Luciano Spalletti ha approcciato la sua avventura all’Inter con l’idea di guarire il malato nerazzurro attraverso una vera e propria terapia del gioco. Il lavoro composito del tecnico e della società sul mercato, pur con tutti gli impedimenti del caso – i rallentamenti alle trattative in entrata causa fair play finanziario e restrizioni del governo cinese, i calciatori in esubero o da cedere, quelli da convincere rispetto alla bontà e agli obiettivi del nuovo progetto –, si è basato fin dal primo momento su un’idea semplice eppure potente, estremamente ambiziosa: assemblare una squadra con una personalità tattica definita, in grado di interpretare ed essere aderente ad un modello e un sistema di gioco chiaro, propositivo. Per dirlo con una sola espressione: Spalletti ha voluto costruire e rappresentare un’identità. La nuova identità dell’Inter. Un’identità che parte dal campo, e che attraverso il campo tenta di influenzare e guidare l’intera esperienza del club, come una sorta di rebranding calcistico.
Parlando del campo, la forza del cambiamento si esprime attraverso il modello tattico che caratterizza il nuovo Spalletti, ovvero un allenatore dai concetti molto diversi rispetto a quello che si è imposto nel grande calcio con la prima esperienza a Roma. La manovra agile e verticale costruita dieci anni fa su Totti centravanti associativo è stata sostituita, nel tempo, da una versione diluita (perché più lunga nelle distanze tra i reparti) del gioco di posizione. I principi dell’Inter 2017/18 rispettano questa ideologia di fondo: costruzione dal basso, ricerca della superiorità posizionale con servizi tra le linee e conseguente attacco dell’area avversaria, azionando preferibilmente le catene laterali. Dei cinque gol segnati su azione manovrata dall’Inter nelle prime due giornate, quattro sono arrivati dopo un cross dall’esterno. Tre di questi sono stati segnati da Icardi, evidentemente a suo agio nel ruolo di attaccante di riferimento. Il centravanti argentino è bravissimo a tenere schiacciata la difesa avversaria lungo un’intera partita, e nell’individuare sempre o quasi sempre la conclusione migliore per concretizzare gli assist che arrivano dalle fasce.
Palla verticale per João Mario, il portoghese si fa trovare alle spalle di Nainggolan, tra le pieghe del centrocampo della Roma; apertura sulla sinistra, Perisic supera agilmente Juan Jesus ma nel frattempo Dalbert è già arrivato a supportarlo; Icardi, inizialmente dietro la difesa di Di Francesco, si stacca dalla marcatura e riceve il pallone in area. I principi dello Spalletti interista in dieci secondi
La scelta di costruire l’azione offensiva spostando il pallone sugli esterni è in perfetta continuità con le tipicità dell’Inter di Pioli, che praticamente demandava a Perisic e Candreva tutte le responsabilità creative. Anche l’utilizzo dello stesso sistema di riferimento, il 4-2-3-1, farebbe pensare a una contaminazione tra le due squadre, ma le differenze di approccio al gioco sono ampie, e facilmente individuabili. L’Inter di Pioli era verticale, immediata, cercava di allargare il campo in maniera ossessiva, subito dopo il recupero palla e in tutti i frangenti della partita. I cross per match toccavano quota 30,7, con il rapporto di un tentativo ogni 14 passaggi corti. La squadra allestita di Spalletti produce invece una manovra più cerebrale, meno rapida ma multiforme, che punta ad accendere i laterali offensivi dopo aver creato situazione di superiorità posizionale. Allo stesso tempo può esplorare anche tracce diverse, più centrali, soprattutto in fase di transizione. Non a caso, l’Inter 2017/18 è scesa dal primo al nono posto in Serie A per cross provati ogni 90 minuti (20,5), e ha il rapporto di un tentativo ogni 22 passaggi corti.
