Lui stesso è un inno al cholismo. Da promessa, Saúl Ñíguez è diventato ormai un punto fermo dell’Atlético Madrid, e per Simeone è il giocatore ideale: non è un caso che in questo primo scorcio di stagione abbia giocato proprio tutte le partite, senza mai uscire dal campo. Difficile individuare il ruolo preciso in campo per la sua duttilità e la disponibilità al sacrificio che tanto piacciono a Simeone. Oltre a una concezione variabile di posizione è anche una questione di anima, di sentirsi colchonero a vita, come suggellato dal rinnovo arrivato lo scorso luglio che lo lega all’Atlético per altre nove stagioni, fino al 2026. Avrà 31 anni, veste questa maglia dal 2007 dopo essere fuggito dalle giovanili del Real Madrid. Dopo il prolungamento, il direttore sportivo José Luis Pérez Caminero ha detto: «Saúl è l’esempio migliore possibile da fare ai giovani della nostra accademia. Tanta qualità e tanto lavoro al servizio della squadra». Sin dall’arrivo di Simeone a Madrid nel dicembre 2011, c’è sempre stato un occhio di riguardo per il ragazzo venuto da Elche, plasmato negli anni a propria immagine e somiglianza e gradualmente lanciato sui palcoscenici più blasonati.
Qualche tempo fa il cholismo inteso come modello di gestione del gruppo è stato interpretato addirittura dalla prestigiosa università di Harvard. In chiave business è stato indicato come esempio ideale per una piccola impresa che voglia entrare in un mercato già dominato da grandi aziende: produttività, efficacia e qualità sono i capisaldi. Saúl ha sposato la causa cholista mettendosi del tutto a disposizione fin dall’inizio. Come le statistiche dei match giocati fin qui con la maglia dell’Atlético fanno risaltare: 77 match da interno di centrocampo, 45 da esterno di destra, 9 a sinistra, 17 davanti alla difesa e anche 15 come centrale del pacchetto arretrato. È diventato un punto fermo così, rivelandosi un todocampista solido fisicamente, dai piedi buoni e con la necessaria velocità di base. Questo gli permette lo spunto in dribbling partendo preferibilmente da destra, ma anche di poter rincorrere efficacemente l’avversario quando bisogna dar manforte in difesa, vista la frequenza con cui sta capitando quest’anno: già quattro volte su sette interno di centrocampo, assieme a Thomas o in alternativa a Gabi, come accaduto contro Las Palmas, Valencia, Bilbao e Siviglia.
Il lavoro difensivo costante e l’etichetta di box to box atipico non devono trarre in inganno, visto che la presenza di Saúl nell’area di rigore avversaria resta frequente, nonostante Simeone preferisca che sia Koke a partire come falso esterno di centrocampo nel suo ideale 4-4-2. Questo perché l’Atlético subisce molto poco, ma allo stesso tempo non segna nemmeno tantissimo: ecco perché il supporto al tandem offensivo non deve mai venire meno, in attesa dell’inserimento a gennaio di Diego Costa. In quest’ottica Saúl continua a restare prezioso, necessario quando c’è da vivacizzare un’azione offensiva o da attaccare difese schierate che non intendono prestare il fianco alle ripartenze altrui. Nella breve carriera del ventiduenne, a supporto di questa tesi, nulla rende al meglio del gol segnato al Bayern nella semifinale d’andata di Champions League nell’aprile 2016. Le serate di gala non lo intimoriscono affatto, quando il pallone pesa ha dimostrato di esserci e nella Champions della passata stagione ha saputo ripetersi segnando quattro gol. Ottavi, quarti e semifinale compresi.
Il gran gol contro il Bayern nell’aprile 2016
Simeone lo ha fatto debuttare solo tre mesi dopo il suo arrivo, nel marzo 2012, a 17 anni e 108 giorni, prima di mandarlo a farsi le ossa al Rayo Vallecano nella stagione 2013/14. Una scuola cruciale per il futuro del ragazzo, che svariava già quell’anno da mediano, esterno e da mezzala diventando presenza inamovibile in una squadra che è arrivata fino a metà classifica: nemmeno vent’anni e su 38 partite ne giocò 34 da titolare. La parentesi con il Rayo è l’unica fuori dalle mura dell’Atleti, che lo circondano da quando faceva ancora le scuole medie dopo aver attraversato il Manzanarre e abbandonato l’incubo del Real Madrid. «Nelle loro giovanili ero vittima di bullismo», ha dichiarato a El Mundo Deportivo, «mi rubavano le scarpe e il cibo, finché fui pure sospeso. A soli tredici anni non potevo resistere a una situazione del genere». Non c’è dubbio che una rivincita se la sia presa: il primo derby giocato, nel febbraio 2015, lo ha vinto 4-0 e il secondo gol lo ha segnato proprio lui in rovesciata. Sotto gli occhi esterrefatti di Ancelotti.
Nel derby, così
Dopo i quarti di Champions contro il Leicester dell’aprile scorso, Simeone si è sbilanciato: «Ha tutto per diventare tra i migliori al mondo, la sua completezza mi sorprende giorno dopo giorno». È imprescindibile perché non butta mai via il pallone e riesce a tenere la posizione nonostante venga cambiata di partita in partita e a seconda dell’avversario. Sta diventando uno dei più completi in circolazione, forte anche di 130 partite in Liga, 40 nelle coppe europee e di tutta la trafila nelle giovanili della Nazionale spagnola. Qui ha vinto l’Europeo Under 19 del 2012 prima di trovare Julien Lopetegui, che lo ha fatto esordire con l’Under 20, l’Under 21 e infine con i grandi nel settembre 2016. L’estate scorsa con la selezione di Celades è arrivato fino all’atto conclusivo contro la Germania all’Europeo Under 21, dopo aver tramortito l’Italia in semifinale con una tripletta in meno di venti minuti.