Cosa ha detto Clarence Seedorf a El País

Una lunga e interessante intervista sulla Champions, sul Milan, sul modo di interpretare il ruolo dell'allenatore.

C’è già stata, come molti ricorderanno, una finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Era il 20 maggio 1998 e le merengues vinsero per 1-0, con un gol di Mijatovic al 67′. In quella squadra, con la maglia numero 10, c’era anche un ventiduenne Clarence Seedorf. Dopo il ritiro da calciatore nel 2014, l’olandese ha allenato il Milan dal gennaio al giugno dello stesso anno, mentre nel 2016 è stato tecnico del Shenzhen, nella seconda divisione cinese. Seedorf è anche l’unico giocatore della storia ad aver vinto la Champions League con tre squadre diverse: Ajax nel 1995, Real Madrid nel 1998, Milan nel 2003 e nel 2007. Del vincere la competizione europea più prestigiosa, ma anche del modo di vedere e intendere il calcio, Seedorf ha parlato a lungo, in questa intervista rilasciata al quotidiano spagnolo El País.

Nel 1998, la Juventus era la squadra favorita contro il Real Madrid. I bianconeri avevano disputato le precedenti due finali di Champions, una vinta (nel 1996 contro l’Ajax) e una persa (nel 1997 contro il Borussia Dortmund). Il Real, invece, non vinceva il trofeo da oltre trent’anni. «Nell’Ajax — racconta Seedorf — giocavamo sempre nello stesso modo, fin da quando avevamo dieci anni. A Madrid invece trovai qualcosa di profondamente diverso: una rosa con giocatori provenienti da sette diversi Paesi. Ci fu subito una chimica perfetta, tutto funzionava per il meglio, grazie a un gruppo di uomini di grande personalità. Anche se molto spesso c’erano divergenze e liti, le cose si risolvevano in modo che in campo tutto funzionasse. I conflitti ci rafforzavano. Superammo tanti momenti di difficoltà grazie a un’intelligenza collettiva che non ho mai rivisto in carriera, né all’Ajax prima né al Milan poi».

La finale di Champions League del 1998

Vent’anni fa la Juve di Zidane e Del Piero, oggi quella di Dybala e Higuaín. C’è un filo conduttore nei successi dei bianconeri, dice Seedorf: «Hanno sempre avuto un gruppo di calciatori con grande esperienza, che trasmettono ai nuovi il significato di giocare per quella squadra. Dietro c’è una società molto solida: la famiglia Agnelli ha sempre gestito il club come fosse un’azienda. Hanno sempre mantenuto una mentalità molto professionale. Poche società fanno una pianificazione di questo tipo: antepongono il piano agli interpreti. Vendono i migliori giocatori, se necessario. Hanno venduto Zidane e hanno continuato a vincere. Se n’è andato Del Piero e sono migliorati, se n’è andato Pirlo e sono tornati in finale… bisogna fargli i complimenti».

Una squadra oggi guidata da Allegri, che Seedorf ha prima incrociato al Milan come allenatore e che poi sostituì in panchina: «L’ho sempre considerato un buon allenatore. Quando è arrivato al Milan ha trovato un club che non era lo stesso in cui avevo giocato io. Era già iniziata una fase di transizione. Non fu facile per lui gestire l’ambiente quando, dopo aver vinto lo scudetto, fu privato di tanti giocatori importanti, come Thiago Silva e Ibrahimovic. Al Milan ha imparato a stare in un grande club. Ora nella Juve è in un club strutturato e stabile. Non era facile sostituire Conte dopo tre scudetti consecutivi. Ha innalzato il livello portando la squadra in due finali di Champions».

AC Milan coach Massimiliano Allegri (L)

Alla guida del Milan, Seedorf ci rimase per un girone, vincendo 11 partite su 19 e chiudendo il campionato all’ottavo posto. «Tolsi pressione e ansia che i giocatori di un grande club patiscono quando i risultati non sono buoni. Perché si sentissero liberi. Quando un giocatore si sente libero, si esprime meglio. Mostrai loro video con i migliori momenti della squadra, di ogni giocatore, di ogni reparto. Costruimmo fiducia. È molto importante chiarire su quali giocatori vuoi scommettere. Perché questo dà tranquillità, anche a chi sta in panchina o in tribuna». Nel suo Milan c’era anche Mario Balotelli, a cui Seedorf, rivela, dedicava tanto tempo: «Nel mondo del calcio, a volte, si formano giudizi troppo rapidi. Quando arrivai, Balotelli aveva collezionato sette cartellini gialli. Con me cambiò completamente. Ci fermavamo a parlare dopo gli allenamenti. Conoscere le persone è importante: volevo fargli capire come essere professionale, come stare attento alle cose importanti di una squadra».

AS Roma v AC Milan - Serie A

Infine, Seedorf parla anche del personale modo di interpretare il ruolo di allenatore: «Per prima cosa, bisogna apprendere la cultura del gruppo, sapere gli obiettivi e cogliere gli aspetti che fanno sì che un club sia diverso da un altro. La cosa più importante è far capire come vuoi che la squadra giochi e quali sono le tue regole. Non ho mai avuto un precampionato per fare questo. I precampionati sono necessari per parlare con i giocatori e capire la loro maniera di pensare, sapere dove si trovano meglio in campo, trasmettere loro la mia filosofia e le mie idee. Poi, sul campo, bisogna avere un metodo replicabile: come si attacca e come si difende. L’allenatore propone una base e i giocatori la interpretano durante le partite. La base ti dà risposte quando sorgono dubbi. Bisogna mantenere una linea, uno stile. Il Barça, il Real o il Bayern, vincono o perdono seguendo il loro gioco. Questa fiducia è la loro identità. Quando hai questo, il risultato diventa una cosa secondaria». Sulla sua preparazione, Seedorf dice: «Ho una formazione interessante, ho persino studiato management! Oggi è molto importante il rapporto con i club, con i media, con i giocatori. Bisogna tenerlo a mente. Ma la cosa più importante è che sono avvantaggiato, perché sono molto vicino a questa generazione di calciatori. Ho giocato insieme a giovani che oggi continuano a stare in campo. Il divario tra la mia generazione e quella attuale è minima. Capire il loro linguaggio è un vantaggio».