La nuova Inter, quindi, ragiona e si muove in maniera diversa rispetto al passato. È una squadra che gioca il pallone e occupa gli spazi in maniera razionale, anche perché gli automatismi sembrano già funzionali e funzionanti, sono ben visibili, garantiscono molti sbocchi alla manovra. L’impostazione dal basso si fonda sulla costruzione di un vero e proprio quadrato, composto dai due centrali difensivi e dal doble pivote. Nel frattempo, i terzini si propongono in avanti e garantiscono ampiezza, mentre il trequartista si sposta negli halfspace in modo da garantire un’ulteriore chance di passaggio tra le linee. A questo punto gli esterni alti hanno due possibilità, e anche questo è un cambiamento importante rispetto alla scorsa stagione: possono restare larghi, oppure entrare nel campo e proporsi per l’interazione col trequartista. Con questo movimento, offrono una soluzione alternativa creando un’area di maggiore densità – rispettando i dettami del gioco di posizione – e insieme aprono lo spazio alla sovrapposizione dei terzini.
Alcune immagini che raccontano il funzionamento dell’Inter di Spalletti. A sinistra, il confronto tra due heatmap di Candreva (in alto) e Perisic (in basso): in Cagliari-Inter dello scorso anno, il ruolo di esterno offensivo si esprime in uno spazio circoscritto, limitato alla zona laterale. In Roma-Inter, invece, entrambi i calciatori hanno avuto una maggiore libertà di movimento, convergendo di più al centro (soprattutto Perisic, presente in diverse occasioni anche sul centrodestra dell’attacco nerazzurro). A destra, invece, mappa posizionale e flussi di passaggio di Inter-Fiorentina. Il gioco viene costruito dai due centrali difensivi e dai due mediani (il famoso “quadrato”), e anche Handanovic è coinvolto nel primo possesso. Brozovic svaria soprattutto sulla sinistra, per creare una sorta di triangolo con Nagatomo e Perisic. A fine partita, l’uomo col maggior numero di palloni giocati (86) è Matías Vecino: nell’Inter di Spalletti, l’uruguaiano ha il compito di aiutare i due centrali nelle uscite palla a terra dalla difesa
Prima del match contro la Roma, Spalletti ha espresso le sue sensazioni rispetto all’approccio della sua Inter alla nuova stagione, al nuovo progetto: «Per quanto riguarda il mercato, sono arrivati i giocatori che ho voluto, poi Kondogbia ci ha fatto cambiare un po’ i piani. In ogni caso abbiamo preso Cancelo, che è un giocatore da Inter. Lui e Dalbert sono molto offensivi, ma sono calciatori che ci servono. Certo, bisogna trovare un equilibrio difensivo e manca ancora qualcosina in questo senso, ma la campagna acquisti rimane molto buona». È una fotografia senza fronzoli della situazione nerazzurra, spiega come la dirigenza abbia in qualche modo rispettato i patti con il suo allenatore – ovviamente, parliamo in senso puramente tattico. Le idee prioritarie sono state la costruzione di un organico che rispettasse l’identità di gioco e le esigenze di Spalletti, le sue richieste, le sue idee.
Il caso di Cancelo e Dalbert, presenti non a caso nelle dichiarazioni del tecnico, è emblematico: la nuova Inter aveva bisogno di esterni bassi in grado di garantire un contributo offensivo importante, un supporto continuo e dinamico alla manovra. Pure se a pochi giorni dalla chiusura delle trattative, sono arrivati «un terzino che non ha remore ad esprimere un’interpretazione moderna ed offensiva del ruolo» (Cancelo secondo Outsideoftheboot) e un calciatore caratterizzato da «grande esplosività muscolare, sovrapposizioni, buona tecnica, facilità di calcio e discrete letture difensive, il tutto adattabile a vari moduli» (Dalbert secondo Mondo Fútbol). In pratica, quello che serviva a Spalletti per creare una certa ampiezza in campo, per assecondare il suo progetto tattico. Lo stesso modello è stato applicato anche per tutti gli altri acquisti: ecco due centrocampisti con caratteristiche fisiche diverse, eppure capaci di trattare benissimo la palla, di governare letteralmente il gioco – Borja Valero e Vecino; ecco un centrale abile in chiusura ma in grado di assicurare un buon rendimento anche nella fase di prima costruzione (Skriniar, ovvero il miglior difensore della Serie A 2016/17 per precisione dei passaggi: 92%).
