè il gruppo va fortissimo in testa, forte in mezzo, allo sbando dietro, si salvi chi può in coda. Come scriveva Marco Pastonesi:«se si contasse il dislivello fra una pietra e l’altra nei 55 km dei 29 settori di pavé, verrebbe fuori un’altimetria dolomitica», e come in un tappone di montagna la selezione non conosce pietà. Lo sa bene chi si accorge subito di non avere le gambe, lo sa Ian Stannard, che buca sul pavè ed è costretto a guidare la bici con le chiappe fino a che non trova tardiva assistenza, lo sa Oliver Naesen, la cui gamba scalpitante non basta a sopravvivere ad una caduta, quattro forature e un cambio rotto, e lo sa Van Avermaet stesso, che riunisce i gregari intorno a se’ e rientra mentre davanti si scatena l’Inferno.

La chiamano l’Inferno del Nord, la Roubaix, ma il regno delle tenebre ce lo si immagina differente. Non c’è il sole all’Inferno, non un bel vento alle spalle che ti spinge, tanto che la direzione ha deciso di rinviare un quarto d’ora la partenza: c’è il rischio che vadano troppo forte e non si incastrino con le temutissime coincidenze dei passaggi a livello. In effetti al traguardo si registrerà una nuova media record: 45.2 chilometri orari, poco più del record di Peter Post che resisteva dal 1964. Merito del vento, merito di una corsa che esplode da lontano, quando al posto di Boonen dalla nube di polvere e fumogeni all’uscita del settore di Hornaing à Wandignies, meno 77 chilometri, è la sporca maglia iridata di Peter Sagan a sbucare, assaltare il cielo e piombare presto a terra, come la pressione del copertone posteriore forato. Segnale divino per rilanciare re Boonen: a tutta in testa sul pavè di Sars-et-Rosières e poi di nuovo a Orchies, laddove nel 2012 spiccò il volo per la sua quarta ed ultima Roubaix, conquistata con 53 chilometri di fuga solitaria. La corsa si tende come i nervi facciali dei protagonisti, che pedalano sfoggiando smorfie di fatica, ed esplode nel secondo tratto criminale: Mons-en-Pévèle, tre chilometri di pavè che trasforma il manubrio in un martello pneumatico.

Davanti si è disintegrata pure l’ultima fuga, resta solo e assatanato, Daniel Oss. Trentino, gregario, passista, appassionato di hard rock, uno che pedala per piacere e tira per dovere, perché dal suo immolarsi che ricorda quasi il martirio di Giovanna d’Arco, arrestata a Compiègne laddove la corsa ha preso il via, ne trae profondo beneficio il suo capitano. Van Avermaet si nasconde, studia le pedalate altrui, assiste all’ennesima foratura di Sagan e si ritrova davanti quando il fumo delle ciminiere di Roubaix inizia a respirarsi tra la polvere. Al traguardo manca poco, che per lo strazio di fatica cui sono sottoposti i corridori è sempre tantissimo. Se ne accorge Boonen, che prova a rientrare zigzagando sul tratto di Camphin-en-Pévèle, detto “Pavè della giustizia”. Un soprannome dal sapore fatale che anticipa il verdetto: non ci sarà il record di cinque Roubaix per Boonen, marcato a vista da un intero gruppo di avversari intimoriti, non ci sarà speranza per Daniel Oss, ricollocato dal ruolo di sognatore a quello di servitore, né per chi accompagna Greg Van Avermaet al traguardo. Il capitano della Bmc vorrebbe arrivare da solo: ci prova sul Carrefour de l’Arbre, tra campi di battaglia che hanno deciso confini e poteri religiosi per un millennio, ma finisce obbligato ad attendere l’ultimo istante.

Belgium's Jasper Stuyven (2ndL) and Slovakia's Peter Sagan (4thL) ride on the cobblestones during the 115th edition of the Paris-Roubaix one-day classic cycling race, between Compiegne and Roubaix, on April 9, 2017. / AFP PHOTO / Philippe LOPEZ (Photo credit should read PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images)

La Roubaix è una delle poche corse in cui ogni metro è decisivo, per questo il suo albo d’oro alterna campionissimi a figure transitorie, per questo premia spesso corridori anziani, che hanno avuto bisogno di tempo per acquisire esperienza. Una fatica lunghissima, sette ore di sofferenza che possono decidersi nell’unico istante in cui le ruote scorrono sul liscio, nel campo della velocità, dove le corse durano un battito di ciglia: in velodromo. Greg Van Avermaet va a vincere la sua prima Roubaix, la sua prima classica monumento, con uno sprint che accarezza tutte le sfaccettature del rischio, come se fosse un pistard consumato anziché un ex portiere di calcio. Vince come fino a ieri vinceva colui che arriva tredicesimo, applaudito da tutto il mondo, dodici secondi più tardi. Tom Boonen saluta il ciclismo in un pomeriggio soleggiato all’inferno, in una corsa che si continuerà a definire folle e circense, ma che ogni campione sogna di vincere, dal 1896.