Le parole di Spalletti sono ammantate di realismo. di pragmatismo, anche nella lettura dei difetti della sua squadra: l’Inter, in occasione delle partite contro Fiorentina e Roma, ha mostrato sincronismi puliti e un gioco gradevole, riconoscibile, ma si è anche percepita una certa perforabilità difensiva. Le conclusioni concesse alle squadre di Pioli e Di Francesco sono state ben 33 (15 per la Fiorentina e 18 per la Roma), di cui 4 finite sui pali della porta di Handanovic e 7 (non ribattute) dall’interno dell’area di rigore. La linea a quattro composta da D’Ambrosio, Skriniar, Miranda e Nagatomo/Dalbert (il brasiliano ha sostituito il giapponese al 60esimo di Roma-Inter) è parsa talvolta statica e poco attenta nella lettura delle giocate in profondità, anche in fase di difesa posizionale. Inoltre, l’Inter sembra ancora soffrire i momenti della partita in cui le squadre avversarie riescono a essere più intense, a tenere il controllo fisico ed emotivo del gioco: la Fiorentina, dopo lo shock iniziale del doppio svantaggio, ha infatti costruito più occasioni dei nerazzurri (12 a 10 a partire dalla mezz’ora); la Roma, invece, ha tenuto meglio il campo per 60 minuti, cedendo solo dopo essersi allungata nel finale. All’Olimpico, durante il primo tempo, si è avvertita molto l’inferiorità numerica a centrocampo, anche perché il triangolo Vecino-Gagliardini-Borja Valero ha finito per occupare le stesse posizioni, e per soffrire il dinamismo e i movimenti in ampiezza di Nainggolan e Strootman. La condizione dell’Inter non è ancora ottimale, ma il discorso vale anche per le avversarie. Se in questo momento i nerazzurri vanno in difficoltà quando vengono attaccati per lunghi periodi del match, andare avanti nel corso della stagione vorrà dire incontrare squadre sempre più brillanti, con meccanismi tattici e fisici maggiormente rodati. I risultati positivi passeranno, necessariamente, da una crescita della tenuta difensiva.
Azione simile al gol di Džeko subito a Roma: le linee di difesa e centrocampo sono compatte, ma il pressing è blando e il centrale difensivo (Miranda, in questo caso) perde contatto fisico con l’attaccante, leggendo malissimo l’attacco dello spazio alle sue spalle sul cross di Eysseric.
I primi assaggi della nuova Inter descrivono un progetto tecnico allettante, una squadra che ha tutte le qualità per rispettare obiettivi e pronostici di aspirante nobiltà (la qualificazione in Champions, per esempio). Spalletti, però, dovrà rapportarsi con alcune mancanze strutturali di una certa importanza: l’organico nerazzurro ha sovrabbondanza di interpreti in alcuni subreparti (ad esempio ci sono cinque esterni bassi, di cui tre ambidestri: Dalbert, Cancelo, D’Ambrosio, Nagatomo e Santon), ma ha solo tre difensori centrali potenzialmente titolari – Miranda, Skriniar e Ranocchia – più il 18enne Vanheusden. Stessa situazione per i laterali esterni offensivi: Candreva e Perisic possono essere sostituiti solo dalla scommessa Karamoh o dall’adattato Éder. L’italobrasiliano ex Sampdoria, tra l’altro, rappresenta anche l’unica alternativa a Icardi insieme al giovane Pinamonti. È una conseguenza del calciomercato limitato, la squadra non è numericamente completa in tutti i settori oppure accusa uno squilibrio qualitativo troppo elevato tra l’undici titolare e i panchinari.
Le prospettive a lungo termine dell’Inter di Spalletti dipenderanno dalla combinazione di alcuni fattori: il tentato recupero di alcuni calciatori usciti stritolati dalla seconda metà dell’ultima stagione (Gagliardini e João Mario su tutti, mentre Ranocchia dilata questo concetto su più annate); l’inserimento positivo dei nuovi acquisti; una metabolizzazione positiva e un continuo perfezionamento del nuovo modello di gioco, soprattutto in chiave difensiva; una certa dose di buona sorte dal punto di vista degli infortuni, vista la ristrettezza della rosa in alcuni ruoli chiave. Il lavoro del tecnico toscano è iniziato con i migliori auspici possibili, l’ambiente sembra compatto intorno a lui e desideroso di cancellare gli isterismi degli ultimi anni. È un primo passo importante, soprattutto per una squadra che non sembra ancora pronta a puntare ai massimi livelli ma sta iniziando un percorso di crescita strutturato, organico, coerente.